Capitolo Nove: "Occhi rossi"

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<< Questa è la mia umile dimora >> apre la porta di casa, dopo un lungo percorso in autobus silenzioso. Lui entra per primo, accendendo le luci del salone e aprendo le finestre, mentre io rimango immobile davanti la porta, il suo appartamento è piccolo ma pur sempre confortevole. Il divano a due posti sta al centro della stanza, di fronte ci sta una televisione circondata da una libreria. Dietro il divano, invece, c'è la cucina con il tavolo. Lui sta fermo davanti alle finestre e mi guarda.

<<Puoi chiudere la porta?>> indica dietro di me e solo ora mi rendo conto della porta rimasta aperta. La chiudo, cercando di non fare troppo rumore e poi raggiungo il tavolo della cucina dove lui ha già poggiato il suo zaino. Enea sparisce nel corridoio ed io rimango lì con il cuore in gola. Ritorna poco dopo, senza scarpe e con una maglietta diversa. Va verso la cucina e apre gli sportelli per vedere cosa c'è. <<Puoi sistemarti>> si gira verso di me <<Non so>> si gratta il collo imbarazzato e poi sparisce di nuovo nel corridoio, spuntando dopo qualche minuto con due magliette in mano. <<Magari vuoi cambiarti, ci sono i riscaldamenti un po' accesi quindi sono a maniche lunghe>> mi porge le magliette e mi continua a guardare.

<<Ah, giusto. Puoi andare nella mia stanza o nel bagno se preferisci>> gira attorno a me, poggiando la mano sulla bassa schiena e spingendomi delicatamente in avanti. Mi trasporta nel corridoio dove sono presenti solo tre porte. Lui apre la prima a destra, il bagno, le piastrelle blu, un lavandino con uno specchio. La doccia all'angolo e i sanitari coperti con un muretto. Mormoro un 'grazie' quando lui mi indica il mobile accanto al lavandino, dove posso poggiare le mie cose , e poi chiude la porta dicendo che mi aspetta in cucina.

Mi guardo intorno e provo un po' di imbarazzo a cambiarmi in un bagno sconosciuto e soprattutto di un ragazzo di cui non so niente. Mi lavo le mani, usufruendo della tovaglia nel portasalviette e mi faccio una coda morbida. Mi giro intorno, perdendo tempo, pensando a quello che potremmo mangiare a pranzo, soprattutto, se lui sta preparando qualcosa. Alla fine mi giro verso lo specchio, mi strizzo le guance - diventate pallide per il freddo - e faccio un lieve sorriso. Le occhiaie sono presenti e molto evidenti, il correttore di stamattina non è durato e vorrei dare una testata al muro per non averlo portato con me. Levo con i polpastrelli i grumi del mascara, che accentuano ancor di più le mie occhiaie, e tiro una linea immaginaria d'eyeliner con l'indice su entrambe le palpebre. So che non fa niente, ma avere la speranza che quel piccolo movimento potrebbe sistemare, o almeno, rendere meno stanchi e pesanti gli occhi, mi rasserena.

Lancio un'occhiata alle magliette che Enea mi ha gentilmente prestato e le apro entrambe cercando di capire qual è la più larga. Mi mordo il labbro scoprendo che quella a cui avevo già puntato gli occhi - una maglietta a maniche lunghe bianca - si reputa la perfetta candidata; ripiego quella blu e poi mi affretto a levare il mio maglione. Prima di sollevare del tutto il maglione mi ricordo che oggi non ho indossato il reggiseno e maledico mentalmente la me del passato che ha portato a casa di Martino un solo reggiseno, ormai sporco. Mi levo la maglietta, non osservando per niente il petto, infilando velocemente - per paura che lui possa entrare ma soprattutto per le mie insicurezze - la maglietta bianca di Enea. Appena il cotone mi cade addosso, riapro gli occhi ringraziando il cielo e tutti gli astri che il tessuto non è trasparente e aderente. Mi sistemo le maniche lunghe, che arriccio facendole arrivare e metà avambraccio, ripiego il mio maglione accuratamente e prendo un respiro profondo.
Vai Ambra, apri la porta e vivi! Questo mi ripeto in testa come una poesia.

Abbasso la maniglia della porta, facendo uscire prima di me le mie ansie e insicurezze. Gli lascio lo spazio necessario per non spingersi e non accalcarsi nel piccolo corridoio; penso anche che abbiano raggiunto la cucina prima di me perché quando arrivo Enea gira di poco la testa e poi ritorna con il capo chino sul bancone della cucina. Poso la maglietta non utilizzata nel bracciolo del divano - non avendo neanche il coraggio di dirglielo - poi, con passi veloci e piccoli, raggiungo la mia borsa, spostata nell’appendiabiti all'ingresso. Apro il maglione, piegandolo in verticale e inserendolo tra i due braccianti della borsa. Mentre vado in cucina noto una piccola foto, posta nella parete vicino alla porta. Una signora, con la pelle candida, in contrasto con i colori scuri dei capelli, ha in una mano un mazzo di fiori mentre nell'altra sventola in aria un paio di chiavi in uno sfondo condominiale, che è niente di meno la porta di casa vista dal pianerottolo. Istintivamente, allungo un dito per toccare la cornice ma il mio movimento si ferma quando una voce alla mia spalle mi fa sobbalzare.

Amare è come volare Where stories live. Discover now