ℂ𝕒𝕡𝕚𝕥𝕠𝕝𝕠 15

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Per riuscire a cucinarsi un piatto di pasta in bianco senza essere tormentata dalla nausea, quel giorno Catherine si trovò costretta a ripulire a fondo l'intera cucina di casa Page, che scoprì essere letteralmente ricolma di cibo andato a male. All'interno della dispensa e del frigorifero trovò decine di alimenti scaduti anche da mesi, mischiati in modo caotico assieme a quelli ancora commestibili; senza dubbio alcuno, la signora Milena era quel tipo di persona che non presta affatto attenzione a questo genere di cose.
Riempì un grosso sacco in cui gettò tutto il cibo marcio e lo chiuse con un nodo stretto, in modo da impedire al cattivo odore di fuoriuscire in modo eccessivo; come ulteriore precauzione, poi, decise di trascinarlo fin sulla terrazza e posizionarlo proprio lì, adagiato contro al parapetto di cemento. All'esterno la perturbazione pareva essersi ormai dissolta ed il cielo era diventato un immenso tratto celeste percorso qua e la da qualche nuvola dalle forme irregolari.
Mentre riprendeva fiato, la ragazza poggiò i gomiti sul davanzale rivestito in marmo bianco ed iniziò a vagare con lo sguardo sui profili dei palazzi antistanti, per poi soffermarsi sulle aiuole ben curate che delimitavano il parcheggio dalla strada statale che esso fiancheggiava. Proprio lì, nelle vicinanze di una pianta di ulivo, notò la presenza di un uomo che se ne stava in piedi completamente immobile e pareva guardare fisso in sua direzione. La ragazza aguzzò lo sguardo, notando che lo sconosciuto indossava un paio di pesanti scarponi da montagna e un completo mimetico come quelli utilizzati dai cacciatori; ma fu quando riuscì a mettere a fuoco il suo volto che si sentì travolta da un brivido di terrore, poiché realizzò che si trattasse proprio dell'uomo che quella notte aveva bussato alla porta.
Il suo cuore sussultò.
Incredula e paralizzata dallo stupore Catherine osservò lo sconosciuto a lungo, mentre dentro di sé sperava di vederlo andarsene via il prima possibile; ma lui continuava a starsene lì impalato, con le braccia intrecciate dietro alla schiena e lo sguardo sollevato in sua direzione. Il suo viso, attraversato da qualche ruga piuttosto marcata, pareva quasi distorto in un ghigno malefico. Le sue cattive intenzioni erano chiaramente espresse dal bagliore di follia nei suoi occhi, e dalla piega innaturale che avevano assunto le sue labbra: sembrava volerla fare a pezzi anche da quella distanza.
Fu proprio allora che la ragazza si ricordò delle parole pronunciate da Milena, nella notte in cui l'aveva sorpresa a scuoiare il disgustoso cadavere di quella lepre: aveva affermato che le era stata data da un parente cacciatore, che a rigor di logica doveva essere proprio quel tipo losco.
Fece un passo indietro, allontanandosi istintivamente dal parapetto: se la sua supposizione era corretta, significava che quel folle era in possesso di un'arma da fuoco che avrebbe potuto utilizzare contro di lei, per irrompere all'interno dell'appartamento.
Frettolosamente rientrò in casa, chiudendo per precauzione la porta che collegava il balcone all'interno dell'appartamento; poi, rosicchiandosi nervosamente le dita, raggiunse Conrad nella sua stanza. Lui le aveva detto che si trattava di suo zio, presumibilmente figlio di Milena, dunque doveva per forza sapere qualcosa di più sul suo conto; e per quanto si sentisse invadente e molesta, aveva assolutamente bisogno di sapere se quell'individio potesse essere effettivamente intenzionato a farle del male, o fosse semplicemente affetto da una qualche patologia mentale che lo rendeva tanto inquietante.
-Conrad- esclamò, varcando la soglia. Fu sorpresa di trovare il ragazzo sveglio e presente: per la prima volta, lui aveva sollevato la testa e guardato in sua direzione subito dopo aver notificato la sua presenza.
-Tuo zio è di nuovo qui fuori, stavolta nel parcheggio- affermò, indicando la finestra che si affacciava sull'esterno. -Mi sta... Davvero spaventando. Che cosa pensi stia cercando di fare?-.
Il ragazzo abbassò lievemente lo sguardo, stringendo le mandibole; non le rispose, ma questa volta parve evitare la conversazione semplicemente per scelta.
Catherine gli si avvicinò, chinandosi dinnanzi alla sedia a rotelle e poggiando una mano sulle sue ginocchia. -Ho bisogno di sapere se siamo in pericolo. Conrad, i membri della tua famiglia sono persone pericolose?- insistette, cercando di scuoterlo. -È possibile che tuo zio abbia cattive intenzioni?-.
Ancora una volta il biondo evase il contatto visivo, emettendo un lento sospiro.
Lei si alzò in piedi, scuotendo energicamente la testa. -Se ne sta nel parcheggio a fissare il nostro balcone. Mi sta terrorizzando- esclamò ancora, iniziando sa gesticolare senza rendersene conto. In quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa per ottenere una risposta da Conrad, era spaventata a morte e aveva bisogno di una rassicurazione; ma per qualche motivo, lui sembrava non essere per niente intenzionato a collaborare.
Un silenzio assordante calò nella stanza per una decina di secondi, mentre la ragazza attendeva con il fiato sospeso una qualsiasi reazione da parte di lui, che tuttavia non arrivò mai. Improvvisamente travolta da un'ondata di rabbia e frustrazione, sentimenti che aveva covato e accumulato nel corso di quei giorni infernali, alla fine perse del tutto il controllo.
-Parlami, cazzo! So che puoi farlo!- gridò, afferrandolo per le spalle e iniziando a scuoterlo con forza. -Piantala di prendermi per il culo, so che sai parlare, quindi fallo e basta!- inveì.
Sul volto di Conrad apparve un'espressione enormemente sorpresa, mentre a fatica sollevava le mani nel tentativo di allontanarla; ma Catherine, ormai in lacrime, afferrò un lembo della sua maglia e iniziò a tirarlo verso di sé. -Devi darmi delle cazzo di risposte!- gridava.
Solo dopo alcuni secondi realizzò quanto fosse sbagliato e immorale ciò che stava facendo. Spaventata dalle sue stesse azioni la ragazza si fermò di colpo e, ritraendo immediatamente le mani, lo guardò con preoccupazione per assicurarsi di non avergli fatto del male spingendolo in quel modo. Annaspava, aveva il fiato corto e stava tremando come una foglia. -Scu...Scusami- balbettò, portandosi una mano alla bocca. -Non volevo... Non volevo farlo, scusami tanto-.
Gli occhi trasparenti di Conrad si posarono sui suoi. Non esprimevano rabbia, rancore o disapprovazione, ma erano ricoperti da un velo di profonda delusione; probabilmente, non si sarebbe aspettato una reazione così violenta e incontrollata da parte della ragazza che ormai da giorni si era presa cura di lui con tanta attenzione.
-Scusami sono... Sono stata davvero pessima- continuò a borbottare lei, asciugandosi le lacrime. -Stai bene, Conrad?-.
La sua voce era debole e vibrante, così come le sue ginocchia che parevano reggere a stento il peso del resto del corpo.
Il biondo tacque a lungo, stringendo i pugni distesi sulle coscie e sforzandosi di verbalizzare una frase di senso compiuto; per qualche ragione, le parve che in quel frangente comunicare fosse stato per lui molto più difficile rispetto alle volte precedenti.
-Non... Farlo entrare- sibilò, annaspando. -Ignoralo-.
Catherine annuì vagamente, lanciando uno sguardo preoccupato dalla finestra aperta. -Ma che cosa vuole? Cosa vuole da me?-.
Il giovane sollevò lentamente le spalle, come a suggerire che non conosceva la risposta al quesito; o forse, semplicemente, non intendeva parlarne.
-Conrad, ascoltami bene adesso- insistette poi la ragazza, afferrando delicatamente il suo mento per costringerlo a voltarsi in sua direzione e dedicarle sufficiente attenzione. -Io sono qui per te, capito? Perciò, se qualcuno nella tua famiglia ti sta facendo del male, devi dirmelo-.
In quell'istante l'espressione sul volto del biondo parve cambiare radicalmente, divenendo così piatta e distaccata che non fu più possibile comprendere che cosa lui stesse pensando o provando. -...Che differenza potrebbe fare?- disse, con un filo di voce.
Catherine lo guardò dritto negli occhi, posizionandosi con il volto a pochi centimetri di distanza dal suo. -So che c'è qualcosa che non va in questa famiglia, il punto è che non so cosa. Aiutami a capire, io posso aiutarti, capito?-.
Con un gesto estremamente lento e calcolato Conrad allungò con fatica una mano la quale, tremando in modo molto evidente, raggiunse il petto della ragazza in un goffo tentativo di spingerla via.
-Devi andartene, prima che nonna torni a casa-.

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