Capitolo 2

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   Correvo inseguito dai federali. Non osarono sparare data la molta gente, avevano paura di prendere un innocente. La mia fuga stava durando da fin troppo tempo, quel giorno, e per quanto io andassi veloce mi raggiungevano comunque.
   «A pochi metri da te c'è un vicolo cieco, alla tua sinistra. Vai li.» Mi disse il signor Brice tramite auricolare.
   «Cosa!?» Intervenì Shelley «Si chiama cieco per un motivo. Vuoi fare arrestare Sam, per caso? E poi pensa al tuo lavoro, non interferire nel mio.» Dal timbro di voce non sembrava affatto calma ne controllata.
   «Shelley.» La chiamai per farle notare un'altra volta che non stava agendo professionalmente. «Scusa...» e rimase in silenzio radio per un po'.
   Mi apprestai ad andare nel vicolo cieco più velocemente possibile così da poterli ingannare. Una volta entrato nella stretta via avevo solo pochi secondi prima che mi raggiungessero, quindi mi guardai intorno studiando le pareti notando diversi appigli. Guardai alle mie spalle, pregando ogni probabilità di riuscita e iniziai ad arrampicarmi.
   Mentre raggiunsi la cima del muro da cui sarei dovuto scendere per raggiungere l'altra parte della strada, mi videro e non si fecero scrupoli a sparare. Erano in due e uno di loro riuscì a colpirmi di striscio sul braccio mentre stavo per calarmi giù, sentii un bruciore e un gemito di dolore mi venne strappato dalla gola.
   Una volta atterrato sentii uno dei due federali parlare alla radio «Lo abbiamo perso ma è ferito.»
   Guardai il mio braccio per vedere se era grave ma fortunatamente non lo era. Ci posai sopra la mano e mi rialzai andando alla metro più vicina. Nel mio auricolare stava scoppiando il caos tra Shelley e il signor Brice, si poteva dire che si stavano ringhiando l'uno contro l'altro.
   «Senti, non so come lavori tu, ma qui stiamo parlando di Sam!  Non puoi mettere in pericolo la sua vita!»
   «Ragazzina, se non ti piace il mio metodo puoi sempre tornare a giocare con le bambole.»
   «Che gran figlio di p-»
   «Brice, Shelley.» Li richiamai con il solito tono freddo ma con un accenno di rabbia «A ogni missione siete sempre più irritanti. Sto arrivando.» entrai nella stazione sotterranea della metropolitana e aspettai paziente.
   Mi tolsi l'auricolare per non sentirli più litigare, non volevo che mi venisse il mal di testa. Di certo loro due insieme non erano un connubio perfetto ma sapevano come svolgere il loro lavoro con eccellenza. Shelley era appena maggiorenne e non sapeva esattamente controllare i suoi scatti emotivi ma era una maga del computer, era in grado di hackerare qualsiasi cosa: telecamere di sicurezza, database, server. Bastava solo un click per lei e aveva il mondo nel suo computer. Il signor Brice, era un brillante medico, conosceva tutte le procedure di primo soccorso. Il suo unico problema era la sua testa calda che gli aveva creato sempre problemi.
   La metro arrivò e aprì le porte. Entrai e mi misi seduto a peso morto, tutta quell'adrenalina mi aveva stancato, Tutto questo casino per una scheda. Pensai.
   Sfilai dalla tasca l'oggetto che mi aveva cacciato nei guai e la guardai con attenzione e discrezione. Perché mio padre ti cercava?

    Finalmente arrivai alla mia fermata e una volta sceso dalla metro proprio lì davanti c'era un venditore ambulante. Facendo finta di nulla mi avvicinai e senza farmi vedere presi un berretto. Mentre salii le scale per uscire dalla stazione della metropolitana, indossai il cappello e mi allontanai in direzione del quartier generale. Indossai l'auricolare constatando che stavano ancora litigando.
   «Sei proprio impossibile.» Si sentì la voce squillante di Shelley.
   «Ma perché devo fare da babysitter...»
   «Ma sentilo! Non sono io quella che ha mandato a morire Sam come ha fatto col proprio figlio, John.»
   Un rumore assordante si fece largo nelle mie orecchie «Prova di nuovo a tirare in ballo mio figlio e ti-»
   «Ragazzi!» Aspettai di entrare in una via disabitata per poter attirare la loro attenzione con un urlo. «Non dovete andare per forza daccordo ma almeno fatelo senza tenere il microfono attivo!» Scaricai un po' di frustrazione, ma subito ritornai calmo «Sono a pochi metri da voi.»
   Sospirai e prima di aprire la porta del garage controllai il braccio. Sanguinavo ma non eccessivamente.
   Aprii la porta ed entrai. Camminavo con sveltezza mentre vidi Shelley al computer con faccia imbronciata e stranamente silenziosa mentre il signor Brice era appoggiato alla parete con le braccia conserte. «Bel cappello.» Notò quest'ultimo. «Ho bisogno di cure.» dissi e questo attirò l'attenzione della ragazza «Non è grave vero?»
   «No.» Mi sedetti al tavolo che usavamo per programmare i vari piani aspettando Brice che arrivasse con il kit medico. Tirai fuori dalla tasca la scheda e la guardai ancora un po'. «Speriamo che questa volta abbiamo fatto bingo.» si avvicinò Shelley. Fino a quel momento non avevamo avuto molti successi, e anche se all'inizio ci demoralizzò non ci arrendemmo. «Se era sorvegliata dall'FBI sarà sicuramente qualcosa di importante. Prova a vedere cosa trovi.»
   Gli passai l'oggetto e lei, annuendo, lo prese e andò alla sua postazione.
   Brice si sedette accanto a me e aprì il kit. «Riuscirai mai a tornare tutto intero?» Il sarcasmo non gli mancava mai, anche nelle situazioni meno indicate. «Finché mi staranno alle costole direi di no.»
   «Ti dovrò mettere i punti, togliti la felpa.» annuii e così feci poggiando la felpa sul tavolo. Avevo una soglia del dolore medio-alta per cui non sentii nulla mentre mi medicava, inoltre il nostro medico era molto efficiente quanto veloce. Finì in fretta e mi bendò il braccio «Tieni la ferita pulita e andrà bene.» Ero stufo di sentirglielo ripetere ma dopotutto non era colpa sua. Nonostante cercavo di migliorare le mie prestazioni, ad ogni missione mi ferivo o quasi mandavo a repentaglio tutto. Ero frustrato da me stesso e dai miei insuccessi. Gli annuii.
   Si alzò e andò nell'altra stanza per sterilizzare gli strumenti ed io guardai la mia felpa sporca di sangue sul tavolo. Era la mia felpa preferita... Pensai un po' arrabbiato.
   Sospirai trattenendo un'imprecisione e mi alzai andando da Shelley «Trovato nulla?»
   «Odio darti brutte notizie... Questa scheda ha un complesso algoritmo di sicurezza e mi ci vorrà un po' per capirne il funzionamento.»
   «Tradotto: ha bisogno di una o più password per sbloccarsi...»
   «Si il concetto è quello. Anche se un pelo più complesso.» Era completamente assorta dallo schermo del suo pc, in quel monitor si faceva strada un'elaborata griglia di sicurezza composta per lo più da numeri e lettere apparentemente senza senso.
   «Buon lavoro, preferisco non disturbarti.» La lasciai con il suo rompicapo mentre io presi la felpa per andare a lavarla nel piccolo e squallido bagno.
   Cosa faresti tu papà?
   Mi guardai allo specchio smettendo per un attimo di pensare alla felpa. Incredibile come il mio viaggio era andato così avanti. Una domanda dopo l'altra, una risposta dopo l'altra. Improvvisamente realizzai che le mie domande erano migliaia rispetto alle risposte e più cercavo le risposte più mi sorgevano domande.
   Chi era mio padre? Come faceva a sapere tutto? Perché mi ha voluto lasciare? Perché lasciare degli indizi? Su cosa?
   La testa cominciò a girarmi per la stanchezza così decisi di abbandonare nel lavandino la felpa e andare nella mia "stanza". Anche se non potevano di certo essere chiamate stanze, ci si avvicinavano molto, dato che la nostra aspettativa del quartier generale era molto bassa: un buco con al massimo un PC e un kit, nulla di più.
   Mi stesi sulla matassa di coperte che formavano il mio letto e mi rilassai. Dall'altra parte della stanza avevo posizionato il mio caro Saturn V, conservato magnificamente. Aveva perso leggermente il colore in alcune parte ma era ancora una meraviglia per gli occhi. Tenni lo sguardo fisso su quel modellino per un po', ma dovetti distogliere l'attenzione. Mi ricordava troppo quella notte.
   Erano passati quattordici anni ma ne soffrivo ancora. Tutte quelle sensazioni... La paura dello sparo, la solitudine per strada, il dolore di un genitore perso.
   Fortunatamente Shelley venne a disturbare così da aiutarmi a non pensarci più «Hey, Sam, vieni a vedere.» Fece un piccolo gesto con la testa prima di andarsene. Mi alzai e la raggiunsi alla sua postazione.
   «Come ti avevo detto dovevo bypassare la sicurezza, e appena ho superato il primo "livello" si è come sbloccato un file. Vi si può accedere.» Mi guardò dopo avermi indicato il file sul desktop. «È un mp4, ma è danneggiato.» Fissai a debita distanza il monitor. «Se è danneggiato non può esserci di grande aiuto.» Affermai. «Vediamolo...»
   Shelley non esitò ad aprire il file, subito lo fece partire ma tutto quello che si riusciva a sentire erano delle interferenze mentre il video andava a scatti. «Non c'è molto nel video.» Ammise «Già...» Le diedi ragione. Riflettei un istante. «Puoi farlo ripartire?»
   Fece ripartire il video e al momento giusto lo fermai. «Perchè l'hai fermato?»
   Analizzai lo sfondo, anche se non era dettagliatissimo. «Questo posto.» Mi avvicinai allo schermo. «Mi è familiare... Puoi cercare di sistemare il video?» Chiesi.
   «Farò del mio meglio.» Sorrise
   «Grazie... Per tutto.» Gli dissi sedendomi accanto a lei. Shelley aveva sempre fatto di tutto per me, e io non sempre la ripagavo come era giusto fare. Il mio carattere mi dava limitazioni sul fronte sociale ma lei lo comprendeva e non si era mai data per vinta, neanche una volta.
   «In un certo senso è di tutti la battaglia» Mi rammentò.
Mi sfuggì un sorriso e una leggera risata «Non solo per questo.» Indicai il nostro gruppetto «Ma per tutte le volte che mi sei stata accanto.»
   Shelley mi guardò un istante «Tu forse non te ne rendi conto ma sei più pasticcione di quello che si pensa.» Rise «Per questo serve qualcuno che ti tenga d'occhio» In quel momento ritornò Brice dopo aver finito di fare le sue cose «E non è l'unico.» Guardò Shelley.
   «Ancora? Vuoi ancora litigare?» Si spazientì quest'ultima.
   «Sto solo precisando che anche tu sei così.» Brice si sedette accanto a noi «Siete due ragazzini. Solo che uno di voi è maturo, l'altro no.» Continuò.
   «Brice...» Lo richiamai per fargli capire di non esagerare «Dobbiamo risolvere questa situazione. Perché non andate d'accordo?» Chiesi stufo di quelle litigate.
   «È una testa vuota.» Disse Shelley
   «È insopportabile.» Disse Brice poco dopo.
   «Ma se, invece, di concentrarvi sugli aspetti negativi, osservaste gli aspetti positivi dell'altro?» Lì guardai «Brice, Shelley è molto brava nel suo lavoro, sa cavarsela. Va rispettata. E inoltre è una ragazza empatica.» Parlai direttamente con il signor Brice.
   «Shelley, Brice è un medico, si impegna e ogni volta non si fa scrupoli a curarci le ferite nonostante il suo sarcasmo.» Infine guardai entrambi «Siete due persone, non trattatevi come se foste degli oggetti. Per quanto non lo faccio notare, vi voglio bene ragazzi e sarebbe fantastico se la smetteste di litigare.»
   Mi guardarono poi si lanciarono uno sguardo tra loro. «D'accordo... Ci proveremo.» Dissero all'unisono non molto felici.
   Concludemmo la giornata con il solito pasto thailandese e con le solite chiacchiere. L'unica differenza era che quella sera nessuno litigò e potei finalmente reputarmi soddisfatto.

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