ℂ𝕒𝕡𝕚𝕥𝕠𝕝𝕠 19

31 6 1
                                    

Catherine si spostò di lato, rivolgendo uno sguardo preoccupato in direzione del ragazzo ancora disteso sul letto: nonostante avesse più volte avuto brevi conversazioni con lui, non lo aveva mai sentito comunicare con un tono di voce così alto e chiaro.
Ma mentre lo zio si limitò a reagire con una smorfia di disapprovazione, la reazione di Milena fu senza dubbio quella più preoccupante: l'anziana si alzò in piedi a fatica, indicando ripetutamente il nipote con gli occhi spalancati e agitando il dito indice come una pazza. -Tu, chiudi quella merda di bocca!- gridò, per poi voltarsi immediatamente dopo verso la ragazza; senza dubbio anche lei aveva notato quel dettaglio, traendo fin troppo facilmente le sue conclusioni. -Cosa gli hai fatto, uh?- sbraitò. -Cosa hai fatto a mio nipote?! Perché non gli hai dato le sue medicine?-.
Catherine restò letteralmente scioccata dalla quella reazione, poiché sostanzialmente stava confermando ciò che aveva supposto fino a quel momento: Milena somministrava giornalmente dei sedativi a Conrad per peggiorare la sua condizione, in modo che non fosse in grado di ribellarsi ai suoi abusi psicologici. Vederlo così presente e energico le aveva fatto capire immediatamente che la terapia non era stata somministrata correttamente, perché in caso contrario lui non sarebbe mai riuscito a interagire in quel modo.
Ma a quel punto fu ancora lo zio a intervenire, finalmente cercando di placare gli animi anziché buttare benzina sul fuoco che già li stava bruciando vivi tutti quanti. -Mamma, cerca di stare tranquilla, tutta questa agitazione non fa bene al tuo cuore- le disse, tornando ad accompagnarla gentilmente a sedersi sulla poltrona. -Milena è appena tornata dall'ospedale, ha bisogno di mangiare e di riposarsi- affermò poi, rivolgendosi agli altri due. -Quindi cercate di avere rispetto, per l'amor di Dio-.
Con il fiato sospeso e la bocca spalancata dallo stupore, la ragazza si ritrovò imponente ad osservarlo mentre aiutava la madre ad alzarsi in piedi, per poi accompagnarla silenziosamente lungo il corridoio; a seguito di quel feroce scontro dal quale non era neanche sicura che sarebbe uscita viva, tutto ad un tratto la casa era tornata ad essere avvolta nel silenzio e lei si ritrovava da sola nella stanza assieme a Conrad. Si sentiva assolutamente confusa, ma allo stesso tempo era grata che la discussione non fosse sfociata in qualcosa di ben peggiore.
Passando sul viso le mani sudate subito dopo si rivolse al ragazzo, osservandolo attentamente per cercare di comprendere il suo stato emotivo. -Stai bene?- gli domandò, con la voce che tremava.
Lui spostò lo sguardo di lato, come se volesse evitare di guardarla negli occhi; forse provava vergogna per la scena pietosa alla quale aveva appena assistito, oppure non sapeva in che modo comportarsi adesso che anche Catherine era a conoscenza di quanto fossero malate e dinamiche all'interno di quella famiglia. -..Sì- mugolò, stringendo appena le spalle come volesse sottoindendere che non fosse importante.
Le sue labbra sottili, adesso socchiuse, sembravano tremare in modo appena percettibile.
-Sei sicuro?- insistette lei, sfiorandogli una spalla con la mano. Ciò che aveva appena visto la preoccupava tremendamente, e il fatto che Milena si fosse permessa di aggredirlo fisicamente in quel modo significava che fosse in qualche modo abituata a farlo; chissà quante altre volte aveva già subito un trattamento di quel tipo, essendo completamente incapace di difendersi o chiedere aiuto.
Ancora una volta, però, Conrad le rispose in modo affermativo con un lieve cenno della testa. -Penso... che ti cacceranno...- bisbigliò, lasciando sprofondare la testa nel cuscino.
La ragazza lo osservò stordita, impiegando alcuni secondi a formulare la cosa migliore da dire. -Non mi importa- ribatté, con un timido sorriso. -Ma non posso pensare di lasciarti da solo con quei due-.
Sulle labbra del biondo apparve in quel momento una specie di sorriso, mentre pareva intento a fissare insistentemente il soffitto bianco sopra di lui. Era compiaciuto dal fatto che la ragazza sembrasse sinceramente preoccupata per lui, ma allo stesso tempo consapevole di non aver modo di fuggire dalla paradossale condizione in cui viveva, e aveva vissuto nel corso degli ultimi dieci anni. Aveva perduto il controllo del suo corpo, la sua personalità, la sua stessa identità, trovandosi a osservare la sua vita come uno spettatore esterno incapace di avere un ruolo all'interno degli eventi; era quindi abituato a vivere un'esistenza completamente vuota e per nulla spaventato o preoccupato dall'idea di tornare alla medesima condizione, ma era sicuro che l'assenza di Catherine sarebbe stata davvero dura da digerire. Lei era stata l'unica, tra le decine di operatrici sanitarie con le quali era venuto a contatto nel corso degli anni, ad essersi presa cura di lui con così fatto affetto, non limitandosi semplicemente ad eseguire in modo meccanico le sue mansioni ma cercando anche di comprenderlo. Aveva empatizzato con lui, in qualche modo gli era entrata dentro.
-Vattene finché puoi-.
La ragazza sentì il suo cuore squarciarsi in quell'istante; poteva distinguere chiaramente la rassegnazione che riempiva lo sguardo dell'altro, la cui unica preoccupazione adesso era fare in modo che anche lei non finisse intrappolata nello stesso vortice di follia che aveva distrutto la sua esistenza; ma Catherine non era disposta ad arretrare, abbandonare una persona in evidente difficoltà non era un'opzione considerabile da una come lei, che aveva fatto del suo lavoro non solo uno strumento di guadagno ma anche una ragione in più per dimostrare a sé stessa e al mondo il suo valore.
Stava per dire qualcosa, ma le voci ovattate provenienti dalla cucina attirarono la sua attenzine: la signora Milena e il figlio sessantenne stavano discutendo, talvolta sottovoce, talvolta quasi gridandosi contro l'un l'altro. Facendo cenno a Conrad di attendere, lasciando supporre che sarebbe tornata da lui molto presto, la giovane si affacciò titubante sul corridoio in modo da riuscire a comprendere di cosa quei due stessero parlando. C'era parecchia tensione nell'aria e non faceva fatica a percepirla anche a quella distanza.
-Non mi sorprende che tu non capisca, è una cosa davvero complicata- recitava la voce di Milena, che lasciava intuire tutta la rabbia che a malapena riusciva a trattenere. -Ma quel maledetto bastardo ha distrutto la nostra famiglia, e questo dovrebbe sembrarti evidente. Per caso ti sei dimenticato quello che ci ha fatto?-.
Lo zio rispose qualcosa a bassa voce, che Catherine non riuscì a comprendere; poi, si trovò ancora ad ascoltare la voce dell'anziana. -Quando la tua povera sorella è venuta a mancare ho dovuto prendermi cura io di Troy e Conrad, tu sai quanti sacrifici ho dovuto fare in questi anni-.
-Certo che sì, mamma- rispose l'uomo. -Lo so molto bene-.
-E allora non c'è bisogno che ti spieghi niente. Dopo tutto ciò che ho fatto per loro, quel maledetto si è portato via il mio Troy nel peggiore dei modi- ribatté la donna. -Ha sempre cercato di rovinare tutto, e alla fine ci è riuscito. Non riuscirò mai e poi mai a perdonarlo per questo, non mi basterebbe neanche una seconda vita-.
Un silenzio innaturale parve cadere tra i due, mentre Catherine osservava con il fiato sospeso la porta socchiusa della cucina oltre il corridoio. Origliare le conversazioni altrui non era una cosa che era abituata a fare, per questo percepiva una sensazione di inquietudine aggrovigliare le sue budella; ma aveva bisogno di sapere, bisogno di capire.
La donna sembrava affibbiare unicamente a Conrad la colpa di ciò che era accaduto, ma la realtà non poteva essere questa: nessun ragazzino sarebbe disposto a saltare giù da un cavalcavia con l'intento di uccidersi solo perché è il fratello maggiore a chiederglielo. Doveva esserci dell'altro, altri dettagli che ancora le sfuggivano.
-Ne abbiamo parlato già altre volte, mamma- recitò poco dopo la voce profonda dell'uomo, che adesso sembrava celata sotto a un velo di tristezza e malinconia. -Devi sbarazzarti di lui, avresti dovuto farlo già anni fa-.
-Non azzardarti a dirlo- ghignò l'anziana, con un grido stridulo. -Io so che Troy è ancora qui da qualche parte, lo sento. A volte riesco a parlare con lui, non capisci?- disse ancora. -È rimasto intrappolato in quel maledetto corpo, cerca di comunicare con me attraverso di lui-.
Catherine fu scossa da un violento brivido che percorse la sua spina dorsale facendole venire la pelle d'oca su entrambe le braccia: era evidente che Milena non avesse mai accettato la morte dell'altro nipote, fino al punto da proiettare il suo ricordo nel fratello. Per questo lo chiamava con il suo nome, per questo sembrava volersene prendere cura in modo così ossessivo e possessivo; allo stesso modo però, nei momenti in cui tornava a realizzare che il ragazzo in casa sua non era Troy ma Conrad, tutta la rabbia che aveva soffocato tornava puntuale a galla. E l'affetto si trasformava in odio.

CatatonìaWhere stories live. Discover now