ℂ𝕒𝕡𝕚𝕥𝕠𝕝𝕠 16

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Siamo abituati a percepire ogni evento che accompagna il corso della nostra vita come una serie di fatti totalmente casuali, che si susseguono senza seguire uno schema ben preciso; tuttavia, può capitare di trovarsi in situazioni nelle quali questi eventi sembrano, al contrario, comporre un quadro ben delineato del quale noi stessi facciamo parte. Esattamente come il pezzo di un puzzle che si incastra perfettamente assieme a tutti gli altri.
Il respiro di Catherine si arrestò, nel momento esatto in cui sentì Conrad pronunciare quella frase; percepì nella sua debole voce non solo della paura, ma anche una notevole preoccupazione nei suoi confronti. Era evidente che il ragazzo fosse in un certo senso intimorito dalla figura della signora Milena, poiché consapevole di ciò che ella fosse in grado di fare; e a modo suo, con i mezzi che aveva, stava cercando di suggerirle che sarebbe stato meglio per lei abbandonare quel posto di lavoro e dimenticarsene.
Anche se non conosceva il motivo per cui Conrad fosse stato spinto a chiederle così poco velatamente di andarsene, in cuor suo sentiva di aver compreso perfettamente ciò che lui avrebbe voluto dirle. Schiuse le labbra, stava per rispondergli, ma proprio in quell'istante udì chiaramente il suono del campanello che era appena stato premuto.
Sentì il sangue nelle sue vene divenire acqua gelida. Possibile che l'anziana signora fosse già stata riportata a casa, a seguito di quella caduta tanto preoccupante?
Scambiandosi un rapido sguardo d'intesa con il ragazzo si affrettò ad abbandonare la stanza, avvicinandosi a passo svelto alla porta d'ingresso con il fiato mozzato dall'agitazione che impetuosa cresceva in lei ogni secondo si più. Avvicinò l'occhio sinistro allo spioncino, rendendosi conto con un certo sollievo che al di là della porta chiusa vi era semplicemente un fattorino delle poste con un grande plico di buste stretto tra le mani.
-Salve- mugolò, con un timido sorriso.
L'uomo le porse frettolosamente una busta chiusa sulla quale erano stati impressi a macchina i dati del destinatario, che rispondevano al nome e all'indirizzo di Milena; sembrava essere una normalissima bolletta dell'energia elettrica.
Salutando con cortesia l'uomo Catherine si affrettò a tornare all'interno dell'appartamento, avendo cura di chiudere la porta con due giri di chiave; ripose poi l'oggetto sulla vecchia panca di legno posta lungo il corridoio, osservandolo brevemente. In quel momento si sentì un po' stupida per essersi agitata tanto per il semplice arrivo di un postino; era come se vivere all'interno di quella casa la stesse rendendo sempre più paranoica.
Silenziosa osservò la busta chiusa, ripercorrendo con lo sguardo i dati del destinatatio, per poi dirigersi fino alla cucina; da qui, affacciandosi alla finestra, aveva una visuale abbastanza chiara sul parcheggio sottostante. Lanciando sguardi nervosi qua e la si rese conto che dell'uomo in tuta mimetica non vi era più alcuna traccia, e questo non poté che placare almeno in parte l'ansia che la stava massacrando; doveva essersene andato, almeno per il momento. Con un gesto nervoso sfilò il cellulare dalla tasca e compose ancora una volta il numero dell'agenzia, ritrovandosi ad ascoltare interminabili squilli fino a udire ancora la voce registrata della segreteria. Decise di lasciare un secondo messaggio, questa volta più breve e coinciso.
"Sono ancora io, Catherine. Ho urgente bisogno di parlare con qualcuno, richiamate appena possibile, chiaro? Domani me ne andrò via da qui in ogni caso quindi, per favore, ascoltate questo maledetto messaggio e richiamatemi con la massima urgenza".
Sospirando poggiò il cellulare sul tavolo, per poi intrecciare le braccia sul petto e iniziare a camminare avanti e indietro nel vano tentativo si sciogliere la tensione dentro di lei. La parte più razionale della sua mente continuava a suggerirle che avrebbe dovuto andarsene subito, abbandonare quella casa e preoccuparsi esclusivamente della sua salute; d'altro canto, tuttavia, non aveva proprio il coraggio di lasciare Conrad al suo destino come se la sua sorte non avesse alcun tipo di importanza.
E se l'agenzia non avesse avuto personale per sostituirla nell'immediato, che si sarebbe preso cura di lui? Per quanto si trattasse di un lavoro umile, quello che ricopriva era un ruolo di grande responsabilità, poiché ne dipendeva in tutto e per tutto la vita di una persona. 
Mimando una smorfia, Catherine tornò da Conrad, trovandolo ancora immobile nella stessa posizione. Con premura scollegò il sondino e sostituì il cerotto che lo fissava alla sua guancia, mettendone uno di dimensioni ridotte in modo che risultasse meno fastidioso. -Ascolta, c'è una cosa che sento di doverti dire- mugolò, mettendosi a sedere vicino a lui. La sua voce tremava lievemente, ma si sforzò di assumere un tono pacato e sicuro. -Non me la sento di continuare, ho comunicato le mie dimissioni-.
Il viso di Conrad, che un attimo prima ciondolava verso il basso, si sollevò con un movimento piuttosto repentino.
-Mi dispiace davvero tanto, ovviamente non è colpa tua- continuò lei, assumendo un'espressione sconsolata. -Il fatto è che, non so come spiegarmi... Non mi sento al sicuro, qui-.
Gli occhi chiari del ragazzo erano adesso puntati su di lei, la fissavano così intensamente da farla sentire nuda di fronte a lui; ma sentì che la capiva, in qualche modo. Su una cosa di certo Milena aveva ragione, Conrad era un ragazzo estremamente sensibile: lo capiva bene adesso che, in quel suo sguardo immobile, riusciva chiaramente a distinguere una profonda tristezza.
-Troy... Era il mio... fratello minore- sibilò lui un attimo dopo, con evidente sforzo.
Presa alla sprovvista da quell'improvviso cambio di argomento Catherine aggrottò la fronte, restando in silenzio ad ascoltare ogni parola che l'altro faceva risalire dalla gola a fatica. Sembrava quasi che avesse voluto cogliere l'occasione per dirle la verità, forse pensando che in seguito non avrebbe più avuto occasione di farlo.
-Saremmo dovuti morire insieme, ma io... Sono sopravvissuto-.
L'aria attorno a loro si fece pesante, tanto da diventare quasi irrespirabile.
-I dottori dissero che lui non cel'aveva fatta, ma... La realtà è l'esatto opposto-.
La ragazza trattenne il fiato, tentando di dare un senso a quella frase nonostante il caos di pensieri frenetici che si ammassavano nella sua mente. -Cosa intendi dire?- borbottò, annaspando. -Volevate... Volevate suicidarvi?-.
Un sorriso appena percettibile curvò le labbra del ragazzo, tanto tenero quanto carico di profondo rammarico e vergogna. -Sì...- rispose, abbassando lo sguardo.
Catherine restò immobile a guardarlo per una lunga manciata di secondi, tentando di trovare le parole giuste da dire in quel momento. Peccato che, come realizzò poco dopo, non avrebbe potuto dire niente senza sembrare invadente o indelicata; solo adesso era venuta a conoscenza delle reali cause della disabilità di Conrad e mai avrebbe immaginato che si trattasse di una cosa del genere.
Con un gesto automatico si chinò in avanti e poggiò il palmo di una mano sulle sue gambe, come cercasse goffamente di trasmettergli un poco di conforto. -Perché, Conrad?- domandò, con il cuore che batteva così forte dentro al petto da causarle fastidio. -Perché tutto questo?-.
Ma il volto del ragazzo, sovrastato dalla massa disordinata dei suoi capelli biondi, in quell'attimo tornò a spegnersi; lo vide chiaramente dissociarsi dalla realtà, interrompere ogni contatto con ciò che lo circondava, come si trattasse per lui di una sorta di meccanismo di difesa inconscio.
Non rispose più alle sue domande, tantomeno reagì in alcun modo ai suoi successivi tentativi di contatto; tornò a curvare la schiena seduto sulla sua sedia a rotelle, con lo sguardo perso nel vuoto, come potesse guardare in faccia l'oblio.
Lei lo osservò per alcuni secondi ed ebbe l'impressione di percepire sulla sua stessa pelle il dolore che stava provando, e che assopiva imprigionandolo nei meandri più oscuri del suo inconscio. Con un gesto istintivo gli si avvicinò e lo strinse tra le sue braccia, così forte da temere si fargli male. -Va tutto bene, tutto bene- mormorò, poggiando il mento sulla sua spalla.

CatatonìaWhere stories live. Discover now