Capitolo 11

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«Ripeti cosa c'è scritto?» mi chiesero e senza esitazioni feci come richiesto, ma prima che potessi dire qualcosa un capogiro mi costrinse a chiudere gli occhi.
«Ehi tutto bene?» mi chiese Shelley.
«Si mi gira solo un po' la testa...» Mi schiarii la gola e lessi la frase «Ritorna nel luogo del divertimento.» in tasca era mia abitudine mettere la medicina per il mal di testa quindi ne presi una. Anche senza acqua la mandai giù e aspettai quei pochi minuti che facesse effetto. «Meglio?» domandò la ragazza ed annuii.
«Si tratta forse di un luna park?» ipotizzò Brice mentre si avvicinò a me osservandomi attentamente.
«Credo che si riferisca al parco nella foto.» risposi ignorando il fatto che stesse cercando di studiare i miei sintomi. «Ma non ricordo il luogo in questione.» aggiunsi dopo qualche secondo. «Nulla che il computer non possa risolvere!» esclamò Shelley prendendo la foto. L'andò a scannalizzare e cercò, non so come, il posto sul computer. Brice rimase accanto a me.
Sbadigliai stanco, di solito non avvertivo mai la stanchezza ma diedi la colpa al troppo lavoro degli ultimi giorni. «Forse il mal di testa è dovuto alle poche energie. Prova a riposare, ti lascio il mio letto.» Disse subito «È scomodo il divano quindi non voglio sentite obiezioni.» dopodiché mi alzai e gentilmente John mi accompagnò. Restammo in silenzio finché non mi sdraiai e Brice dalla soglia mi augurò dei bei sogni.

La mamma era lì, che mi spingeva sull'altalena. Era una di quelle rare giornate in cui mi portava con sé nelle sue lunghe passeggiate, sembrava felice. Sorrideva, rideva, mi coccolava. Per quanto mi piacesse, era la prima volta che mi dava così tante attenzioni, mi sembrava strano. Quando sulla panchina mi teneva tra le braccia e mi carezzò i capelli mi disse qualcosa, ero sicuro che mi stesse parlando ma sentii solo un suono ovattato. In quella confusione di parole che non riuscivo a distinguere percepii solo «Ti voglio bene Sammy, più di quanto possa immaginare.»
Mi svegliai col cuore stranamente pesante, una sgradevole sensazione al petto che mi tormentò tutto il tempo. Quando mi alzai mi sentii come se un macigno mi costringesse a restare dov'ero, ma avevo del lavoro da fare quindi sconfissi quella sensazione e raggiunsi gli altri che mi guardarono preoccupati. «Che ci fai già qui?» si alzò John per venirmi incontro «Che intendi?» chiesi confuso «Mi hai detto di riposare... e l'ho fatto.» aggiunsi.
«No non l'hai fatto, non è passata neanche un'ora e mezza.» Disse risoluto. Scossi leggermente la testa e me ne pentii poco dopo «Beh a quanto pare mi è bastato, Shelley hai scoperto qualcosa?» cambiai discorso e prima che anche Shelley potesse controbattere, Brice non mollò l'osso «Dico sul serio, Sam. Finché non scopriamo a cosa sono dovuti i tuoi mal di testa non puoi permetterti di trascurare il sonno. Anzi non lo dovresti fare a priori.» lo guardai dritto negli occhi. Infine sospirai abbassando lo sguardo. Dovevo dargli retta, era questo che mi ero ripromesso di fare. «Hai ragione» dissi «Ma fammi vedere quello che è stato scoperto fino ad ora e prometto che ritorno di là.» continuai,
Brice annuì ma subito alzò l'indice e severo disse «Ti sorveglierò.» e si fece da parte per farmi raggiungere Shelley che mi informò degli ultimi avvenimenti «Ci vuole ancora qualche minuto prima che il computer riesca a identificare lo sfondo della foto.» Disse «Ti vedo un po'... pallido.» aggiunse dopo un momento di silenzio. La guardai «Sarà stato il sogno che ho fatto.»
«Incubo?»
«No, ma... è stato strano.» confessai. Cambiai ancora discorso rivolgendomi a John «Come sta il ragazzo?»
«Ancora non ha ripreso i sensi. Ma sta molto meglio. Dopo tutto neanche cinque ore fa lo abbiamo trovato...» alzò le spalle e continuò «Sarebbe un miracolo se si svegliasse ora, ma non ci spererei. Per quanto le ferite si stanno rimettendo bene, ha bisogno di riprendersi.»
Annuii sentendo la sua diagnosi. «C'è altro?» Chiesi a tutti e due. Si guardarono ma non riuscii a capire le loro facce. «Quindi?» non ricevendo risposta, insistetti.
«Beh, ricordi i file inerenti alle case che abbiamo trovato sull'hard disk?» annuii alla domanda di Shelley. «Beh abbiamo scoperto che venivano usati come rifugi. Infatti sono tutti abbastanza vicini.»
«Quindi si tratta di-» un suono che provenì dal computer mi interruppe. Shelley diede completa attenzione alla macchina e subito disse «Ha trovato una corrispondenza.» tutti e tre eravamo accalcati davanti al PC «Disneyland, Florida?» lesse ad alta voce Brice. «Strano...» dissi pensieroso «Non ricordo di esserci mai stato.»
«Sarà, ma vale la pena andare a controllare.» Disse Shelley ottimista. «Si ma dopo aver dormito, è abbastanza tardi.» Aggiunse John guardando me. Ridacchiai «Va bene, va bene.» alzai le mani e poco dopo mi diressi, sotto la sua supervisione, in camera di Brice. «Resterò qui.» Disse il medico sedendosi su una poltrona che tempo fa aveva portato dalla strada alla sua stanza. «Perché io devo stare sul letto se la camera è tua?» Chiesi sedendomi sul bordo «Perché tu hai molte ore di sonno arretrato, io sto bene.» Disse sbracandosi per mettersi comodo.
«Adesso sono un paziente?» scherzai, ma Brice mi guardò serio e preoccupato. Per un attimo avevo avuto l'impressione che avesse una qualche idea di quello che mi stava accadendo. Distolse lo sguardo restando in silenzio. Non feci domande, non insistetti perché a vederlo così significava che la situazione lo faceva soffrire. Non volevo essere io a infilare il coltello nella piaga.
«D'accordo.» dissi sdraiandomi a peso morto. Poco dopo Shelley bussò alla porta aperta e catturò la nostra attenzione. «Posso chiedervi se posso restare con voi per questa notte?» era imbarazzata nel chiedere una cosa del genere, anche se era comprensibile per l'ospite inaspettato. In realtà non sapevo se aveva paura di lui o la terrorizzava il fatto che ci fosse un ferito nel nostro edificio. «Certo» rispomdemmo all'unisono io e Brice. Mi alzai e lasciai il letto a Shelley ma mi fermò. «No tranquillo, a te serve di più» sorrise e sì sistemò accanto a Brice. Il silenzio crebbe nella stanza e piano piano si addormentarono. Io invece non riuscii a dormire e più la mia testa si riempiva di pensieri più faceva male. Per quanto mi impegnassi non c'era verso che mi facessi un pisolino, quindi mi alzai e raccolsi una coperta per tenere al caldo i miei amici. Quei pochi passi, ironicamente, mi stancarono e una volta sdraiato non ci volle molto prima che mi addormentassi.

Sognai ancora quelle altalene ma l'ambiente e le persone erano completamente cambiate. Era tutto un po' più cupo, come se fosse notte. Dalle tenebre oltre la luce del lampione sopra di me si sentii un rumore che fece accelerare il mio battito. Era sempre più vicino, con sempre più persistenza. Quando si trovò a un passo dal sorpassare la luce urlò con un tono orribile che mi spaventò «È COLPA TUA!»
Con uno scatto mi alzai a sedere sul letto di Brice. Avevo gli occhi sgranati, non riuscivo a calmarmi e per quanto questo non bastasse sentii delle goccioline cadere su dorso della mano. Non riuscivo a metabolizzare, subito pensai che fosse sudore, dovevo alzarmi e andare in bagno.
Sciacquare il viso mi sembrava la cosa migliore, quindi con frenesia mi diressi al bagno più vicino.
Aprii l'acqua e espettai che diventasse fredda. Intanto mi guardai allo specchio e non riuscivo a credere che quel riflesso fosse il mio. Ero pallido dallo spavento, tremavo col sangue che a piccole gocce scendeva giù dal naso.
Mi sciacquai il viso pulendo soprattutto il sangue. Non volevo che Brice lo vedesse.
Certo mi ero ripromesso che sarebbe cambiato tutto e che mi sarei aperto a ogni nuova sintomatologia ma questo era troppo. Iniziai a fare l'elenco dei sintomi già da un po' e non ne avevo mai parlato a John. Ero stupido a non dirlo a un medico, ma pensai che mi avrebbe visto solo come un paziente.
Avevo mentito quando avevo detto che non sapevo cosa volesse dire mio padre con "spero non ti siano venuti già i sintomi", volevo tenere per me la verità su questo fatto, per orgoglio se vogliamo, ma in realtà per ignoranza. Conoscevo i miei sintomi ma non la malattia, questa mancanza di conoscenza mi infastidiva e non avrei detto nulla finché non sarei giunto a una conclusione. Ma chi meglio di un medico poteva dirmi cosa avevo?
Chiusi il rubinetto guardando il mio riflesso. Ero sempre pallido ma almeno non tremavo più e non avevo più il sangue che usciva dal naso. Mi schiaffeggiai le guance per riprendere colore e tornai nella stanza di John.
Shelley lo usava come cuscino mentre lui dormiva beato. Entrambi avevano un sonno profondo quindi non si accorgevano mai di nulla.
Sorrisi a vederli così.
Sembravano davvero una figlia e un padre protettivo. Per una persona normale riscaldava il cuore quella visione, ma non per me. Io, invece, sentivo malinconia, tristezza e rancore, ma non verso di loro. Verso mio padre.
Strinsi i pugni e uscii da quella stanza. Mi rifuggiai da qualche parte per concentrare i miei pensieri sugl'indirizzi che erano stati trovati nell'hard disk.

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