ℂ𝕒𝕡𝕚𝕥𝕠𝕝𝕠 27

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Il cielo era sormontato da una fitta coltre di nubi grigie, che si ammassavano tra loro sospinte dal vento e minacciando che a breve sarebbe piovuto. Camminando avanti e indietro lungo il parcheggio, Catherine volgeva spesso lo sguardo verso l'alto posando sulla finestra del primo piano, illuminata dall'interno; poichè conosceva a memoria la pianta dell'appartamento, sapeva che si trattava della vetrata del salotto.
Quel giorno aveva insistito così tanto che alla fine aveva convinto Roxi a recarsi presso la casa dei Page a controllare quale fosse la situazione; tuttavia, aveva dovuto attendere di terminare il suo turno di lavoro presso l'agenzia giungendo sul posto solo nel tardo pomeriggio.
La mora sospirò pesantemente, passeggiando tra le auto posteggiate dinnanzi alla siepe. La donna aveva insistito per entrare da sola, chiedendole espressamente di attendere il suo ritorno all'esterno dell'edificio forse per evitare di creare una situazione troppo complessa da gestire e non invadere la privacy della signora Milena più del necessario; ma era già trascorsa un'ora e mezza dal suo ingresso e allo scorrere di ogni minuto la giovane sentiva la sua agitazione crescere in modo esponenziale. Non aveva idea di cosa stesse accadendo di preciso all'interno dell'appartamento, ma da quella distanza poteva udire il suono ovattato e indistinguibile di alcune voci, che riusciva a raggiungerla grazie ad uno spiraglio nella finestra socchiusa.
L'attesa fu straziante.
Ad un certo punto, alcune grosse gocce d'acqua fredda iniziarono a adere giù dal cielo infrangendosi sull'asfalto bollente; Catherine si mise a riparo sotto alla gronda, giusto qualche attimo prima che un violento acquazzone si riversasse sulla città. Attorno a lei la luminosità si faceva sempre più scarsa, man mano che l'ora si faceva più tarda.
Ad un certo punto, devastata dall'angoscia e dalla preoccupazione, la ragazza decise di infrangere le disposizioni date da Roxi e avvicinarsi al portone del palazzo, con l'intento di premere il tasto del citofono e mettersi in contatto con lei, quantomeno per assicurarsi che tutto andasse bene; prima che potesse farlo, tuttavia, un rumore inconfondibile raggiunse le sue orecchie facendola voltare istintivamente in direzione della strada: erano delle sirene, più precisamente quelle di un'auto della polizia.
In quell'attimo quasi pregò che ciò non avesse nulla a che fare con i Page ma l'arrivo della volante, che si fermò proprio davanti al cancello automatico, la costrinse a supporre il contrario; con il fiato mozzato e le ginocchia tremanti la ragazza  osservò l'automobile accedere al parcheggio a sirene spiegate, per poi arrestarsi dinnanzi all'entrata. Dal veicolo scesero due agenti in divisa, che si affrettarono a dirigersi verso il portone dopo essersi guardati brevemente intorno.
-Cosa è successo?- domandò a denti stretti Catherine, spostandosi per permettere ai due di accedere al condominio.
Ma non avendo idea che lei fosse in qualche modo coinvolta nella faccenda, i poliziotti la ignorarono. -Stia indietro, per favore- le ordinò uno dei due.
Non potendo fare null'altro la ragazza si ritrovò immobile con lo sguardo fisso sul portone, pregando silenziosamente che non fosse accaduto nulla di grave a Conrad e neanche alla signora Roxi; avrebbe tanto voluto poter fare qualcosa, anziché guardare e basta, ma le circostanze non lo permettevano.
Ammutolita dal fracasso del temporale che stava allargando il marciapiede attese ancora a lungo, fino a che finalmente non udì il rumore di alcuni passi e delle voce provenire dalla rampa delle scale; sbirciando oltre il vetro della porta poté vedere lo zio mentre veniva accompagnato all'uscita con entrambe le mani bloccate dietro alla schiena da un paio di manette, seguito subito dopo dall'anziana madre la quale, tuttavia, era stata trattata con maggiore riguardo. Le salì un groppo in gola nell'assistere a quella scena.
Non riusciva a credere ai suoi occhi.
-Si allontani, faccia spazio- le comandò ancora una volta uno degli agenti, mentre accompagnava all'esterno i due individui che lo seguivano con obbedienza. Nel momento in cui lo zio le passò accanto, il suo sguardo folle e animalesco si posò su di lei e poté notare del profondo stupore dei suoi occhi; in quel momento doveva aver capito che fosse stata certamente lei a fare quella segnalazione all'agenzia, condannandolo all'arresto.
-Sarai felice, adesso- commentò l'uomo a bassa voce, poco prima di venir fatto accomodare all'interno della volante proprio accanto a Milena, che adesso aveva iniziato a sbraitare a squarciagola con la faccia incollata al finestrino bagnato.
-Non mi porterete via il mio Troy! Non ve lo permetterò!-.
Entrambi sarebbero stati condotti in centrale e sottoposti a un interrogatorio quella notte stessa, poiché accusati di una serie di crimini piuttosto gravi.
Con il cuore che batteva all'impazzata nel petto Catherine si voltò ancora in direzione della porta, notando con grande sollievo che la direttrice dell'agenzia stava uscendo tutta intera; la accolse con un caloroso sorriso, andandole incontro. -Cosa è successo? Conrad sta bene?- domandò, impaziente.
La donna le rivolse uno sguardo stanco, annuendo con un cenno del capo. Era evidente quanto fosse emotivamente scossa, lo si legge chiaramente sul suo volto che, forse per la prima volta, rifletteva una profonda inquietudine in sostituzione della sua solita espressione seriosa. -È in compagnia di un agente, a breve verranno a prenderlo- annunciò, passandosi le mani sulla camicia come a voler scacciare della polvere immaginaria. -Starà bene-.
Catherine le si posizionò davanti, quasi come a volerla costringere a parlare. -Gli hanno fatto del male? Cosa è successo mentre eri dentro casa?- le chiese ancora, annaspando. Aveva bisogno di sapere, bisogno di capire. 
-Ti accompagno a casa, non ci è permesso stare qui adesso- tagliò corto l'altra, schivandola con nervosismo. Era chiaro che la donna fosse in quel momento profondamente scossa, tanto da fare una certa fatica a parlare; la seguì in silenzio fino alla macchina, accettando di salire a bordo al suo fianco senza porre ulteriori domande.
Roxi avviò il motore e imboccò la strada statale, lanciando uno sguardo pensieroso alla volante della polizia che nel frattempo si stava allontanando con i lampeggianti ancora accesi. Le luci rosse e blu si riflettevano sulle vetrate e sulle pozze d'acqua che si allargavano sull'asfalto, creando una strana atmosfera che pareva uscita direttamente da un film.
Con le mano aggrappate al volante e lo sguardo fisso sul parabrezza, attraversato a ritmi regolari dalle spazzole tergicristalli, la donna poco dopo riuscì finalmente a calmarsi.
-Ti chiedo scusa, avevi ragione- farfugliò, scuotendo il capo.
Catherine si voltò verso di lei, con le mani strette tra le ginocchia e il corpo schiacciato dalla cintura di sicurezza che la stava stringendo un po' troppo energicamente. -Riguardo a cosa?- mugolò.
-Tutto quanto- rispose prontamente l'altra. -Avrei dovuto crederti subito, invece ho pensato che stessi esagerando. Se non mi avessi convinta a venire qui stasera, non so come sarebbe andata a finire-.
Dalla radio, con il volume impostato al minimo, proveniva il ritmo appena percettibile di una vecchia musica anni ottanta. Catherine volse lo sguardo al finestrino, ragionando bene su quello che avrebbe dovuto dire in quel momento. -Non ha importanza- rispose, con la voce che tremava. -Basta solo che Conrad stia bene-.
La strada verso casa sembrava molto più lunga di quanto non fosse stata durante il viaggio di andata, anche a causa dell'intenso traffico che stava occludendo le strade del centro, allagate dal temporale. Roxi tacque per una lunga manciata di secondi, ragionando sul tragitto migliore da percorrere per evitare la lunga fila di semafori; poi, con un tono di voce che lasciava trasalire una buona dose di vergogna, disse: -Verrai di certo chiamata a testimoniare, ci sarà una sentenza-.
Catherine annuì con il capo.
-Mi raccomando, racconta per filo e per segno tutto quello che sai. Questo è l'unico modo per aiutare davvero quel ragazzo, mi hai capito?- continuò a dirle.
L'altra annuì ancora, facendo comparire un aspro sorriso sulle sue labbra. -Quei due sono nei guai, non è vero?-.
La risposta della donna tardò ad arrivare. -Eh sì, credo proprio di sì- disse infine.
Quando l'auto si arrestò nei pressi dell'appartamento in cui la giovane risiedeva, le due si salutarono in modo estremamente frettoloso; in assenza di un ombrello, Catherine fu costretta a farsi una breve corsa sotto alla pioggia battente fino a raggiungere la porta di casa. Nonostante gli eventi terribili di quella sera, in un certo senso si sentiva estremamente sollevata: finalmente il caso di Conrad era arrivato all'attenzione delle autorità, e di conseguenza adesso sarebbe stato allontanato dall'ambiente ostile e malsano in cui fino ad allora aveva vissuto.
Tutto ciò che poteva sperare, adesso, era di poterlo rivedere presto.

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