ℂ𝕒𝕡𝕚𝕥𝕠𝕝𝕠 2

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L'indirizzo comunicato dall'agenzia condusse Catherine dinnanzi a un palazzo popolare dalla struttura piuttosto imponente, le cui mura tinte di grigio si alternavano a lunghi terrazzi ricolmi di vasi e finestrate dalle cornici scolorite, che conferivano all'edificio un aspetto piuttosto trasandato. Questo si affacciava su una via piuttosto trafficata sia di giorno che di notte, pur essendo localizzato in una zona periferica della città che ospitava diverse industrie e capannoni in disuso.
Erano le nove meno un quarto quando la ragazza si apprestò a raggiungere il portone a vetri, l'aria si stava raffrescando e il sole si apprestava a scendere lentamente dietro all'orizzonte; era giunta sul posto con un poco di anticipo, sperando di riuscire a fare una buona impressione all'anziana signora che, da quel che aveva capito, doveva essere la padrona di casa. Sistemò con cura il colletto della camicia bianca mentre saliva le scale di marmo scheggiato, con la valigia a tracolla e una bottiglia piena d'acqua stretta nella mano sinistra; aveva portato con se delle lenzuola pulite, un asciugamano, un cambio di vestiti e un buon libro che avrebbe potuto esserle utile per affrontare la lunga nottata.
La porta della famiglia Page si trovava al primo piano sulla sinistra, preceduta da uno zerbino piuttosto usurato che gli addetti alle pulizie avevano arrotolato e poggiato contro alla parete. Lo sguardo di Catherine si posò sul campanello posto accanto all'ingresso, ma attese alcuni secondi prima di premerlo; prima si concesse un lungo sospiro, ripetendosi mentalmente che tutto sarebbe andato alla grande e che non c'era alcun motivo di preoccuparsi.
Nell'attimo in cui premette l'indice sul pulsante, una melodia inusuale proveniente dall'interno dell'appartamento le fece trattenere il respiro, mentre poco dopo una voce femminile raggiunse le sue orecchie attraverso la porta.
-Arrivo... Solo un attimo!-.
La serratura fu sbloccata rapidamente e il volto gentile di una'anziana signora fece capolino; portava i capelli molto corti, di un castano un po' sbiadito, che incorniciavano un viso attraversato da molteplici profonde rughe. Un paio di occhiali dalla montatura rossa erano poggiati sul suo naso sottile mentre le labbra, sottili e appuntite, presentavano una colorazione insolitamente scura. -Sei quella delle notti?- le domandò, scrutando con interesse il profilo della giovane donna che aveva appena suonato alla sua porta.
Catherine annuì con un sorriso spontaneo, stringendo la cinghia del borsone che portava in spalla. -Salve signora, sì sono io- rispose, porgendo cordialmente una mano, che tuttavia l'altra non strinse. Come le accadeva spesso, la sua timidezza stava risultanto un ostacolo piuttosto importante nel primo approccio con una persona sconosciuta.
-Bene, bene- rispose l'anziana signora, facendo un passo indietro per invitarla ad entrare. -Ti stavo aspettando, mi hanno avvisata che saresti venuta stasera-. Il suo atteggiamento le parve sin da subito molto cordiale seppur distaccato, e questo non poté che placare almeno in parte le ansie di Catherine; dopotutto, quella vecchia signora non sembrava essere rude e severa come l'aveva immaginata fino a quel momento.
Varcando l'ingresso un pungente odore di disinfettante e di caffè punzecchiò immediatamente le sue narici, causandole un certo fastidio. Si trovava all'interno di un appartamento di dimensioni decisamente molto generose, ove un grande salotto sul quale troneggiava un imponente divano in pelle angolare conduceva in linea retta alla cucina ed alla terrazza, mentre sulla sinistra era connesso a tutte le altre stanze. L'ottantenne, con un sorriso piuttosto amichevole dipinto sulle labbra rugose, le fece strada a passo lento con le mani intrecciate dietro alla schiena. -Seguimi, come ti chiami?-.
-Catherine- rispose prontamente lei, mentre era intenta a far scorrere lo sguardo sulle pareti tappezzate di quadri e pensili di ogni tipo. L'abitazione era arredata con mobilia piuttosto lussuosa, ma decisamente datata; pareva, a tutti gli effetti, la classica dimora di una nonna benestante.
La padrona di casa si voltò brevemente indietro. -Non sarai mica straniera, vero?- le domandò, dimostrando ben poco tatto.
Ma lei, gentilmente, scosse la testa e sorrise. -Oh no, sono nata e cresciuta qui- affermò.
-Bene- commentò l'altra, riprendendo il lento cammino lungo il corridoio principale. La sua andatura era leggermente instabile, aveva qualche problema di deambulazione dovuto all'età ed ai dolori articolari di cui soffriva; nonostante questo, era evidente che quella vecchia signora fosse ancora piuttosto in gamba. -Da questa parte c'è la cucina- esclamò, indicando con una mano la porta socchiusa sul fondo. -È bene che tu pulisca il lavello e i fornelli tutte le mattine, ci tengo particolarmente- aggiunse. Volse poi la sua attenzione al lato opposto della casa, indicando una parete sulla quale era stato dipinto un finto caminetto acceso. -Li dietro invece ci sono le tre camere da letto e il bagno. A proposito di questo, vorrei che igienizzassi con cura i sanitari ogni mattina-.
Catherine annuì vagamente, aggrottando la fronte; le stava elencando una serie di mansioni che non erano esattamente ciò che si aspettava di dover fare. -Mi scusi...- borbottò, timorosa di apparire scortese. -Ma io avevo capito che avrei dovuto prendermi cura di un... ragazzo disabile- mormorò.
L'anziana signora alzò lo sguardo su di lei, intenta a sistemare i lacci del grembiule da cucina che stava indossando; tacque per alcuni secondi, poi accennò un sorriso e puntò i palmi delle mani suoi fianchi; in quel preciso momento, l'espressione sul suo viso parve addolcirsi. -Ma certo, che sciocca. Ovviamente dovrai anche prenderti cura di Troy, il mio adorato nipote. Adesso te lo presento-.
"Troy?" ripeté Catherine nella sua mente. Iniziava a sentirsi davvero confusa, era certa che non fosse questo il nominativo che le era stato comunicato, ne quello contenuto nel modulo cartaceo in suo possesso. Che l'agenzia si fosse sbagliata? L'avevano assegnata al ragazzo sbagliato, oppure era semplicemente avvenuto un errore durante la trascrizione delle informazioni?
-La sua stanza è quella laggiù- mormorò ancora l'anziana, ripercorrendo a ritroso l'intero corridoio con andatura stanca; nel seguirla Catherine osservò in silenzio lo scalpitare lento e irregolare dei suoi piedi scalzi affondati in un paio di ciabatte usurate, che pareva trascinarsi dietro come due pesanti sacchi di cemento. Non appena ebbero svoltato l'angolo l'odore di disinfettante che riempiva l'aria si amplificò, nel momento in cui la ragazza si trovò dinnanzi a una porta spalancata che dava accesso ad una camera da letto di dimensioni molto modeste. Una finestra chiusa, con le tapparelle parzialmente abbassate, illuminava un ambiente estremamente spoglio e impersonale, dove a colpo d'occhio non riuscì a identificare alcun oggetto o decorazione che suggerissero si trattasse di una stanza vissuta da qualcuno; eppure, un grande letto ospedaliero toneggiava proprio al centro e accanto ad esso, completamente immobile e adagiato su una sedia a rotelle, il suo sguardo si posò istantaneamente sulla figura alta e snella di un ragazzo.
-Purtroppo non è più in grado di comunicare- mormorò poco dopo la padrona di casa, scacciando via il pesante alone di silenzio che era sceso sull'ambiente circostante. -Non si muove e non parla, ma suppongo che ti abbiano già spiegato le sue condizioni-.
-Oh, sì- rispose prontamente la ragazza, visibilmente a disagio; il dolore che quella donna provava era chiaramente percepibile dal tono della sua voce, che nel pronunciare quelle parole si era assottigliata fin quasi a diventare impercettibile. -La responsabile dell'agenzia mi ha spiegato tutto quanto-.
Il paziente teneva la testa china in avanti, con la schiena inarcata ed entrambi i gomiti poggiati sul bordo della sedia a rotelle per garantirsi una sufficiente stabilità; il suo sguardo, parzialmente occultato da qualche ciocca disordinata dei suoi capelli biondi, era immobile e sembrava fissare insistentemente il pavimento. Dalla sua narice sinistra fuoriusciva un sottilissimo tubicino di plastica trasparente, che Catherine identificò come un sondino per l'alimentazione forzata.
Osservandolo, la ragazza si rese conto di avere il fiato sospeso.
Era completamente intrappolato all'interno del suo stesso corpo; il solo ed unico movimento che di tanto in tanto compiva consisteva nel semplice battito delle palpebre. Un sottile filo di barba ricopriva le sue mascelle spigolose, ove la sua pelle riportava diversi sottili segni rossi forse causati da un maldestro utilizzo della lametta.
-Non so di preciso cosa ti abbiano detto- affermò subito dopo l'anziana, facendo un passo indietro come a voler suggerire all'altra che avrebbe dovuto abbandonare la stanza. -Ma Troy ha bisogni molto speciali e solo io so come curarlo. Quindi ti chiedo di non prendere alcuna iniziativa e rivolgerti sempre a me, prima di entrare nella sua stanza-.
Catherine annuì confusa, lanciando un ultimo sguardo al giovane paziente ancora immobile nella medesima posizione; non era neanche sicura che lui avesse notato la sua presenza. -Certamente. Ma non deve preoccuparsi, anche se sono giovane ho già una discreta esperienza, quindi...-.
-La tua stanza è quella lì affianco- la interruppe bruscamente la donna, indicando una porta socchiusa con insistenza. -Sistema le tue cose e mettiti comoda, la notte è lunga-.

CatatonìaWhere stories live. Discover now