PROLOGO

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Il MoonClan spiccava come una luce nel buio. Non era così buio, ma lo sembrava molto di più nei pressi del locale, dove sulla strada si riversava un fascio arancione, caldo, in grado di illuminare a malapena una piccola porzione del marciapiede. La pavimentazione della strada era resa scivolosa dal connubio di grosse e larghe pietre lisce che la rivestivano e dalla pioggia che era venuta giù fino a pochi istanti prima.

Abel si strinse nel cappotto, privo di chiusura, maledicendosi per il suo ritardo.

Ritardo aveva voluto dire meno tempo a disposizione e meno tempo a disposizione lo aveva convinto a scendere da casa già vestito per la serata. Il ché aveva significato trovarsi con le gambe a malapena coperte da sottilissimi collant, mentre tentava di non rompersi l'osso del collo procedendo lungo la strada, stando attento che i tacchi non si incastrassero tra le fessure dei mattoni.

Arrivò davanti l'ingresso del MoonClan praticamente in scivolata. Si fermò appena in tempo aprendo gambe e braccia, piegandosi appena su un fianco.

-Stavi cadendo- disse Hauke.

Abel alzò gli occhi su di lui, si portò una mano dietro la nuca e l'altra su un fianco. -Io non cado. Al massimo mi adagio al suolo con stile- ribatté.

Hauke rise. Il suono che produsse fu così gutturale da risultare graffiante, e Abel si domandò – come sempre gli capitava – se ridere a quel modo potesse essere doloroso per la gola.

La sigaretta che Hauke teneva tra le labbra tremò, la prese tra due dita, liberando la bocca, scoprendo una fila di denti bianchissimi, diritti, incastonati in un sorriso da batticuore.

-Sei stato dal dentista?- chiese e lo superò, entrando nel locale.

-Si vede?- gli urlò dietro Hauke, mentre Abel percorreva su gambe tremanti, intirizzite dal freddo, la stretta scalinata che conduceva nel seminterrato, lì dove si trovava il cuore del MoonClan.

-Gran bel lavoro di filo interdentale- disse e si chiuse alle spalle la porta dell'ingresso, senza attendere una sua risposta.

Ritardo voleva anche dire arrivare già quando la serata era decollata abbastanza da rendere il locale un cumulo di gente, fumo di sigarette, puzza di sudore, di cane bagnato, di cadavere.

Fece una smorfia e si fiondò sulla destra, infilandosi all'interno di uno stretto corridoio. Anche lì la luce pareva essere un optional e Abel finì per inciampare in qualcosa. Allungò le braccia in avanti, ritrovando l'equilibrio appena in tempo. -Chi diavolo è stato?!- urlò e imprecò.

Non ricevette alcuna risposta, anzi. I rumori provenienti dalla sala si fecero più sopiti. Si tolse le scarpe e continuò muovendosi a tentoni, stando attento a non urtare null'altro. Odiava il disordine cronico che contraddistingueva i dipendenti del posto. Pareva che Hauke li avesse assunti proprio perché accomunati da quella agghiacciante caratteristica in comune.

Abel detestava il disordine.

Entrò nel primo stanzino che si apriva sulla sinistra, lasciando la porta aperta. Quattro pareti cariche di umidità, un tavolino scrostrato in più punti dalla vernice, uno specchio all'interno di una cornice di lampadine e una sedia d'acciaio. La desolazione in Terra.
Neanche un granello di polvere.
Il luogo preferito di Abel.

Si passò una mano tra i capelli, facendoli ricadere sulle spalle come una morbida carezza e prese posto sulla sedia. Si guardò allo specchio. Imprecò. L'umidità aveva reso irregolari le linee dell'eyeliner. Diede un'aggiustatina al trucco, terminando il tutto con una doppia passata di rossetto.

Bussarono alla porta, anche se era aperta. Nessuno si sarebbe azzardato a invadere il suo spazio neanche per sbaglio.

-Sei pronta, Divina?- chiese Hauke.

Abel ridacchiò, si alzò ancheggiando, lasciando scivolare il cappotto sulla sedia. -Tu che dici?- domandò di rimando e l'uomo lo squadrò da capo a piedi con espressione ferina.

-Che continuo a dannarmi che lì sotto non ci sia una donna-

-Punti di vista- ribatté Abel a malincuore, nascondendo a fatica il sussulto di tristezza che gli smorzò il sorriso. Uscì dalla stanza, accarezzandogli in punta di dita una spalla. Ripercorse il corridoio e si stupì di trovarlo scarsamente illuminato da un neon ronzante. -Ogni tanto resuscita- disse atono, riferendosi al neon.

-Sì, anche lui ogni tanto torna tra i vivi-

-Uhm. Cambiarlo?-

-Sarebbe meno a tema-

-Che idiozia-

-Tesorino...-

-Sì, sì- lo interruppe Abel. -Qui comandi tu e nessuno può mettere bocca sulle tue decisioni. Ho mai protestato a riguardo?-

-Ogni giorno, ogni secondo-

-Mi sarà sfuggito-

Hauke rise a metà. Mezzo suono, solo di bocca. Soltanto un angolo delle labbra si sollevò, mentre l'altro rimase rigido.
Gli piaceva quando sorrideva a quel modo e ciò lo aiutò a ritrovare il buonumore.

-Ho fatto spostare gli scatoloni-

-Cianfrusaglie ovunque. Questo perché i tuoi dipendenti sono ligi al lavoro come dei bradipi in letargo-

-Tesorino...- borbottò Hauke.

Abel sorrise e si morse il labbro inferiore, reclinando il capo nella sua direzione. -Come te li scarti tu, collaboratori super efficienti- disse con tono ironico.

Hauke sbuffò dal naso e arrivarono sulla soglia della sala principale. Allungò un braccio, poggiandone la mano sul suo petto, impedendogli di andare oltre.

-Mi stai toccando le tette- sibilò ironico.

Hauke ritrasse la mano. -La tavola da surf, vorrai dire- borbottò a mezza voce.

Gli rispose con una gomitata in un fianco. L'uomo accusò il colpo solo per farlo contento, Abel non ne dubitava, ma fu bello vederlo piegarsi di lato mentre gli sfuggiva un gemito dalle labbra. Hauke era una montagna umanoide di due metri, quasi, per circa novanta chili. Poteva solo sperare di perforargli un fianco con il proprio gomito affusolato, ma quest'ultimo non era un'arma propriamente appuntita. Né tantomeno un'arma.

-Ricorda che anche tu sei un mio dipendente-

Gli sorrise glaciale. -Io sono la tua stella-

-Sicuramente. Ma tira meno la corda intorno al collo degli altri-

Abel batté le palpebre con fare civettuolo e Hauke rabbrividì. Adorava vederlo lottare tra il desiderio di cedere alle sue avances e i propri principi. Compì un passo nella sua direzione e si trovò costretto a sollevare il viso per poterlo guardare negli occhi, dal basso del suo metro e settanta – compreso di tacchi – decisamente scarso. -Mi devi un nuovo paio di Louboutin- sussurrò e fece schioccare la lingua contro il palato.

-Che?-

-Scarpe. Scarpe con il tacco, suola rosso fuoco. Identiche a queste che si sono rovinate grazie ai tuoi dipendenti efficienti. Guarda!- urlò l'ultima parola, facendolo sussultare, indicandosi la punta della scarpa destra. -Rovinate!- scandì sillaba per sillaba, puntando verso un micro segmento bianco sulla scarpa, all'altezza dell'alluce.

-E va bene, che sarà mai...-

-Milleduecentotrentasette euro e dodici centesimi-

-Quanto?- tuonò Hauke, senza fiato per lo stupore.

-Grazie! Sei il capo più meraviglioso al mondo!- esclamò Abel e corse dentro la sala, facendo il suo ingresso trionfale. -La Divina è arrivata!-

ARABESQUE Onde histórias criam vida. Descubra agora