ℂ𝕒𝕡𝕚𝕥𝕠𝕝𝕠 20

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Catherine deglutì a vuoto, aggrappandosi con una mano allo stipite della porta. Soltanto adesso riusciva a capire fino in fondo quanta follia dominasse la mente di Milena e quanto le sue azioni fossero causate da un pensiero irrazionale, da convinzioni che aveva maturato nel corso degli anni per sopportare il dolore della perdita di Troy, ma che erano finite per farla letteralmente impazzire.
Restò ancora in ascolto, con il fiato sospeso e una goccia di sudore a percorrere la sua fronte aggrottata.
-Cosa vuoi che faccia, mamma?- recitò la voce dell'uomo, adesso ridotta quasi a un sibilo, come avesse iniziato a sospettare che qualcuno fosse in ascolto della loro conversazione. La risposta dell'anziana, recitata con un tono così vuoto e distaccato da sembrare quello di chi legge svogliatamente un copione, causò un ulteriore brivido alla ragazza:
-Caccia via quella stronzetta, tanto per cominciare- ghignò, impartendo al figlio un ordine diretto e severo, proprio come se lui fosse ancora soltanto un bambino. -Dopodiché, faremo in modo di far tornare il mio Troy-.
Catherine fece un passo indietro, terrorizzata: non aveva idea di cosa lei volesse dire con quell'assurda affermazione, ma non sembrava promettere nulla di buono. Se Milena era davvero convinta che il fratello morto fosse ancora in qualche modo presente all'interno del corpo di Conrad, forse sedarlo e reprimere la sua vitalità era un modo per abbattere la sua stessa personalità, sperando così di riuscire a permettere a Troy di assumere il comando. Nonostante fosse chiaro che si trattasse di una vera e propria follia, l'anziana sembrava sinceramente convinta di ciò che stava dicendo e questo la rendeva estremamente pericolosa: sarebbe stata disposta davvero a tutto, pur di riuscire a mettersi in contatto con il defunto. Forse addirittura condurre il nipote a uno stato comatoso.
Timidamente si sporse oltre il corridoio, riuscendo a scrutare profilo dello zio che le stava dando le spalle. La sua schiena possente era coperta dal tesssuto blu della tuta sportiva che indossava, ormai sbiadita da ripetuti lavaggim -Mamma, so che sei molto frustrata in questo momento- le diceva, con un tono di voce insolitamente calmo. -Ma dobbiamo agire con criterio-.
-Non mi importa!- ribatté Milena, balzando su dalla sedia; poté capirlo dal rumore generato dall'oggetto, che venne fatto scivolare energicamente sul pavimento. -È ancora in prova, posso licenziarla subito. Mandala via e chiama l'agenzia per chiedere di mandare qualcun'altra, hai capito?-.
Ma lui, tentando di farla ragionare, non si diede per vinto. -Non è a questo che mi riferisco- ribatté. -Non sappiamo cosa Conrad le abbia detto. E ciò potrebbe causarci dei seri problemi-.
Tra i due calò uno strano silenzio, poi improvvisamente iniziarono a bisbigliare; Catherine non riuscì più a capire di cosa stessero parlando, ma sembrava proprio che la situazione continuasse a peggiorare sempre di più. Conrad aveva ragione sul fatto che di certo avrebbero deciso di cacciarla via, ma non aveva considerato il fatto che adesso Milena fosse preoccupata per tutto ciò che lei doveva essere venuta a sapere durante i giorni trascorsi in quella casa; se avesse parlato con gli assistenti sociali segnalando la situazione della famiglia Page, con ogni probabilità il ragazzo sarebbe stato portato via e la donna avrebbe perso per sempre il suo affidamento. Non poteva permettere che accadesse una cosa del genere.
Aveva bisogno di tornare ad assumere un totale controllo, così come aveva fatto nel corso degli ultimi dodici anni.
Catherine iniziava a sentirsi in serio pericolo: se quei due pazzi avessero ritenuto che lei fosse un pericolo, essendo a conoscenza di alcuni oscuri segreti della famiglia, era possibile che avrebbero tentato di farla fuori per impedirle di divulgare tali informazioni all'esterno.
Camminando in punta di piedi riuscì a percorrere il corridoio senza emettere alcun rumore, fino a raggiungere il portone d'ingresso; a quel punto, con un movimento estremamente lento e delicato, poggiò le dita sulla maniglia e la inclinò verso il basso, ma solo per realizzare che la porta era stata chiusa a chiave dall'interno. Non avrebbe potuto in alcun modo uscire da lì, se non utilizzando le chiavi in suo possesso. Pensò rapidamente, realizzando di averle lasciate sul comodino all'interno della camera da letto; doveva recuperarle in fretta, se voleva avere una chance di abbandonare l'appartamento tutta intera.
Assicurandosi che lo zio fosse ancora occupato a discutere sottovoce con la madre, lentamente tornò sui suoi passi e recuperò le chiavi che trovò esattamente dove le aveva lasciate; poi, stringendole con forza nel pugno in modo da impedire che emettessero del rumore, le infilò nella tasca dei pantaloni. A quel punto salvarsi la pelle sarebbe stato facile, le bastava correre fino alla porta, aprirla e lanciarsi in una corsa folle giù dalle scale del palazzo. Ma che ne sarebbe stato di Conrad?
Espirò nervosamente, svuotando i polmoni si tutta l'aria che contenevano. Nonostante il suo unico desiderio al momento fosse quello di mettersi in salvo e allertare le forze dell'ordine su quanto stava accadendo in quella casa, non poteva proprio immaginare di andarsene senza aver prima rassicurato il ragazzo spiegandogli le sue intenzioni. Così, continuando a camminare in punta di piedi, tornò a raggiungerlo nella sua stanza: lo trovò ancora disteso sul suo letto, con lo sguardo fisso nel vuoto e un braccio a penzoloni giù dal materasso. I suoi occhi erano maledettamente spenti, aveva lo sguardo di chi si era già del tutto arreso a ciò che stava accadendo poiché consapevole di non poterlo evitare; chiaramente lui non voleva che Catherine fosse cacciata via, ma sembrava invece accettare silenziosamente il fatto che la nonna sarebbe tornata ad abusare di lui, reprimendolo fin quasi ad annullare completamente la sua coscienza di sé. Era del tutto arreso al suo destino.
Dopotutto, quella ormai era l'unica vita che poteva dire di conoscere.
Nel momento in cui vide la figura della ragazza fare capolino dalla porta si voltò lentamente verso di lei, Conrad sembrò quasi stupito che ancora non se la fosse data a gambe come la coscienza avrebbe dovuto suggerirle.
-..Catherine- mugolò, afferrando la sbarra del suo letto in un goffo tentativo di cambiare posizione.
Lei gli si avvicinò rapidamente, con un volto carico di preoccupazione. -Hai ragione, vogliono mandarmi via- esclamò, con amarezza. -Ma io non... Non posso lasciarti qui, ho paura per te. Ho paura di quello che potrebbero farti-.
Lui la guardò immobile, nuovamente stupito della sua affermazione. Era sinceramente lusingato di tutto l'affetto e la premura che lei stesse dimostrando nei suoi confronti, ma allo stesso tempo non poteva permettere che Catherine venisse coinvolta fino a quel punto nella follia della sua famiglia; doveva andarsene, mettersi in salvo almeno lei che aveva la possibilità di farlo.
-Ma io... Sto bene- bisbigliò.
Lei scosse la testa. -Tua nonna è convinta che Troy...- si interruppe, realizzando che probabilmente lui già lo sapeva. Ciò di cui forse non era a conoscenza, però, era il fatto che l'anziana stesse cercando un modo per mettersi in contatto con il fratello attraverso di lui, chissà con quali assurde metodologie. -Tornerà a riempirti di farmaci, Conrad. Non posso immaginare di andarmene e non fare niente a riguardo-.
-Starò bene- insistette il biondo, come un giradischi rotto. -Starò bene. Vai via-.

CatatonìaKde žijí příběhy. Začni objevovat