Intro

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Fisso un punto indefinito nel muro, mentre la mia psicologa prende appunti. Nella stanza c'è un ventilatore posizionato in un angolo, ma non serve ad attutire il caldo. E siamo solo a maggio.

Faccio oscillare le gambe come fanno i bambini, avanti e indietro, mentre mi chiedo che cosa ci sto a fare qui. Ah già, è vero! Sono qui perché la mia vita è andata a puttane letteralmente.

Sbuffo esasperata e catturo l'attenzione della psicologa: si sistema meglio gli occhiali e mi guarda, in attesa che dica qualcosa. Si chiama Taylor o qualcosa di simile, ha all'incirca 40 anni e porta i capelli a caschetto. Mi segue ormai da tre anni, anche se ho un carattere difficile.

"Dovresti prendere in considerazione l'idea di andare avanti, sei così giovane". Parla con tono gentile, so che vuole fare solo il suo lavoro, ma lei che cazzo ne sa?

"Non voglio andare avanti, che ne sa lei di quello che sto passando da tre anni a questa parte, del dolore che mi attanaglia lo stomaco e mi stringe come in una morsa? Andare avanti significa dimenticare e io non voglio farlo". Sbotto.

Mi guarda con comprensione e a me dispiace averle risposto male, tento di rimediare

"Mi scusi, non volevo essere sgarbata".

Accenna un lieve sorriso e annuisce, mentre in me il senso di colpa si allevia.

"So che non posso capire il tuo dolore, non ci sono passata. Ma Nina, hai 21 anni e tutta la vita davanti. Purtroppo certe volte essa é ingiusta. Non spetta a me giudicare le tue scelte, vorrei solo che tu andassi avanti, alla fine questo è il senso del nostro percorso, non solo elaborare il dolore, ma saperlo affrontare e passare oltre".

Chiude il quaderno degli appunti e da una rapida occhiata all'orologio sulla parete

"La nostra ora insieme è finita, ci vediamo la settimana prossima. Rifletti sulle mie parole".

Annuisco meccanicamente, finalmente sono libera.

Esco in strada e mi accendo uno spinello: ho bisogno di calmare i nervi e l'erba mi aiuta in questa impresa.

Cammino ispirando ed espirando il fumo e pian piano mi rilasso completamente. Raggiungo la fermata della metro e spengo lo spinello prima di salire.

Prendo posto vicino al finestrino, infilo le cuffie nelle orecchie e imposto una playlist a caso.

Vivo nel quartiere di Calvairate a Milano, in un palazzo popolare insieme a mio padre e a mia sorella Lara, più grande di me.

Nostra madre è sempre stata particolare: anziché occuparsi delle figlie pensava ai fatti suoi, finché un giorno, quando avevo 12 anni, decise di lasciare nostro padre per un altro uomo e sparì completamente dalle nostre vite. Non ho più sue notizie da quel giorno.

Per nostro padre fu un duro colpo, in più non era facile tirare avanti solo con i suoi soldi. Così finita la seconda superiore Lara decise di ritirarsi e iniziò a cercare qualche lavoretto che potesse permetterci di tirare avanti in modo dignitoso e cercare di far studiare almeno me, anche grazie alle borse di studio.

A 15 anni conobbi Aaron e scoprì l'amore: con lui sembrava che i tasselli stessero andando apposto e mi sentivo felice come non ero mai stata. Ma la vita ha rivoltato nuovamente le carte in tavola e tre anni fa ha deciso di giocarmi il tiro più sporco togliendomi Aaron per sempre.

Da allora vivo con un dolore costante, che brucia come il fuoco, ma che non si riesce a placare.

Non è vero che con il tempo il dolore passa, sono tutte stronzate: impari a conviverci, come con una cicatrice che non è mai guarita del tutto. Vivo nel mio inferno personale.

Scendo alla mia fermata e proseguo a piedi fino a casa: il palazzo dove vivo è una vecchia struttura grigia e fatiscente. Varco l'ingresso che odora di fumo di sigarette e mi dirigo alle scale: l'ascensore non funziona da un po' di tempo e così mi tocca farmi 3 piani a piedi.

Inserisco la chiave nella toppa e, come entro in casa, tiro un sospiro. Mi richiudo la porta alle spalle e mi ci appoggio contro.

Lara mi osserva: è seduta al tavolo del soggiorno. Indossa una canottiera grigia e ha legato i capelli neri in una coda di cavallo. Il suo sguardo, così simile al mio, è indagatore.

Sa che ho fumato erba, non c'è bisogno che glielo dica. Ma non per questo mi giudica

"Come è andata la seduta?" mi chiede con dolcezza.

Prendo posto di fronte a lei prima di rispondere

"La psicologa dice che dovrei andare avanti, come se fosse facile".

Lara allunga una mano verso la mia e me la stringe

"Tesoro vederti così mi fa stringere il cuore. Tornerai ad innamorarti di nuovo".

Le lacrime pizzicano i miei occhi, ma non voglio piangere, mi autoimpongo controllo.

"Non posso: innamorarmi nuovamente vorrebbe dire dimenticarmi di Aaron. Lui era il mio primo amore".

Lara vorrebbe obbiettare, ma non lo fa. Si limita solo a starmi vicina, da brava sorella maggiore e a curare le mie ferite. O almeno provarci.

Stiamo in silenzio per un tempo che pare lunghissimo, dopodiché Lara si alza per preparare la cena, prima che nostro padre rientri dal lavoro.

Decido di darle una mano e inizio ad affettare le verdure, mi aiuterà a non pensare alla seduta dalla psicologa.

Taglio minuziosamente zucchine, carote e sedani. Mentre Lara prepara della carne di pollo.

Cambiamo argomento e ringrazio mentalmente mia sorella per ciò. Ho solo bisogno di riprendere emotivamente, domani starò meglio. Lo sento.

Paradiso Artificiale- TeduaWhere stories live. Discover now