ℂ𝕒𝕡𝕚𝕥𝕠𝕝𝕠 6

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Con un lento sospiro atto a regolarizzare i battiti cardiaci, Catherine allungò una mano e premette con decisione il campanello sulla porta dei Page; pur essendo in possesso di una copia delle chiavi, le pareva poco cordiale e decisamente troppo invadente aprirsi da sola. Poco dopo, proprio come era avvenuto la sera precedente, udì i passi scoordinati dell'anziana signora avvicinarsi all'ingresso.
-Bene, sei tornata- esclamò impacciata, ancora intenta a masticare in modo poco elegante gli ultimi resti della cena. -Dai, entra-.
La ragazza sorrise e varcò la soglia, ritrovandosi catapultata in un salotto che ben poco aveva a che vedere con l'ambiente preciso e curato che aveva lasciato il giorno prima: vi erano diverse carte e cianfrusaglie sparse ovunque, sopra ad ogni mobile e anche distese sul pavimento. Forse notando il suo stupore, Milena iniziò a ridacchiare mentre sustemava gli occhiali sul naso. -Oh, non fare caso a tutto questo disordine. Sto buttando via un po' di vecchia roba- affermò.
La ragazza si guardò brevemente intorno. La luce del salotto era accesa, mentre tutte le altre stanze erano avvolte dell'oscurità; solo quella in cui riposava Conrad era tiepidamente illuminata dalla solita piccola abat jour adagiata sul pavimento nelle vicinanze del suo letto. Le tapparelle erano quasi tutte abbassate, motivo per cui all'interno dell'appartamento il caldo era a dir poco soffocante.
-Non si preoccupi. Anzi, la aiuto a sistemare, se vuole- rispose.
Ma l'anziana, ridacchiando ancora, scosse la testa mentre agitava l'indice a mezz'aria. -Non c'è bisogno, finirò domani. Adesso puoi andare a salutare Troy, se vuoi-.
Ancora quel nome, pensò in silenzio la ragazza; proprio non riusciva a comprendere per quale motivo non chiamasse il nipote in modo corretto e, considerando alcuni suoi comportamenti bizzarri, iniziava a supporre che forse quella donna stesse sviluppando i primi sintomi di una demenza, o magari un semplice decadimento cognitivo causato dall'età.
Un po' titubante Catherine fece come le era stato suggerito, approfittando per abbandonare il caotico salotto e recarsi all'interno della camera da letto del suo paziente. Qui entrò molto lentamente, guardandosi intorno con attenzione; Conrad era stato sistemato sulla sua sedia a rotelle e posizionato proprio sotto alla finestra come per concedergli di osservare il paesaggio attraverso il vetro. Tuttavia, la tapparella era completamente abbassata.
-Ciao Conrad... Sono ancora io, la tua assistente. Come ti senti stasera?- balbettò lei, avvicinandosi pian piano.
Il ragazzo aveva lo sguardo fisso nel vuoto, la testa leggermente piegata in avanti e i capelli arruffati. Teneva entrambe le braccia incrociate sulle coscie, mentre i piedi erano sollevati e posizionati sulle pedane; una tuta bianca, letteralmente immacolata, ricopriva il suo corpo assottigliato dalla cattiva alimentazione e dalla totale mancanza di attività motorie. Proprio come il giorno prima Conrad non mosse un singolo muscolo, in alcun modo sembrò reagire all'arrivo di Catherine, come se non si fosse neanche reso conto della sua presenza all'interno della stanza.
Lei gli si posizionò accanto, sforzandosi di mostrare un sorriso amichevole e premuroso. -Sono qui per aiutarti, quindi... Se hai bisogno di me, vorrei trovassi un modo per farmelo capire. Ok?- gli disse, sfiorando la sua spalla sinistra con una mano. Si accorse che il tessuto era umido, intriso di sudore.
Solo un attimo dopo Catherine sentì il suo cuore mancare un battito, mentre un brivido gelido percorreva interamente la sua schiena:  nonostante la scarsa visibilità ambientale riuscì a scorgere un leggero movimento della testa di Conrad, che roteò in sua direzione di un paio di gradi; i suoi occhi castani adesso erano fissi proprio su di lei, come la stesse scrutando insistentemente.
Le labbra della ragazza si assottigliarono in un sorriso carico di nervosismo; considerati i gravi impedimenti del paziente era difficile per lei capire quali emozioni si nascondessero dietro alle sue iridi, ma una cosa era certa: si era mosso. Quindi poteva farlo, poteva muoversi.
Conrad gli era stato descritto quasi come un corpo senza vita, in totale stato vegetativo; ma forse questo non era poi così vero.
-Io sono proprio nella stanza qui accanto, ma durante la notte vengo spesso a vedere come stai- continuò a spiegare, osservando con estrema attenzione il suo interlocutore nel tentativo di captare qualche altro movimento nel suo corpo. -Quindi puoi s...-.
-Ma che fai?-. La voce severa di Milena, distorta dalla rabbia fin quasi a non sembrare neanche la sua, rimbalzò improvvisamente tra le pareti della stanza e immediatamente gli occhi del ragazzo si sollevarono in sua direzione. Catherine si alzò in piedi e fece un passo indietro, evidentemente intimorita. -Nulla, stavamo solo facendo due chiacchiere- tentò di spiegare.
Ma l'anziana donna, precipitandosi all'interno della camera da letto, raggiunse il nipote e rimosse il freno sulle ruote della sedia a rotelle, per poi spingerla come una furia fino accanto al letto. -È inutile che parli con lui, sei stupida per caso?- ghignò, iniziando a sistemare nervosamente le lenzuola. -Un saluto è più che sufficiente, tanto non può risponderti-.
Catherine inarcò la sopracciglia, colta alla sprovvista da quella reazione così esagerata. -Chiedo scusa, Milena. Pensavo solo che...-.
-Troy è molto malato. Tu sei qui per assicurarti che non abbia problemi durante la notte, punto- continuò a sbraitare l'altra. Poi, afferrando il nipote da sotto le ascelle, con uno sforzo immane riuscì a sollevarlo fino a distenderlo sul materasso.
-Lasci che la aiuti- esclamò d'istinto la giovane, facendo un passo avanti.
Ma l'altra, che ormai aveva completamente perso il controllo di quel poco di pazienza che aveva, si voltò di scatto e la fulminò con un solo sguardo. -Ci penso io, vai nella tua stanza ora-.
Il resto della serata trascorse nel silenzio più totale, spezzato solo dal fracasso di qualche auto di passaggio nella strada antistante il condominio. L'atmosfera era tanto tesa quanto intrisa di una tristezza che Catherine sentiva sulla sua pelle, come un macigno posato sul petto. La situazione di quella famiglia era estremamente complessa, e ora più che mai si rendeva conto che la nonna sembrava proprio essere il principale ostacolo che avrebbe dovuto superare per sopravvivere in quel posto. Era evidente che non fosse più in grado di prendersi cura del ragazzo, lo dimostrava semplicemente il fatto che lo avesse messo a letto senza neanche lavarlo o dargli da bere; avrebbe dovuto trovare il modo più gentile e meno invasivo possibile per mettere Milena davanti a questa evidenza e chiederle di fidarsi di lei.
Provava molta pena per Conrad, soprattutto adesso che aveva avuto occasione di guardarlo negli occhi. Era sicura che dentro a quel corpo vi fosse ancora una persona pienamente consapevole, che desiderava ardentemente liberare.
Sfogliando pian piano le pagine del romanzo che aveva portato con se, la ragazza si lasciò rapire dalla lettura per diverse ore, limitandosi a dare una sbirciata nella camera del paziente di tanto in tanto. Una volta stanca di leggere accese un po' la tv, finendo per sonnecchiare con la testa affondata nel cuscino e lo sguardo rivolto a soffitto sopra alla sua testa; anche se non avrebbe dovuto dormire durante il turno, la stanchezza quella sera aveva avuto la meglio.
Intorno alle due di notte, tuttavia, una serie di improvvisi rumori la facero sobbalzare; udì il cigolio di alcuni sportelli e lo sbattere di qualche pentola: qualcuno stava armeggiando in cucina, ma tutte le luci erano spente e l'appartamento era immerso in un'oscurità impenetrabile dagli occhi.
Deglutí a vuoto, scoprendosi nervosa e titubante; recuperò il cellulare dal comodino e accese la torcia, per poi abbandonare silenziosamente la sua stanza.
In quell'ambiente quasi spettrale, i caotici battiti dei suo cuore sembravano generare un rumore assordante.

CatatonìaWhere stories live. Discover now