12.

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In questo capitolo sono presenti scene forti e violente.


Entrai in casa di soppiatto cercando di non fare rumore. Terrorizzata e col cuore in gola, mi guardai attorno mentre i miei occhi si abituavano al buio.

Avevo una bruttissima sensazione.

Mia madre era ancora a lavoro, non doveva esserci nessuno a casa.

Avanzai in cucina facendo attenzione a non fare rumore. Sembrava tutto apposto.

«Eccoti finalmente, brutta puttanella!» riconobbi subito la voce alle mie spalle, la protagonista dei miei incubi peggiori.

Mi voltai di scatto terrorizzata, lui fu velocissimo e mi sbatté contro il muro con forza.

«Pensavi di essere stata furba?!» urlò mio padre stringendomi la gola.

Tossii in cerca d'aria, tentando di togliermelo di dosso invano.

«Tu e quella troia di tua madre avete rubato i miei soldi!» sputò, gli occhi infuocati dalla rabbia. Mi sbatté ancora contro il muro.

Le lacrime cominciarono a cadermi copiose dagli occhi.

«S-Scusa papà...» non mi fece neanche finire di parlare che mi tirò un ceffone sulla guancia.

Un altro e un altro ancora. Sentii il sapore salato del sangue in bocca, mi dimenai invano, cadendo a terra con le gambe che cominciarono a tremarmi dalla paura.

Lui non si fermò. Continuò ad inveire su di me, insultandomi, sputandomi addosso quanto mi odiasse e quanto sia stata l'errore peggiore della sua vita, tirandomi calci nello stomaco.

Ero ormai senza forze, non riuscivo neanche più ad urlare. Sentivo un dolore lancinante ovunque, non capivo da che parte del corpo provenisse.

«Dove sono i soldi? Dove sono i miei cazzo di soldi?!» urlò tra un calcio e un altro.

Sputai sangue arrancando in cerca di aria. Non ti darò un cazzo, avrei voluto dirgli. Ma non riuscivo a parlare.

«Dillon, lasciala subito!» sentii mia madre e poi un tonfo.

Mamma, scappa, vattene!

Vidi mio padre allungare le mani addosso a lei.

«N-No! Lasciala subito, bastardo!» urlai con tutte le mie forze, strisciando affannosamente a terra verso di loro.

Riuscii ad alzarmi appoggiandomi al bancone della cucina, lo tirai da dietro per le spalle.

«Allontanati Lexus!» urlò mia madre piangendo. Lui le diede un colpo con la prima cosa che si trovò davanti alla testa facendola cadere inerme sul pavimento.

«Mamma! Mamma svegliati!» urlai mentre una pozza di sangue si fece spazio sul pavimento.

Tentai di raggiungerla, ma mio padre tornò su di me, mi divincolai lasciandogli dei graffi e tirando calci e pugni. Un colpo sullo zigomo mi fece cadere di nuovo a terra.

«Brutta puttana, sei esattamente come tua madre, una lurida puttana.» sbraitò facendomi voltare a pancia in giù con la forza. «Ti sei anche vestita come una puttana.» Mi alzò la gonna che indossavo e mi strappò le mutandine. «Servi solo a questo, nient'altro!»

«No! Lasciami subito!» urlai con tutte le mie forze tra le lacrime. Lo sentii slacciarsi la cintura dei pantaloni.

«No! Papà, lasciami!» Ogni mio tentativo di fuga era inutile.

«Non aprire bocca. Mi devi rispetto!» urlò sculacciandomi.

Mi tirò per i capelli facendomi alzare la testa all'indietro per tenermi ferma. Si avvicinò al mio orecchio.

«Non vali niente.» mi sussurrò con l'alito che puzzava di alcol.

Mi penetrò da dietro con forza, un dolore lancinante si fece spazio dentro di me. Non potevo crederci che stesse accadendo.

Urlai dal dolore, piangevo, mi dimenavo.
Ma lui continuò a spingere sempre con più forza e veemenza.

Lì, sul pavimento freddo della cucina, mentre mi chiedevo se mia madre fosse ancora viva, tra le lacrime, sfinita e con un enorme senso di impotenza.

Guardavo il suo corpo inerme, in una pozza di sangue con la vista offuscata dalle lacrime, mentre i colpi si facevano sempre più veloci e dolorosi come lame affilate.

Pensai che poco prima ero la ragazza più felice del mondo. Pensai a Eddie e a quanto fossi stata stupida a pensare che fosse tutto passato, che ce l'avessi fatta.

Facevo fatica a tenere gli occhi aperti, non sentivo più niente, mi fischiavano le orecchie. Non riuscivo più a reagire, ero sfinita.

Poi il buio.

'86 Baby! || Eddie Munson Where stories live. Discover now