14.

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Arrivai in ospedale frastornato e col cuore in gola.

Non sapevo assolutamente dove fosse Lexus, girammo per un po' nel grande atrio, finché non trovammo la reception.

«Uhm... Salve, cerchiamo Lexus Murphy.» esordii appoggiandomi al bancone.

L'uomo mi squadrò da sotto gli occhiali da vista che portava sulla punta del naso.

«Siete parenti della paziente?» chiese atono.

Io, Steve e Robin ci guardammo per un brevissimo tempo.

«Amici.» dissero all'unisono.

«Sono il suo ragazzo.» mentii nella speranza che mi facesse entrare.

Riuscivo a sentire chiaramente gli sguardi esterrefatti dei due ragazzi alle mie spalle.

Ci guardò con i suoi piccoli occhi, poi tornò con lo sguardo sui fogli che stava compilando.

«Mi spiace, ma non può vedere nessuno se non i membri della sua famiglia.» rispose sbrigativo.

«Lei non ce l'ha una famiglia.» risposi freddo cercando di mantenere la calma. «Non più.»

La madre faticavo ancora a crederci che fosse morta, suo padre non sapevo né chi fosse né dove fosse. Lei non me ne aveva mai parlato ed io avevo preferito non chiederglielo.

Sapevo bene come ci si sentiva a non avere una famiglia.

L'uomo alzò di nuovo gli occhi, poi sbuffò.

«Okay, va bene. Entri solo tu, gli altri fuori.» disse indicandomi e dandomi un tesserino di accesso alle visite.

Annuii, lanciai uno sguardo a Robin e Steve. «Tranquilli, vi aggiornerò subito.»
Misi il tesserino in tasca.

«Ti aspettiamo in giardino.» mormorò annuendo Steve. Circondò le spalle di Robin col braccio per rassicurarla ed uscirono.

L'uomo mi diede le indicazioni per raggiungere la stanza di Lexus, lo ringraziai e dopo qualche bestemmia mormorata a bassa voce perché quel cazzo di ospedale era troppo dispersivo, finalmente la raggiunsi.

Bussai ed entrai nella stanza.

Un brivido mi percorse la schiena quando la vidi.

Era distesa sul letto, bianca come un cadavere. I capelli erano sparpagliati sul cuscino e stava dormendo profondamente.

Gli occhi erano contornati da occhiaie violacee, uno dei due era gonfio e nero.

Era ricoperta di graffi e lividi sul viso e sul corpo e le labbra erano secche e bianche.

Mi avvicinai tentando di non fare rumore per non svegliarla e presi la cartella clinica che era appesa ai piedi del letto.

"Contusione cranica, contusione regione lombare, contusione polso destro e sinistro, escoriazioni sugli arti..." E così via.

Mi passai una mano tra i capelli sospirando.

Ma che cazzo ti hanno combinato...

«È sotto sedativo.» un'infermiera abbastanza bassa e robusta fece capolino nella stanza. «Quando l'hanno portata qui era sotto shock.»

Rabbrividii. «Lei sa dirmi cosa è successo?» mostrai alla signora il tesserino che avevo in tasca.

Lei annuì. «A quanto pare una persona ha fatto irruzione in casa loro, non si sa chi sia. È scappato. La polizia sta aspettando che lei si svegli per raccontare i fatti.»

Annuii. «Lei cos'ha? Si riprenderà?»

La signora mi guardò sospirando. «Nulla di grave, contusioni ed escoriazioni. Purtroppo non posso dire lo stesso dal punto di vista psichico. Ha subìto un forte stress emotivo, avrà bisogno di più affetto possibile, credo anche di un buon sostegno psicologico. Dobbiamo aspettare che si svegli ma ora ha bisogno di riposare.» mi spiegò. «Povera piccola.» scosse il capo costernata.

Profondamente avvilito, presi posto accanto a Lexus su uno sgabello. Le presi la mano libera dalla flebo e la strinsi delicatamente.

L'infermiera dopo essersi accertata che fosse tutto okay, mi diede una pacca di incoraggiamento sulla spalla e uscì svelta dalla stanza lasciandoci soli.

Guardai la ragazza distesa affianco a me accarezzandole delicatamente il dorso della mano col pollice.

Vederla lì inerme mi dava un enorme senso di impotenza.

La rabbia cresceva a dismisura dentro me mentre vedevo da più vicino i segni che le aveva lasciato quel bastardo figlio di puttana.

Il collo era viola, come se qualcuno avesse tentato di strangolarla. Il nasino all'insù era graffiato, il labbro inferiore spaccato.

Con la mano libera le spostai una ciocca di capelli dal viso e distrattamente lasciai scorrere le dita sul suo zigomo arrossato.

Chi ti ha fatto questo la deve pagare, dovessi farlo io con le mie stesse mani.

Ero adirato, infuriato, avrei urlato e spaccato tutto. Strinsi forte la mascella sbuffando dal naso.

Cercai di calmarmi, respirando lentamente. Non dovevo farmi condizionare dalla rabbia.

In quel momento dovevo concentrarmi solo su di lei, l'avrei protetta, sostenuta e aiutata in qualunque modo mi fosse possibile.

Era rimasta sola, non aveva nessuno se non me e i suoi amici.

La guardai indugiando sul suo petto e sul ventre, vederla respirare lentamente su e giù mi calmava. Sembrava serena.

Era bellissima anche in quello stato. Il suo profumo dolce come zucchero filato sovrastava la puzza di alcol e disinfettante che aleggiava nell'ospedale.

Almeno era viva, era salva.

Non osavo immaginare il dolore che aveva provato, la paura, il terrore che un evento simile potesse averle arrecato.

Chiunque fosse entrato in casa sua doveva avere uno scopo, un ladro qualunque non avrebbe ucciso senza motivo.

Doveva essere qualcun'altro, un conoscente o addirittura un parente.

Chiunque sia non la passerà liscia.

«E-Eddie?» la sua flebile voce mi risvegliò dai pensieri.

Scattai in avanti stringendole la mano tra le mie. «Sono qui.»

'86 Baby! || Eddie Munson Where stories live. Discover now