Capitolo 12

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Ero ancora sul tavolo quando una mano si posò sulla mia spalla. Dalla forza capii subito di chi era «Da quant'è che stai qui?» Domandò con il suo tono grave ma dopo aver visto il tavolo subito aggiunse «Si direbbe da un paio d'ore...» il tono mutò in uno rassegnato. Poco dopo si appoggiò al tavolo e mi guardò. Anche io lo fissai aspettandomi una strigliata ma ricevetti solo delle domande piene di preoccupazione «Quanto hai dormito Sam?» distolsi lo sguardo ma non potevo non rispondergli «Forse sei ore.»
«Beh questo è un inizio.» Disse con un lieve sorriso. «Ehi, John devo dirti una cosa.» iniziai, ma non sapevo se era arrivato il momento di dirgli dei miei sintomi oppure lasciar perdere e cercare una scusa. «Si dimmi.» il suo sorriso svanì.
Combattevo una battaglia interiore che sembrava durare anni ma in realtà durò solo due secondi. Una battaglia tra il voler dire tutto a un amico e il blocco che per qualche ragione mi impediva di raccontargli tutto. Alla fine il blocco cresceva sempre di più mentre mi facevo sempre più piccolo e miserabile. Con la sua vittoria dovetti trovare velocemente una scusa.
«Ho» Mi schiarii la gola «Ho notato che le gomme da masticare ti sono finite, e mi chiedevo... visto che devo andare a compare delle cose per me, se volevi...»
Con sospetto mi guardò e diede voce ai suoi pensieri «E cosa dovresti prendere per te?»
«Beh la solita roba: medicine per il mal di testa... la felpa che quegli stronzi di federali mi hanno rovinato...» elencai e sperai che quello bastasse per togliere ogni dubbio.
Mi guardò a lungo poi sospirò sedendosi «Menta forte.» disse solamente. Lo ringraziai silenziosamente e mi alzai.
Una volta presi i soldi e un documento falso, uscii dirigendomi verso la metro. Era sempre l'opzione migliore perché veloce e difficilmente sorvegliata dalle forze dell'ordine. Mi sedetti a peso morto e misi le mani in tasca ed ecco che toccai il bossolo. Non sapevo per quale motivo, ma ormai lo portavo con me in ogni mio spostamento.
Per cercare di capire? Per spiegarmi qualcosa? Davvero non lo sapevo, fatto sta che non potevo lasciarlo da qualche parte e dimenticarmene. Era un indizio di quello che era successo in quella casa 14 anni prima. L'unico rimpianto della mia vita mi stava dilaniando dall'interno. Cavolo potevo entrare in quella casa dopo che sentii la macchina allontanarsi.
Dovevo ricordare altri dettagli, particolari a cui non diedi importanza all'ora ma che in questo momento sembravano così importanti. Non potevo vivere nella menzogna, se c'era qualcosa da sapere io volevo saperlo, ne avevo il diritto dopo quello che avevo passato. Un ragazzino diverso dagli altri, mandato da una famiglia all'altra, chiuso in un collegio di pazzi. Non potevo accettare che fosse tutto semplice. Sentivo che c'era del marcio in questa faccenda, per quanto non ci volessi credere, né avevo il sentore.
La mia fermata era ormai vicina quindi mi alzai e mi sistemai davanti alla porta che da lì a pochi minuti si sarebbe aperta.
La metro si fermò, aprì le porte ed io e molte altre persone scendemmo. Un altro motivo per cui la metro era il mezzo migliore: molte persone la prendono e ci si può mimetizzare nella folla.
«Ehi Sam, vuoi che ti teniamo d'occhio?» sentii dall'auricolare la voce di Brice. Quando si usciva, era diventato un requisito fondamentale indossare l'auricolare e un localizzatore. Alla prudenza non si dice mai di no.
«Ehm...» iniziai a dire concentrandomi «Si. Non ho un buon presentimento.» confessai.
«Qualcuno ti segue?» chiese allarmato, scossi la testa come se potesse vedermi e risposi «No, non mi riferisco a quello.» il silenzio radio che seguì non mi preoccupò, anzi mi fece intuire che avesse capito a cosa alludevo.
«D'accordo» sentii pronunciare, poco dopo arrivai alla farmacia dove chiesi le medicine che mi occorrevano e qualcosa in più che avevo scritto in un foglietto, per non far sentire a Brice quel piccolo cambio di piani. «Ecco a lei. Paga in contanti o carta di credito?» chiese la donna dietro al bancone «Tenga il resto.» posai una banconota da cento e me ne andai sentendo «Grazie signore, arrivederci.»
Per fortuna non aveva detto il prezzo, altrimenti John lo avrebbe sentito e si sarebbe insospettito di un costo così alto per delle semplici pasticche per il mal di testa. Sospirai ed iniziai a pentirmi di non aver detto tutto, sapevo che la volta in cui avrei detto la verità si sarebbero arrabbiati molto. «Sam?» sentii dall'auricolare una voce che non era di John ma non mi sembrava neanche di Shelley. Ma subito di schiaì la gola e ripeté «Sam mi ricevi?» questa volta capii che era Shelley «Si... si scusa, dimmi»
«Temo che non sei da solo. Rilevo un segnale ma è disturbato.» con tutta tranquillità mi voltai e guardai da sopra la spalla per capire dove fosse la persona che mi stava pedinando. «Rettifico sono due! Sam via di lì.»
«Sono tra la folla non credo che faranno qualcosa di avventato solo per prendermi.» dissi incrociando lo sguardo di una persona che sicuramente non poteva definirsi angelo.
Cambiai direzione stando attento di restare tra la folla e al momento giusto mi allontanai. Svoltai in un vicolo abbastanza stretto e lontano da tutto. Avevo intenzione di seminare quei due maniaci.
Mentre andavo avanti, un tizio si posizionò in mezzo alla strada che stavo percorrendo. Quando lo vidi mi fermai e mi girai ma, come nei film, arrivò il secondo che mi bloccò la via di fuga. Sospirai «Cazzo.» imprecai sottovoce. «D'accordo ragazzi, cosa volete?» finsi di essere amichevole mentre spensi il microfono dell'auricolare subito prima di alzare le mani «Sam?» Mi chiamarono Brice e Shelley «Che succede?» chiesero ancora.
«Sentite non voglio rogne ok? Ero solo di passaggio.» avendo spento il microfono i miei amici non sentivano nulla, ma potevo sentire le loro domande piene di preoccupazione e timore.
«Ci dispiace ragazzo. Ma se ti consegnamo, riceveremo tanti soldi» risero entrambi. «Beh, non sarò una preda facile» dissi abbassando le mani e guardando colui che aveva osato parlare.
Uno di loro, quello alle mie spalle, iniziò a correre verso di me pronto a sferrare un pugno. Non appena mi raggiunse lo schivai mettendomi di lato. Non appena potei, diedi un pugno alla sua tempia. Cercai di darglielo il più forte che potevo per farlo svenire, e così successe. L'altro non perse tempo e, come il suo amico, corse verso me ma con un coltello in mano.
Il mio cuore iniziò a battere all'impazzata, non sapevo dire se per l'ansia di quel coltello o se per la mia misteriosa malattia. Fatto sta che avevo una paura terribile. Quando si avvicinò abbastanza cercai in tutti i modi di far si che la lama non mi ferisse. Mentre paravo i suoi colpi notai una via di fuga sicura. Questo però mi distrasse e lui ne approfittò per ferirmi alla coscia. Un taglio superficiale ma abbastanza profondo per sentirne il bruciore. In risposta gli diedi un pugno sul naso sperando di averglielo rotto per farlo mugolare un po' in disparte mentre scappavo.
Quando questo si tenne coperto con le mani il naso non persi altro tempo e andai in direzione della metro. Era vicina fortunatamente quindi non dovetti correre molto.
Nel frattempo nell'auricolare imperversava il caos. Questo mi ricordò molto la nostra missione per rubare quella piccola scheda. Riattivai il microfono e contenendo il dolore cercai di essere il più naturale possibile «Ehi tranquilli ragazzi. Sono vivo.» dissi «Scusate devo aver spento per sbaglio il microfono» mentii. Non mi piaceva farlo ma in situazioni così ne ero più che disposto.
«Porca...» iniziò a dire Brice ma si trattenne nell'imprecare «Ti giuro Sam su tutto quello che mi è più caro che un giorno di questi mi farai venire un infarto.»
«Calmati, calmati.» dissi arrivando alla metro «Sono qui al...» Mi scappò un flebile gemito si dolore «Sono qui alla metro.» Mi ricomposi subito maledicendomi in tre lingue diverse. Sperai che nessuno si fosse accorto di nulla.
Notai che in quella galleria della metro c'era un venditore ambulante, ma al tempo stesso sentii anche un tipo che dalle scale urlò «Bastardo mi hai rotto il naso!» la mia attenzione ricadde sull'uomo che fino a poco fa mi stava braccando in quel vicolo squallido. Mi guardai attorno notando che c'erano poche persone e tutte ci guardavano male. Arrivò la metro mentre il tipo si faceva strada. Guardai la bancarella notando le gomme che voleva John e ne rubai un pacchetto. Le porte si aprirono e sapevo che rimanevano aperte massimo 2 minuti se le persone erano poche. Aspettai lì dov'ero, anche se l'uomo avanzava a grandi falcate. Quando stavano per chiudersi le porte scattai e sguisciai dentro la metro in tempo per chiuderlo fuori. Colpì il vetro delle porte arrabbiato mentre io, con la tachicardia, cercai di calmarmi.
«Che succede?» la voce di Brice si fece strada nel mio orecchio «Nulla sono sulla metro.» avevo l'affanno e si sentiva parecchio.
«Ragazzo ti serve un medico.» affermò una donna seduta vicino a me, indicandomi la gamba. «Oh no non si preoccupi, mio... cucino è un dottore, ci penserà lui.» risposi riferendomi a Brice, la donna borbottò qualcosa e subito dopo sentii la voce di John «Cugino, eh?» ridacchiò, e questo mi fece sorridere.

La fermata più vicina al quartier generale era ormai a pochissimi metri. A fatica mi alzai dal sedile della metro e scesi una volta che si aprirono le porte. «Ok, sono quasi da voi...» dissi rintontito. Erano passati almeno venti minuti di viaggio e ancora sanguinavo. Sentivo poche energie addosso ma dovevo andare avanti. Così mi incamminai un po' zoppicante e malconcio. «Sam tutto ok?» chiese John sentendomi affaticato «Io... avrò tempo di riprendermi dopo.» dissi ingoiando un nodo alla gola che mi si era formato. Più mi avvicinavo alla mia destinazione più cresceva anche il mal di testa.
Finalmente arrivai e non appena aprii la porta sentii un forte impatto col pavimento. Ero stremato, sanguinante e con un mal di testa che avrebbe messo KO anche un elefante.
Quando mi risvegliai ero sul mio letto e questo lo trovai strano sin da subito. Sentivo un leggero formicolio al braccio e quando andai a controllare c'era una flebo attaccata. «Ma che diavolo?» mi domandai non capendo la situazione.
Quando cercai di alzarmi una forza di gran lunga superiore alla mia mi costrinse a stare sdraiato. «Come ti senti?» una voce grave attirò la mia attenzione. «Uno schifo... che è successo?» chiesi confuso.
«Devi dirmi la verità.» iniziò a dire severo «Quali sono i sintomi?» John si sistemò nel mio campo visivo con le braccia conserte.
«Mal di testa per lo più.» risposi subito.
«Tutti.» insistette, quindi compresi che aveva capito.
«Non lo so... mal di testa, tachicardia, sangue dal naso...» cercai di dirli tutti ma persi il conto quindi finì lui per me «Pallore, mancata coagulazione, stanchezza?» non era una vera domanda ma annuii lo stesso «Ok.» disse sospirando cercando di mantenere la calma «Da piccolo soffrivi di qualche patologia?»
Non risposi, quindi ripeté la domanda con un tono più severo ma lo interruppi svuotando il sacco «Prendevo farmaci antivirali.»
Calò il silenzio. «Merda Sam quando pensavi di dirmelo?»
«Volevo prima portare a termine ciò che ho iniziato.» risposi.
«Così stai mettendo a repentaglio la tua vita!» Mi sgridò.
«Sono così da anni...» dissi stanco
«Andiamo!» iniziò ad arrabbiarsi «Credi che mentre cercherai tuo padre non peggiorerà? Non pensi che potresti morire prima, se non curiamo qualsiasi cosa tu abbia?» nel frattempo entrò nella stanza Shelley «John, va bene.» gli disse mettendogli una mano sulla spalla «Credo che lo sappia. Lasciamolo riposare.» Disse tranquilla ma non per proteggermi ma per darmi solo il tempo di riprendermi per poi giustificare il mio comportamento. Lo aveva sempre fatto. «Sai, quando mi dicesti che ti sembrava di essere egoista non ci volevo credere, pensavo fosse un "periodo no" per te. Ma ora capisco a cosa ti riferivi.» detto ciò Brice uscì dalla stanza insieme a Shelley.
L'ultima volta che ho provato quel terrore e quel dolore è stato 14 anni prima... ed ora, a distanza di molti anni, ecco che si ripresentava nel mio petto quella sensazione di abbandono. Tutto per colpa mia...

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