ℂ𝕒𝕡𝕚𝕥𝕠𝕝𝕠 4

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I primi raggi del sole iniziavano a colorare l'orizzonte di arancione, quando Catherine si alzò dal suo letto per l'ennesima volta; aveva trascorso l'intera nottata facendo avanti e indietro dalla sua stanza a quella di Conrad, nonostante il fatto che lui non avesse mosso un solo muscolo per tutto quanto il tempo.
Quando però fece capolino dalla porta per l'ennesima volta, circa alle cinque e mezza del mattino, si accorse che il ragazzo era parecchio sudato; lo poteva intuire facilmente dal modo in cui alcune ciocche dei capelli biondi si erano atttaccate alla sua fronte. Dopo aver riflettuto circa un paio di secondi, si affrettò a raggiungere il bagno dove recuperò un pacco di salviette igieniche e un asciugamano. La sua immagine riflessa nello specchio rifletteva il volto insicuro di una ragazza forse troppo giovane per ricoprire un ruolo di cotanta responsabilità, ma anche altrettanto seria e determinata a dimostrare il suo valore; a prescindere da come sarebbe andata, se la direttrice dell'agenzia avesse riconosciuto il suo talento sarebbe stata ben disposta ad affidarle altri incarichi in futuro.
Con una lieve titubanza accese la luce della stanza e, facendo particolare attenzione a non creare troppo rumore, si avvicinò silenziosa al letto in cui il ragazzo ancora riposava indisturbato. Con un gesto estremamente lento e ben calcolato afferrò un lembo delle lenzuola e le fece scorrere verso il basso, esponendo la parte superiore del suo corpo; lo osservò per qualche attimo, quasi timorosa di toccarlo: nonostante la corporatura piuttosto robusta Conrad era spaventosamente magro, i lineamenti del suo corpo erano linee spigolose. Il tragico pallore della sua pelle, inoltre, suggeriva che non fosse venuto a contatto con la luce del sole ormai da diverso tempo.
Catherine prelevò un paio di salviette igieniche dalla confezione e le utilizzò per accarezzare gentilmente la pelle del giovane paziente, a iniziare dal petto per poi salire fino alla fronte; nonostante la sensazione di freddo che doveva avergli causato sulla pelle, in lui persisteva una completa e inesorabile catatonia. Sollevò delicatamente alcune ciocche dei suoi capelli per strofinarvi un panno sotto, con una serie di gesti ripetuti ma particolarmente gentili.
La sveglia sul comodino segnava le 05:47.
Arrotolando un panno imbevuto, Catherine lo passò delicatamente sul viso disteso di Conrad, in modo da ripulirlo dal sudore. Mentre eseguiva questa semplice operazione osservava con dispiacere le sue palpebre calate, pensando che la vita fosse stata davvero ingiusta nei confronti di quel povero ragazzo; subito dopo, un violento brivido di terrore percorse interamente la schiena di Catherine fino a farla tremare vistosamente: gli occhi del paziente d'un tratto erano aperti, completamente spalancati e fissi su di lei.
Le sue iridi erano marroni, di una tonalità chiara che ricordava quella del miele; la sua espressione, tuttavia, risultava spaventosamente assente.
-S...Salve, Conrad- borbottò lei, facendo istintivamente un passo indietro. Solo un attimo dopo realizzò che il poveretto, pur essendo riuscito ad aprire gli occhi in autonomia, non era adesso in grado di eseguire nessun altro movimento.
Un sospiro tremante aiutò la ragazza a calmarsi, mentre si sforzava di riordinare i pensieri. -Io mi chiamo Catherine, sono la tua nuova assistente domestica- spiegò.
Non si aspettava alcuna risposta da parte sua, e per questo di certo non si stupì di non udirla; ciò che voleva fare era mettere il paziente a suo agio, soprattutto perché a causa della sua totale assenza di espressività era pressoché impossibile comprendere che cosa lui stesse pensando o provando in quel momento. -Sono qui per assisterti durante la notte-.
Lui continuò a fissarla immobile, anche se Catherine aveva la sensazione che forse un realtà avrebbe voluto comunicarle qualcosa. Per sciogliere la sua stessa tensione sorrise caldamente, tornando a sollevare le lenzuola fino a coprire completamente il petto del giovane paziente. -È un vero piacere conoscerti-.
Un assordante silenzio era tornato a inghiottire la stanza, mentre la ragazza si apprestava a riordinare rapidamente; una profonda sensazione di malessere continuava a premere sul suo petto, come se il suo inconscio volesse avvertirla di un pericolo o qualcosa di simile.
Ma ancora una volta, ignorò quella sensazione.
Fece un passo indietro e, lanciando un ultimo sguardo alla figura immobile di Conrad distesa sul letto, cercò a tastoni l'interruttore della luce per spegnerla. Solo un attimo dopo, percepì il suono squillante di una voce severa provenire da dietro alle sue spalle.
-Ti avevo detto di non entrare qui senza avvisami!-.
Era Milena. Indossava una vecchia camicia da notte e si trovava a piedi nudi sul pavimento, mentre il suo volto era sfigurato da un ghigno di rabbia terrificante che pareva esaltare ancor di più le profonde rughe che lo percorrevano. -Ti avevo detto.... di non entrare- ripeté, abbassando lievemente il tono della voce. Non indossava i suoi occhiali, per questo teneva se palpebre socchiuse e la fronte aggrottata cercando di mettere a fuoco le immagini.
Catherine sollevò istintivamente le braccia al cielo, con gli occhi spalancati. -Mi dispiace signora, chiedo scusa!- esclamò, senza riuscire ad impedire alla sua voce di tremare sensibilmente. -Ho visto che era molto sudato e ho pensato di...-.
-Mi occupo io di lui- ribatté severa l'anziana, interrompendola sgarbatamente. -Sono ancora in grado di prendermi cura di mio nipote da sola-.
La ragazza sguusciò via di lato, dirigendosi verso la porta della stanza che le era stata assegnata. -Mi dispiace davvero, non intendevo mancarle di rispetto- balbettò. -Ho solo pensato che...-.
-Troy è un ragazzo sensibile- la interruppe ancora l'altra, asdumendo un'espressione quasi disgustata. -E dubito che abbia piacere di avere troppa gente intorno. Perciò ti chiedo di ridurre i tuoi contatti con lui al minimo indispensabile-.
Qualche secondo di silenzio si frappose tra le due, pesante come un masso premuto sulla schiena; poi, quasi come a voler sciogliere la tensione che si era creata, Catherine annuì con un sorriso palesemente forzato. -Ma certo, lo farò-.
Per tutto il resto della mattina, fino a che non fu il momento di fare colazione, Milena restò chiusa a chiave nella stanza di Conrad. Impossibile capire che costa stesse facendo, dal momento che attraverso la porta la ragazza non riuscì a captare alcun rumore; probabilmente, suppose, doveva essersi seduta a riposare sulla poltrona posta nelle vicinanze del letto.
Lo strano evento appena accaduto l'aveva scossa in modo piuttosto profondo. Fin dal primo momento aveva intuito che Milena fosse particolarmente apprensiva, o meglio possessiva, nei confronti del nipote; nonostante questo, la sua reazione quella mattina era stata davvero esagerata anche per una persona come lei. Che senso aveva richiedere l'aiuto di un'assistente domiciliare, per poi rifiutarsi categoricamente di permettere a quest'ultima di occuparsi del ragazzo?
Resa irrequieta dell'accaduto, Catherine uscì qualche minuto in terrazza per fumare un paio di sigarette e poi tornò a distendersi sul letto, sintonizzando la TV su un canale a caso; mentre osservava distrattamente le scene di un vecchio film western, si ritrovò a pensare che tutto sommato le cose non stavano andando poi così male. Quella era stata soltanto la prima notte, aveva bisogno di un altro po' di tempo per capire in che modo dovesse comportarsi per compiacere la padrona di casa.
Nonostante la sua modesta esperienza, era sicura di essere assolutamente in grado di prendersi cura di Conrad, e prima o poi lo avrebbe dimostrato.

CatatonìaWhere stories live. Discover now