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Un funerale.
Lui è morto, finalmente.
Poso le mani sulla mia pancia e sento una sensazione di ribrezzo che mi avvolge, nonostante io ami questo bambino, non farà che ricordarmi la persona che più ho odiato al mondo.
Lancio uno sguardo furtivo dall'altra parte della chiesa e vedo tutta la mia famiglia riunita, che finge dispiacere.
Solo una persona è così incazzata che non riesce neanche a muovere un dito: mio padre. Si vede lontano un miglio che odia i Ricci ancor più di prima dopo che hanno mandato a puttane il suo piano per prendere più territorio.
Torno concentrata su ciò che dice il sacerdote, nessuno sa al di fuori di mio padre che è stato il mio attuale ragazzo ad aver ucciso Emanuele, per ora tutti credono che mia madre mi abbia venduto ai Ricci in cambio di piazze per vendere cocaina.
Nonostante i Di Salvo siano diventati più forti dei Ricci, questi ultimi hanno comandato Napoli per generazioni e la fedeltà di uomini e sbirri la hanno ancora loro. Ultimamente, però, con le mie conoscenze sto aiutando i Ricci a riacquistare potere, svelandogli tutte le tecniche di mio padre.
Ma la cosa che riesco a capire ora che sono lontana dalla mia famiglia è che ero diventata una persona che non volevo essere: una camorrista.
Dopo tutti i tradimenti avevo lasciato che il dolore prevalesse su ciò che avevo, che era poco è vero ma abbastanza per continuare a lottare.
La verità è che aver rincontrato Ciro mi ha aiutato.
Mi ha riportato la leggerezza che mi portavo sempre dentro da quando ero bambina, quella leggerezza che usavo per dimenticare il dolore.
Ora uso quella leggerezza per alleviare il dolore perché ho capito che non si può dimenticare, ho capito che dimenticare e perdonare sono cose ben diverse. L'ho capito perché ho perdonato Ciro nonostante quello che ha fatto (anche se non ho dimenticato) e perché non perdonerò mai mio padre per tutto quello che ha fatto a mia madre. Prima pensavo fosse lui ad avere ragione, prima di capire i pugni, gli schiaffo e le spinte, prima di capire le urla e gli insulti.
Prima di capire cosa significa violenza domestica.
E quando viene il mio turno di parlare, lo faccio senza problemi. «non so cosa dire, Emanuele infondo, era tante cose. Sono sua moglie e in quanto moglie dovrei, non so, onorarlo con parole dolci. Dovrei dire come il nostro primo incontro mi ha fatto venire le farfalle nello stomaco, come ogni sera facevamo l'amore e lui mi faceva carezze e abbracciava forte, dandomi tutta la sua forza. Dovrei dire che non troverò più una persona come lui, che amerò quanto ho amato lui. Ma non è vero, il nostro primo incontro mi ha fatto venire la nausea e ho vomitato tutta la mattina, mi violentava e dopo mi teneva così stretta che non riuscivo neanche a respirare, e dopo sentivo il suo profumo e il suo genitale che strusciava contro di me e mi faceva provre ribrezzo per me stessa e no, non ho paura, non ho paura di voi o di dire queste cose in una chiesa perché il Dio che tanto venerate avrebbe dovuto aiutarmi e non l'ha fatto perché quest'uomo ha continuato a viomentarmi, a picchiarmi e a lanciarmi addosso parole orribili.
«ma nonostante questo immagino che Emanuele fosse anche altro, è stato un figlio fantastico e forse sarebbe stato un marito perfetto per un'altra donna, una che forse amava di più.» lancio uno sguardo alla sua amante che mi guarda tra l'amore e l'odio.
«Emanuele era tante cose, ma per me è stato la versione peggiore di se stesso, e l'ho accettata, perché lo amavo anche se forse molto meno di quanto avrei dovuto. E non importa se io ho detto questo, se io non l'ho amato abbastanza perché se i suoi genitori lo hanno amato, se qualche donna prima di me lo ha amato e tanto, allora forse meritava di essere amato.» scendo dal piccolo altare e guardo il corpo di Emanuele, senza farmi vedere, sputo dentro la bara e poi me ne vado.
Ho detto che lo amavo, ed era vero.
Perché un po' l'ho amato, all'inizio non andava così tanto male: non ero felice ma non ero nemmeno triste, stavo mediamente bene sono iniziati pian piano i problemi.

Ma non importa, questa è una parte della mia vita che ho appena vhiudo definitivamente.

3 anni dopo.

Il piccolo Thomas cammina un po' inciapicando sui suoi stessi passi verso Ciro che è appena tornato a casa. Ciro prende in braccio il piccolo e lui gli fa la linguaccia.
Sono in pace.
Ho un lavoro, ho mio marito (si io e Ciro ci siamo sposati) e c'è nostro figlio.
È tutto perfetto, non potrebbe andare meglio di così.
«amore», mi chiama ed io mi alzo e dirigo verso di lui, mi bacia e poi sento il campanello di casa suonare. «chi è?» chiede lui. «Kubra e Pino.» Ciro rotea gli occhi al cielo e raccoglie qualche gioco di Thomas da per terra.
«vengono ogni santa domenica! È l'unico giorno in cui siamo soli, è incredibile che tu lo voglia passare con quei due psicopatici!» esclama ed io rido mentre gli apro il portone.
«smettila! Scopare tutto il giorno non è una scusa per non farli venire qui a pranzo.» dico, mentre aspetto che salgano fino al quinto piano, a piedi tra l'altro dato che l'ascensore non funziona. «vieni qui.» mi dice con quel suo sorrisetto mentre posa il bimbo dentro il box. «cosa hai intenzione di fare Ciro Ricci?»
«una sveltina?»
«non siamo così veloci, a meno che tu non abbia perso colpi.» lo stuzzico e lui scuote la testa. Mi prende il viso tra le mani e mi bacia, ricambio subito affamata di lui, cazzo non scopiamo da davvero tanto tempo!
Dopo un po' che pomiciamo sento il campanello di casa suonare. «fottuti stronzi», sento borbottare Ciro mentre vado ad aprire. «ehy ragazzi che ne dite di prendere il piccolo Tommy e andare a pranzare fuori? Io qui ho davvero tantissime cose da fare.» Pino mi guarda e ride. «ah è così? Scopare è più importante di noi?» divento paonazza in viso ma Pino entra e prende Tommy. «tranquilla, fatelo, Ciro mi sembra stressato.» il sottoscritto gli fa il medio ma Pino lo ignora e inizia a cantare una qualche canzone napoletana mentre esce di casa. «te la farò pagare, ragazza.» dice Kubra ed io gli do un bacio sulla guancia per ringraziarla. «non ci avrei scomesso nemmeno un soldo su voi due, invece eccovi qui.» aggiunge poi ed io alzo le spalle mentre la saluto. Chiudo la porta e poi cammino sexy verso Ciro trattenendo un sorriso, lui mi prende in braccio e mentre mi bacia mi porta in camera da letto e sono completa.
Felice al massimo.
Mi stende sul letto e io eccitata gli slaccio la cerniera dei jeans, abbasso le sue mutande e prendo in mano il suo cazzo, lui si lascia sfuggire un gemito ed io ridacchio, almeno finché non mi abbassa i leggins e sposta le mie di mutande da una parte, torturandomi nel mio punto sensibile.
«Dio...»
«ti piace eh?»
«dov...resti saperlo dato che... Oh.. dio così», mi mette un dito dentro e io gli stringo il cazzo, poi lui ai abassa e cazzo! Lui tra le mie gambe è la cosa più bella del mondo, oh no, lui che inizia a leccarmela è la cosa più bella del mondo. Sento la sua lingua che fa cose davvero, davvero tanto perverse, aggiunge un dito che mi stuzzica il clitoride ed è stupendo, noi due lo siamo sempre stati.
Abbiamo fatto scintille, facciamo scintille e faremo per sempre scintille.
Siamo sempre stati i migliori insieme.
Si tira su e mentre io inizio a masturbarlo un po', lui si sistema meglio sopra di me e poi senza nemmeno prendere un preservativo, entra dentro di me e urlo di piacere.
Inizia a muoversi e mentre iniziamo a prendere un ritmo, lo guardo, in quei suoi due pozzi neri. Lo bacio. «ti amo, Ciro Ricci, non sarai perfetto come persona ma sei perfetto per me.»
«ti amo anche io Clarissa Nives Di Salvo.»

Spazio autrice:
Eccoci qui, il prossimo è un brevissimo capitolo ed è l'epilogo, spero che questo capitolo vi piaccia e ricordate di mettere mi piace e commentare la mia storia.

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