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EDDIE'S POV

Che roba schifosa il lunedì. Lo odiavo a morte, non mi ci sarei mai abituato a quel giorno della settimana.

Ogni volta ricominciava la solita routine: sveglia presto, mio zio Wayne che mi buttava giù dal letto urlandomi che ero uno scansafatiche, doccia, colazione al volo e dritti a scuola.

Quella mattina zio Wayne era stranamente di buonumore, di solito era burbero e scontroso. Oggi invece era intento a preparare la colazione fischiettando.

Avevamo un rapporto fatto di sguardi e poche parole, ma ci volevamo un bene dell'anima.

Zio Wayne mi prese con sé quando ero solo un ragazzino spaventato.
Mia madre morì quando ero molto piccolo e mio padre finì in prigione quando avevo circa undici anni.

Si prese cura di me come se fossi suo figlio, mettendomi sotto la sua ala protettrice. E sebbene non fossi mai stato un ragazzo tranquillo e gli avessi dato un bel po' di filo da torcere, non mi aveva mai fatto mancare nulla.

Mi ricordo ancora quando al primo anno di liceo mi rimproverava perché non volevo fare i compiti e andavo male a scuola.

Oppure quando iniziò a prendermi in giro perchè i miei capelli cominciarono ad essere troppo lunghi.

«Dovresti trovarti un barbiere, Eddie.» mi diceva.

A volte gli facevo degli scherzetti, quando durante la nostra serata film, si addormentava sul divano ed io gli riempivo la bocca con la panna montata.

Ridacchiai tra me e me ripensandoci.

Facemmo colazione insieme ed andai a scuola.

Odiavo quell'edificio, odiavo essere etichettato in base ai voti, odiavo essere considerato quello strano. In più, la scuola non faceva per me.

Ho dovuto ripetere il terzo anno due volte. Non per stupidità, semplicemente avere un impegno come quello di fare i compiti e studiare, non faceva per me.

L'unica cosa che mi faceva stare bene era l'Hellfire Club, per me non era solo un semplice passatempo, era un modo per scappare dalla realtà orribile che in quel periodo vivevo.

Creavo un personaggio, salvavo delle vite, combattevo coraggiosamente.

Nel mondo di D&D non ero Eddie lo Strambo che non riusciva a diplomarsi, ero un eroe.

Poi un giorno è arrivata una piccola, bellissima - molto simile ad una fata degna di D&D - ragazza, Lexus.

Dio solo sa quanto significhi per me.
Nonostante inizialmente fosse timida e impacciata, mi ha subito dato fiducia.

Non si è fermata alle apparenze, mi ha guardato dentro, ci ha scavato ed è riuscita a tirare fuori il meglio di me.

Mi incoraggiava in tutto ciò che facevo, sapeva come prendermi e sapeva tenermi testa quando voleva.

Anche quando la punzecchiavo con quelle battute orribili, a volte mi sorprendeva vederla rispondere a tono.

Mi resi conto di quanto fossi fortunato ad averla incontrata.

Quando la vedevo tutto ciò che sentivo era felicità, nient'altro che felicità.

Arrivai al mio armadietto aprendolo per prendere i libri che mi servivano per la prima lezione.

«Eddie!» mi voltai verso una Robin con gli occhi gonfi e rossi ed una faccia decisamente sconvolta.

I capelli arruffati, il naso arrossato e gli occhi ancora lucidi, era chiaro che avesse pianto.

«Che succede?» chiesi allarmato facendo vagare lo sguardo tra lei e Steve alle sue spalle.

Nessuno mi rispose. Steve si limitò ad abbassare lo sguardo, Robin mi guardava pietrificata come se fosse sotto una specie di trance.

Ero sempre più confuso, Robin la logorroica adesso era muta come un pesce. Cosa poteva essere successo? Non sarà mica..?

«Dov'è Lexus?» chiesi cercando di mantenere la calma.

Chiusi lo sportello dell'armadietto e mi voltai completamente verso di loro.

I due si scambiarono uno sguardo complice, poi fu Steve a parlare.

«Eddie, ecco... Vedi...» cominciò.

«Parla, cazzo!» urlai dando un colpo nell'armadietto, attirando l'attenzione di alcuni ragazzi che passavano di la.

«Lexus è in ospedale.» disse Robin tutto d'un fiato, come se in quel momento avesse trovato le parole giuste da utilizzare.

Ci misi due minuti buoni ad elaborare quella frase.

In ospedale? Che cazzo...?

«Che cazzo stai dicendo?!» esclamai prendendola per le spalle. «Cosa è successo? Sta bene?» urlai con gli occhi ricolmi di rabbia e preoccupazione.

«Stamattina sono andata a casa sua a prenderla... Ho trovato la polizia, un sacco di persone attorno alla sua casa ma di lei e la madre nessuna traccia.» disse con un filo di voce. Ingoiò il groppo che aveva in gola abbassando lo sguardo a terra. «Mi hanno detto che... C-c'è stato un omicidio.» disse tra le lacrime. «...S-sua madre...» non riuscì a finire la frase, scoppiò in un pianto disperato.

Era morta?

Non riuscivo a crederci. Chi aveva potuto farle questo? Lexus... Doveva essere terrorizzata.

«E cosa? Robin, lei come sta?!» chiesi scuotendola leggermente.

«Non lo so, Eddie. So solo che è in ospedale, non hanno saputo dirmi altro.» tirò su col naso asciugandosi le lacrime.

Le lasciai di scatto le spalle avanzando verso l'uscita.

Non lei, non lei. Dio, se esisti, fa che stia bene.

Un vuoto enorme si fece spazio nel mio petto, come una nube grigia pronta per la tempesta.

«Dove vai?» urlò dietro di me.

«Dove vuoi che vada?! Vado da lei!» urlai senza fermarmi. Non dovevo perdere altro tempo.

«Aspetta, veniamo con te!» esclamò Steve correndomi dietro insieme a Robin.

'86 Baby! || Eddie Munson Where stories live. Discover now