47 - David, David...

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L'appartamento è completamente al buio quando entriamo. Lui mi tiene per mano, la sua stretta è forte e decisa. So che pensa potrei cambiare idea sulla mia decisione.

Sono pronta ad ascoltarlo. 

Non mi giudicare per quello che ho fatto, sono state le sue ultime parole prima che io acconsentissi. Dopo un ultimo ballo insieme, fatto di parole non dette, mi ha trascinata via dalla villa.

______________

Mi siedo sul divano, mentre lui porta due calici di vino. Sono consapevole di aver già bevuto abbastanza per stasera, ma il mio sesto senso mi dice che un po' di alcool in corpo potrebbe solo che farmi bene.

Si siede sulla poltrona, sganciandosi il papillon che ora pende sulla sua camicia. Il suo sguardo è corrucciato, capisco che non sappia da dove iniziare.

Così, decido di prendere io la parola, mentre tolgo le scarpe e mi metto più comoda.

"Per che cosa non dovrei giudicarti?", gli chiedo con tono calmo, il migliore con cui mi sento di cominciare.

"Forse è meglio andare per gradi" suggerisce lui allentandosi il colletto.

"Ti ho mentito" dice dopo qualche secondo. Non potevamo iniziare nel modo peggiore.

Mi si crea un nodo alla gola. "A che riguardo?"

"Su quello che è successo quando sono tornato dall'Italia", dice prima di fare un sorso, "non è andata proprio come ti ho raccontato", con una mano si porta indietro un ciuffo che gli ricadeva sugli occhi.

Poso il bicchiere sul tavolino in vetro davanti a me, pronta ad ascoltare qualsiasi cosa debba dirmi, sicura che mi ferirà.

"Ma se l'ho fatto, è stato per.."

"Proteggermi" continuo io, seria e impaziente.

Lui annuisce, capendo che è arrivato il momento di dirmi la verità. "Bene..." sospira, prima di finire completamente il vino nel calice.

"Come ti ho detto ero ubriaco fradicio ma, come ti avevo anche giurato, ho chiuso con quella merda, quelle pasticche."
"Quelle che ho trovato nel cottage" aggiungo.

"Non ho chiamato nessuno per farmele portare" dice smentendo la versione che mi aveva dato. "So bene come mi riducevo a prenderle, non avrei mai permesso che mi rovinassero di nuovo".

Annuisco, felice allora che l'idea di drogarsi non gli sia passata per la mente, anche se mi aveva ferita a morte quando me lo aveva detto.

"Come sono arrivate quelle pastiglie nell'armadietto?" gli chiedo, avvicinandomi a lui mettendomi sul lato del divano.

Lui solleva lo sguardo.

"Quando sono arrivato a New York ho detto a Trevis di andarsene. Poi sono salito in casa. Era tutto buio, e all'inizio non mi sono accorto di nulla", dice prendendo un grande respiro. "E non ero neanche abbastanza lucido, da accorgermi che non ero solo".

Il mio cuore smette di battere per qualche istante. "Lei era qui.." dico con un filo di voce.

Non dice nulla, abbassa solamente il suo sguardo. Dio.

"Seguiva i miei movimenti da giorni. Non so se si aspettasse o meno di trovarmi in casa, non si è fatta sfuggire nessuna emozione di sorpresa". Lo ascolto attentamente, aspettando che prosegua.

"Non sapevo come comportarmi. All'inizio la rabbia ha preso il sopravvento. Credimi ero furioso. Ho pensato a cosa sarebbe potuto succedere se ci fossi stata tu in casa.. Dio, non ci voglio neanche pensare" dice alzandosi lentamente dalla poltrona, per versarsi altro vino.

Fidati di meWhere stories live. Discover now