Il passato di Mario- 14 parte 2

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16 anni prima

Mi trovo in un ufficio spoglio, seduto in una di quelle scomode sedie di plastica, dove l'unica cosa che c'è attaccata al muro è un orologio rosso, con un grande quadrante bianco e i numeri neri. Il suo ticchettio è l'unico rumore che si sente, dal corridoio non vola manco una mosca.

Seduta alla scrivania di fronte a me c'è la mia assistente sociale, Meredith, che sta scrivendo degli appunti sul mio dossier, dopo aver fatto tipiche domande di rito. Avrà all'incirca tra i quaranta e i quarantacinque anni, porta gli occhiali con lenti rotonde, su un viso allungato e i capelli dal taglio corto, di una tonalità ramata.

Sbuffo e accavallo le gambe, attirando la sua attenzione: mi fissa con due piccoli occhi grigi.

"Quindi come vanno le cose con la famiglia affidataria?"

Alzo le spalle: dove sono ora è la seconda famiglia al quale vengo affidato ed ho solo tredici anni. A volte mi chiedo cosa ho fatto di male

"Normale: vado a scuola, studio, cose così". So di avere un tono scocciato, ma sinceramente mi sono stufato di questa situazione. È da quando ho 10 anni che sono stato preso in carico dai servizi sociali e non vedo mia madre.

Sistema gli occhiali prima di proseguire con le domande, ne fa sempre tante, dev'essere tipico degli assistenti

"Non ti sei fatto degli amici?"

Alzo gli occhi al cielo

"Chi vuoi che perda tempo con un ragazzo che ha delle problematiche famigliari. Poi per cosa? Per vedere che gli altri hanno entrambi i genitori, mentre io vivo con due sconosciuti, non so dove cazzo sta mio padre e mia madre ha rischiato seriante di morire? No grazie, sto bene così".

Il mio tono è tagliente come la lama di un coltello, non me ne frega un cazzo di avere un caratteraccio, ma non voglio la compassione di nessuno, questo deve essergli chiaro.

Fa qualche altra annotazione, come minimo segnerà che sono un associale. Che faccia pure, non deve obbligarmi a farmi fare amicizia a tutti i costi. Voglio al mio fianco gente che non mi giudica, sto benissimo anche da solo sapete?

"So che provi della rabbia interiore, dovresti provare a sfogarti in qualche modo. Magari parlare con uno specialista". Azzarda Meredith.

Non rispondo, sbuffo solo più forte e mi passo una mano tra i capelli. Che palle questa! Ma chi si crede di essere. Che cazzo ne sa lei.

Meredith chiude il mio fascicolo e ci poggia le mani sopra, osservandomi attentamente. Mi sposto sulla sedia, cercando di ignorare il suo sguardo.

"Quando posso vedere mia madre? Ormai sono passati tre anni, dove l'ho solo sentita per telefono".

Parlare di mia madre mi calma, una specie di effetto placebo. Vederla piangere il giorno che ha ricevuto gli esami mi ha spezzato il cuore, cercavo di essere forte per entrambi, anche se ero solo un bambino. Quel ricordo mi scava una voragine dentro perché ho rischiato di perderla. Ho imparato troppo presto parole che non avrei voluto conoscere: leucemia, chemioterapia, trapianto di midollo. Giusto per citarne qualcuna.

Meredith mi fa un mezzo sorriso

"In verità era proprio di questo che volevo parlarti. Visto che tua madre sta meglio, stavo pensando che è giusto che tu la possa vedere. Ho intenzione di progettare degli incontri ogni domenica, per un paio di ore che poi valuterò. Almeno finché non tornerai a vivere a tutti gli effetti a casa".

Era ora: non ne posso più di questa situazione, mi sento in stallo da tre anni a questa parte.

Annuisco lentamente, sentendo il sollievo entrare in circolo nel mio corpo. Mi manca mia madre, ho voglia di abbracciarla e parlare di persona con lei.

Paradiso Artificiale- TeduaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora