ℂ𝕒𝕡𝕚𝕥𝕠𝕝𝕠 3

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Il pugno di Catherine si strinse istintivamente sulla bretella dello zaino, mentre tentava di mantenere un atteggiamento quanto più professionale e meno invasivo possibile. -Ho...Una stanza?- domandò, alquanto perplessa. Non si aspettava che le sarebbe stato concesso un lusso simile, anche perché essendo lei incaricata di sorvegliare le condizioni del ragazzo durante la notte non aveva alcun senso posizionarsi a quella distanza. Considerato che lui non fosse in grado di muoversi ne di parlare, in che modo avrebbe potuto accorgersi che qualcosa non andava se non le era concesso restargli accanto?
-Niente di speciale, ma c'è un letto singolo e un armadio dove puoi riporre la tua roba- rispose l'anziana signora, spalancando la porta per consentirle di sbirciare all'interno.
Catherine varcò la soglia con un sorriso e compì un giro su se stessa, titubante. -Mi scusi, io credevo che sarei rimasta accanto al letto del... paziente, insomma-.
L'altra scosse la testa, passando una mano sul volto rugoso. -Non c'è bisogno, Troy di solito dorme tutta la notte. Ti basterà andare a controllare ogni tanto, tutto qui-.
Con un sorriso tirato, tanto teso da farle tremare lievemente una guancia, la ragazza annuì con un cenno del capo. -Come preferisce...- mormorò, riponendo il pesante borsone sul materasso per dare finalmente sollievo alle sue spalle doloranti. La stanza a lei assegnata era ricolma di vecchio mobilio e cianfrusaglie varie, molte delle quali ricoperte da un fitto strato di polvere bianca; una grande porta finestra che dava sulla terrazza, però, la illuminava piacevolmente.
-Sistemati con calma, ci vediamo domattina- affermò la signora, afferrando la maniglia della porta con l'intenzione di socchiuderla. -Ci penso io a metterlo a letto-.
La ragazza si voltò in sua direzione, ancora una volta piuttosto sorpresa; si aspettava che, quantomeno, le avrebbe consentito di provvedere a quella mansione che era sostanzialmente una delle parti essenziali del suo lavoro. -È sicura? Signora, sono qui apposta-.
-Sono sicura- rispose prontamente la donna, il cui volto pareva adesso totalmente privo di espressione. -E non chiamarmi signora, il mio nome è Milena. Buonanotte-. Nel chiudere la porta dietro alle sue spalle la donna parve piuttosto innervosita, ma Catherine non osò interferire ulteriormente. Il suo comportamento la rendeva piuttosto confusa, ma non poteva dire di biasimarla; d'altro canto, fino a quel momento doveva essere stata lei a prendersi cura del nipote, e per questo forse faceva fatica a lasciare che fosse qualcun'altra a farlo al posto suo. Per accettare una cosa come questa avrebbe avuto bisogno di tempo.
Estraendo dal borsone i pochi oggetti personali che aveva portato con se, Catherine coprì il materasso con delle lenzuola pulite e sistemò il mazzo di chiavi assieme al cellulare sul comodino li accanto; poi, sistemandosi a sedere sul bordo del letto, iniziò a guardarsi intorno in totale silenzio. C'era una cosa che aveva notato fin dal primo momento in cui aveva messo piede all'interno di quell'appartamento, ovvero il fatto che da nessuna parte aveva potuto notificare la presenza di album o foto di famiglia; pareva quasi che quella casa fosse abitata da dei fantasmi. Era fredda, impersonale.
Con il fiato sospeso la ragazza ascoltò attentamente ogni movimento di Milena attraverso la porta chiusa, udendo i suoi passi pesanti che si dirigevano all'interno della stanza del nipote per provvedere alla sua messa a letto. Un silenzio innaturale aleggiava nell'ambiente, interrotto soltanto da qualche lieve scricchiolìo e dall'affanno dell'anziana che, evidentemente, faceva molta fatica a sollevare il corpo inerme di Conrad dalla sedia a rotelle. Più volte ebbe l'impulso di uscire dalla stanza e domandarle se avesse bisogno di aiuto, ma il timore di creare un attrito nel suo rapporto con la donna la costrinse a demordere.
Passarono circa una ventina di minuti, quando finalmente con un click appena udibile la luce della stanza fu spenta e i passi della donna, forse ancor più lenti e affaticati di poco prima, abbandonarono il corridoio per raggiungere la sua camera da letto, che si trovava dal lato opposto dell'appartamento.
Catherine emise un lento sospiro, osservando il profilo della porta socchiusa oltre il quale adesso vi era soltanto un'oscurità fitta e silenziosa; si distese sul suo letto, volse lo sguardo al soffitto dai bordi decorati da una striscia di cornici piuttosto pregiate e rimase in ascolto di quell'atmosfera quasi surreale che la spingeva a chiedersi quale fosse la ragione della sua presenza in quella casa. Milena non le aveva dato la possibilità di interagire con il paziente, non le aveva dato quasi nessuna indicazione per quanto riguardava la sua cura e talvolta, addirittura, le era sembrata irritata dal fatto che lei si trovasse lì.
Distrattamente recuperò il telecomando riposto su uno dei mobili presenti e, dopo un paio di tentativi andati a vuoto e qualche colpetto, riuscì ad accendere la vecchia tv posizionata in un angolo della stanza, impostando però il volume a zero. Per decine e decine di minuti si limitò ad osservare lo scorrere delle immagini sperando che sarebbe bastato a far scorrere il tempo un poco più velocemente, ritrovandosi tuttavia a fissare il volto monotono di un giornalista che stava forse parlando di politica. Poi, emettendo un pesante sospiro, issò la schiena staccandola dal materasso e tornò in posizione eretta; pensò che fosse una buona idea dare una sbirciata, giusto per assicurarsi che Conrad stesse riposando e si sentisse bene.
L'ambiente attorno a lei era così silenzioso che i suoi stessi passi parevano creare un baccano insopportabile. Aprì la porta con un movimento estremamente lento, lanciando il suo sguardo oltre: la casa era immersa nell'oscurità più totale, ma una piccola abat jour poggiata a terra illuminava la stanza del ragazzo con una luce calda e fioca. Timorosa ma determinata, avanzò in silenzio lungo il corridoio e varcò la soglia con la punta dei piedi; Conrad stava riposando nel suo letto. Era disteso a pancia in su, con la testa affondata nel cuscino ed entrambe le braccia distese lungo i fianchi, sopra alle lenzuola bianche. Aveva le palpebre calate ed era completamente immobile ad eccezione del suo petto, che si gonfiava in modo appena percettibile ad ogni respiro. Ai piedi del letto giaceva il contenitore dell'urina, ancora vuoto, ed una pila di vestiti da lavare abbandonati sul pavimento; la sedia a rotelle, sul cui tessuto usurato era ancora impressa la sagoma del corpo esile del ragazzo, era stata posizionata in un angolo.
Lui sembrava molto rilassato, dormiva tranquillamente. O almeno, così le era sembrato.
Per una lunga manciata di secondi  Catherine restò in piedi a osservarlo, poi si voltò indietro e tornò sui suoi passi, avendo l'accortezza di lascar aperta la sua porta una decina di centimetri. Il rumore di qualche auto di passaggio attirò la sua attenzione verso la porta a vetri che dava sul terrazzo, attraverso la quale poteva intravedere la facciata del palazzo di fronte, illuminata dai lampioni stradali.
La signora Marilena dopotutto aveva ragione, le notti in quella casa sembrano davvero infinite.

CatatonìaWhere stories live. Discover now