ℂ𝕒𝕡𝕚𝕥𝕠𝕝𝕠 28

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Nei giorni seguenti, Catherine fu chiamata in centrale in qualità di testimone per ben due volte. Proprio come le era stato suggerito, la ragazza spiegò agli agenti tutto ciò che aveva vissuto nel breve ma intenso periodo durante il quale aveva lavorato per i Page, senza omettere neanche il più misero dei dettagli: parlò degli strani comportamenti di Milena e della smisurata aggressività di suo figlio, di come aveva notato che Conrad veniva ingozzato di sedativi e benzodiazepine al fine di peggiorare la sua condizione, della fotografia che aveva trovato sopra all'armadio e di quello stralcio di giornale che raccontava brevemente gli avvenimenti che dieci anni prima avevano visto i due fratelli come protagonisti di una tragedia. Sapeva che era importante comunicare agli agenti ogni singola informazione di cui era un possesso, per aiutarli a far luce sulla verità; e il finale di quella brutta storia, che le piacesse oppure no, dipendeva anche da questo.
Fu ben disposta a collaborare con le forze dell'ordine anche perchè aveva bisogno di sapere se Conrad stesse bene oppure no; a tal proposito fu rassicurata più volte del fatto che il ragazzo si trovasse al sicuro, ma non le dissero dove.
Il caso dei Page attirò in fretta l'attenzione dei media, che in quei giorni stavano sfornando decine di articoli a riguardo; alcuni veritieri, altri conditi con una buona dose di menzogne e supposizioni, come spesso succede. La faccenda suscitò così tanto clamore che Catherine durante quei primi giorni preferì restare a casa, evadendo almeno temporaneamente ogni contatto con l'estero per evitare di venire assaltata dai giornalisti; era stata dipinta dai media in modo molto positivo, quasi come una piccola eroina, ma non ne andava affatto fiera: al contrario, detestava avere gli occhi della gente puntati addosso e l'ultima cosa che desiderava era venire intervistata per strada.
Anche quel giorno, seduta sul divano con un sacchetto di patatine al formaggio stretto tra le ginocchia, la ragazza si ritrovò a guardare l'ennesimo servizio televisivo sul caso della famiglia Page; il giornalista parlava di una decennale storia di abusi, e di quanto fosse assurdo che nessuno in tutto quel tempo si fosse mai accorto della gravità della situazione. Pensò che in effetti questo era vero: nonostante la famiglia fosse attentamente seguita dai serivi sociali, nessuno aveva mai notato le stranezze di Milena. Incredibile ma vero.
Continuando distrattamente ad ascoltare il servizio televisivo, Catherine balzò sul divano quando udì il giornalista annunciare che Conrad Page era stato temporaneamente ricoverato presso una struttura residenziale, un ambiente protetto che ospitava pazienti di ogni età affetti da disabilità fisiche e mentali; non conosceva quel luogo, ma effettuando una breve ricerca su google apprese che la clinica si trovava ai confini della città, distante circa quaranta minuti di auto dalla sua abitazione.
Sentimenti contrastanti invasero la sua mente in quel momento, mentre con uno sguardo pensieroso continuava a seguire il servizio fino al suo termine.
Spinta dal desiderio di rivedere finalmente il ragazzo, Catherine non attese un solo secondo in più: si vestì rapidamente, infilò il cellulare bella borsetta e abbandonò il suo appartamento verso le dieci del mattino. Forse a causa dell'eccitazione il viaggio le sembrò molto più breve del previsto ed ecco che, poche decine di minuti dopo, si ritrovava a scendere dell'autobus di linea proprio davanti al grande cancello della suddetta struttura: un imponente edificio a tre piani dallo stile antico, preceduto da un piccolo prato verde delimitato da pioppi ed acace. La struttura, dalle mura tinte di giallo e arancio, sembrava essere piuttosto datata ma era mantenuta in modo impeccabile; aveva l'aspetto di un luogo piuttosto accogliente, eccezon fatta per le terribili inferriate laccate di bianco che facevano sembrare ogni singola finestra una sorta di inquietante cella per detenuti.
Catherine avanzò decisa, annunciando al citofono posto lì affianco che desiderava visitare un amico; pochi secondi dopo il cancello automatico si spalancò lentamente davanti ai suoi occhi, permettendole di accedere al meraviglioso vialetto in ghiaia che conduceva fino all'ingresso dell'edificio. Si sentiva incredibilmente agitata, ma anche altrettanto felice.
Quello sembrava a tutti gli effetti il lieto fine che aveva tanto sperato.
-Buongiorno, a chi è venuta a far visita?- le domandò l'infermiera che la accolse non appena varcò l'ingresso, accomodata dietro a un lungo bancone di legno sul quale era posizionata una imponente lastra di vetro.
-Il ragazzo che è venuto ieri, Conrad Page- rispose lei. Si interruppe brevemente per guardarsi intorno, poi aggiunse: -Come sta?-.
La donna annuì, facendole cenno di seguirla mentre si incamminava a passo lento attraverso un lungo corridoio dalle pareti bianche, affiancato da ambo i lati da una lunga fila di porte tutte uguali. Durante il tragitto incontrarono un paio di residenti della struttura, che si ciondolavano in giro senza una meta precisa; nei loro occhi vi era un vuoto così immenso che nel guardarli pareva di osservare il fondo di un pozzo: erano anime inquiete allontanate dalla società, corpi vivi e morti allo stesso tempo che sembravano muoversi in modo causale nell'ambiente che li circondava.
-Quando è arrivato qui gli abbiamo fatto una serie di analisi di routine- spiegò l'infermiera, voltandosi brevemente indietro per assicurarsi che l'altra la stesse seguendo. -Dai risultati è emerso che nel sangue del ragazzo fossero presenti quantità massicce di sedativi e tranquillanti-.
Catherine abbassò lo sguardo, senza smettere di camminare. Non le stava dicendo niente di nuovo.
-Ad ogni modo il paziente sta bene, abbiamo già notato un eccellente miglioramento nelle sue capacità motorie e comunicative. Come potrà immaginare sta attraversando una fase di astinenza dai farmaci che era abituato ad assumere, ma tutto sommato la sua situazione è più che buona-.
-Siete riusciti a parlare con lui?- domandò nervosa la ragazza, osservando con una sensazione di profonda tristezza le targhette applicate ad ogni porta, ognuna delle quali era identificata da un numero.
L'infermiera scosse il capo. -No, questo no- rispose, fermandosi improvvisamente dinnanzi alla camera 34. Con un gesto gentile impugnò la maniglia e la fece roteare, spalancando la porta oltre la quale era possibile intravedere due letti ospedalieri coperti da lenzuola bianche; uno di questi era vuoto, mentre l'altro ospitava il corpo disteso di Conrad, apparentemente addormentato. -Però forse tu ci riuscirai- concluse la donna, facendole l'occhiolino mentre la invitava a entrare.
Rimasta sola, Catherine varcò la soglia con il fiato sospeso. La stanza era avvolta in un silenzio totale, scandito dai rumori ovattati che provenivano dal corrioio; il ragazzo era disteso su un fianco, con le braccia adagiate sul bordo del materasso e le palpebre calate. A causa delle temperature eccessivamente elevate e della mancanza di un impianto di raffreddamento, la finestra che dava sull'esterno era spalancata e il paziente era stato lasciato a petto nudo.
Silenziosamente lei si avvicinò al letto, quasi in punta di piedi, per poi sistemarci sulla piccola poltrona dedicata agli ospiti; se Conrad stava riposando, non le andava proprio di svegliarlo. Rimase così in silenzio ad osservare il movimento regolare del suo petto che si sollevava e abbassava ad ogni respiro, lasciandosi cullare dalla sensazione di tranquillità che quell'ambiente le trasmetteva. Anche se le era impossibile comprendere che cosa lui stesse provando, osservando il suo volto disteso e le ciocche dei suoi capelli dorati sparse sul cuscino pensò che sembrasse davvero rilassato, molto più tranquillo di quanto ricordasse di averlo mai visto prima di allora.
Sorrise.
A guardarlo adesso Conrad sembrava poco più di un bambino, una creatura del tutto indifesa che necessitava di una protezione costante da parte degli altri; nonostante questo era stato proprio lui a salvarle la vita chiamando i soccorsi, pochi giorni addietro. A modo suo, si era comportato da eroe.
Con la schiena adagiata sulla poltrona e lo sguardo rivolto alla chioma di alcuni alberi che riusciva a scrutare oltre il vetro della finestra, Catherine attese con pazienza fino a che non vide le palpebre del ragazzo schiudersi lentamente, mostrandole ancora quel paio di occhi chiari che le erano ormai così tanto familiari. Adesso, tuttavia, sembravano quasi illuminati da una luce diversa.
-Pensavi di esserti liberato di me, per caso?- esclamò, ridacchiando scherzosamente. -Come vedi, non ci sei riuscito affatto-.

CatatonìaDonde viven las historias. Descúbrelo ahora