ℂ𝕒𝕡𝕚𝕥𝕠𝕝𝕠 29

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Un'espressione di profondo stupore si dipinse sul volto di Conrad, dove appare subito dopo un sorriso spontaneo che curvò lievemente le sue labbra sottili. -..Catherine..- mormorò allungando lentamente una mano in sua direzione, che le prontamente afferrò con decisione affondando le proprie dita tra le sue.
I due restarono in silenzio per una lunga manciata di secondi, quasi come potessero comunicarsi tutto quanto con il semplice atto di guardarsi vicendevolmente negli occhi; poi, sorridendo ancora, la ragazza abbassò lo sguardo sulle loro mani. Tremavano, ma questa volta non di paura bensì di entusiasmo.
-Volevo assicurarmi che stessi bene, cosi sono venuta a farti visita-.
Conrad strinse il pugno, con un'energia che non aveva mai percepito in lui prima d'ora: da quando gli erano stati negati i farmaci che Milena gli somministrava giornalmente per tenerlo a bada, il ragazzo sembrava quasi rinato. Adesso era decisamente più reattivo, presente, connesso con ciò che lo circondava e con le emozioni che questo gli trasmetteva.
-...Sapevo che saresti venuta- bisbigliò.
-Ti trovi bene qui?- gli domandò lei, rimboccandogli le lenzuola come se fosse ancora lei a doversene prendere cura. Fu un gesto automatico che compì senza neanche pensarci. -Le infermiere sembrano gentili- commentò.
Il ragazzo annuì debolmente, restando tuttavia in silenzio. Volse il suo sguardo alla finestra aperta, dalla quale proveniva una piacevole brezza estiva, emettendo un lento sospiro; dopo tutti quegli anni di assenza e silenzio sentiva bisogno di tirar fuori tutto il veleno che lo divorava dall'interno, e l'unica persona al mondo nella quale adesso riponeva sufficiente fiducia era proprio Catherine. Così, per la prima volta decise di riempire quel silenzio di parole.
-Ho pensato che ti meriteresti qualche spiegazione in più- bisbigliò. -Soprattutto dopo quello che è successo-.
-A cosa ti riferisci?- mugolò l'altra, aggrottando la fronte.
-I miei genitori sono morti entrambi... in un incidente stradale- disse lui, evitando volontariamente il contatto visivo con la ragazza poiché parlare di quella brutta faccenda lo metteva fortemente a disagio. -Mio padre quel giorno ebbe un litigio violento con nonna, poi si mise alla guida ubriaco. L'auto finì giù da un dirupo-.
Osservando con attenzione ogni movimento delle sue labbra Catherine lo ascoltava in silenzio, pensando a quanto fosse meraviglioso sentirlo parlare in modo così fluido e spontaneo. Ne aveva bisogno, aveva bisogno di sfogarsi, di sbarazzarsi del macigno che i suoi ricordi avevano formato sulle sue spalle, fossilizzandosi poiché mai ascoltati da nessuno.
-Morirono entrambi, probabilmente non subito; ma rimasero intrappolati nell'abitacolo fino alla morte poiché l'auto si era accartocciata come una lattina-. Si interruppe brevemente, voltandosi in direzione di Catherine. Non si aspettava alcun commento o risposta da lei, tutto cio che desiderava era metterla al corrente di quale fosse la verita. -Io e Troy non riuscimmo mai ad accettarlo, eravamo solo dei ragazzini-.
Lei deglutì a vuoto, stringendo le mandibole. -Quindi è per questo che...- mormorò, con un filo di voce.
-Nonna non si è presentata neanche al funerale. Siamo stati affidati alle sue cure, ma vivere con lei era un inferno; era crudele, soprattutto con Troy, perché lui è sempre stato il più indifeso-. Dal modo in cui raccontava quella vicenda era facile comprendere quanto il solo ricordo avesse ancora un enorme potere su di lui, riuscendo a far riaffiorare tutto il dolore che aveva provato nonostante da allora fossero passati più di dieci anni.
Catherine trattenne il fiato, non potendo fare a meno di provare una forte empatia nei confronti del suo interlocutore.
Calò un pesante silenzio all'interno della stanza, fino a che il biondo non riprese a parlare. -Ma soprattutto... Dopo un po' ha iniziato a importunarlo- sibilò, con una voce che adesso si era fatta più leggera. Abbassò gli occhi e strinse più forte la mano di lei, come cercasse conforto nel calore della sua pelle.
-In che senso?-.
-...Lo ricattava continuamente, lo abusava in ogni modo possibile. Anche sessualmete- rispose, stringendo le spalle quasi come volesse dire che la cosa ormai non aveva più tanta importanza.
Catherine sentì una voragine aprirsi nel suo petto nel momento in cui udì quelle parole, così assurde e spietate da sembrare in quel contesto quasi surreali. Aveva sempre ipotizzato che qualcosa in Milena non andasse, ma non avrebbe mai immaginato che quella donna in passato fosse arrivata a tanto.
-Era come ossessionata da Troy- continuò a spiegare Conrad, con un filo di voce. -E lui non ne poteva più. Desiderava morire, lo volevamo entrambi-. Prese fiato, come se fosse appena emerso da una vasca piena d'acqua gelida. -E nonostante io fossi il maggiore, non sono stato capace di proteggerlo come avrei dovuto. Per questo abbiamo deciso di farla finita insieme, ma le cose non sono andate esattamente come avevamo sperato-.
-Tu sei riuscito a sopravvivere- esclamò d'istinto Catherine.
-Sì- mugolò l'altro, con amarezza -Ma a che prezzo?-.
Un silenzio asfissiante tornò a sollevarsi tra i due, nel momento in cui i loro sguardi tornarono a incrociarsi. Gli occhi di Conrad erano maledettamente spenti, ma allo stesso tempo più vivi di quanto fossero mai stati.
Catherine chinò la testa, osservando distrattamente il pavimento lucido sotto alle suole delle sue scarpe da tennis. Percepiva tutto il dolore che lui provava come fosse un tizzone ardente premuto sulla pelle, e in quel momento desiderava più di ogni altra cosa poterlo placare.
Il biondo tornò ad affondare la testa sul cuscino, volgendo lo sguardo al soffitto. -Sai, da quel giorno mi sono detto che prima o poi lo avrei incontrato ancora. Dopotutto, ogni singolo respiro che faccio mi porta un po' più vicino a Troy-.
Lei annuì vagamente. -Eravate molto legati, tu e tuo fratello- commentò con un sorriso spento. -Sono sicura che lui non vorrebbe sentirti parlare in questo modo-.
-Lui avrebbe voluto che lo seguissi, e lo volevo anch'io- rispose. -Ci sono arrivato così vicino... Eppure non ci sono riuscito-.
Con un gesto istintivo Catherine si sporse in avanti, aggrappandosi al suo braccio e adagiando molto delicatamente la testa sul suo petto nel disperato tentativo di dargli conforto; adesso poteva sentire il battito costante del suo cuore, e il lieve fruscio del suo respiro. Pensò che sarebbe potuta restare così in eterno.
Conrad non lo meritava, tutto quel dolore.
Sembrava sollevato di essere finalmente riuscito a parlare a qualcuno del suo passato, di tutte quelle cose che si era tenuto dentro per così tanti anni e che avevano lentamente avvelenato la sua anima; allo stesso tempo però, farlo aveva fatto riaffiorare in lui dei sentimenti che aveva intrappolato nella parte più oscura del suo inconscio, come avesse voluto assicurarsi che non sarebbero mai più tornati a galla. Per quanto Milena avesse fatto in modo da ampliare a dismisura il suo rifiuto della realtà e il suo contatto con essa, durante gli ultimi dieci anni lui stesso aveva trovato conforto in quella sorta di falsa esistenza che gli aveva creato: disconnettersi dalla realtà lo aveva in qualche modo aiutato ad affrontare il dolore, permettendogli di continuare a vivere nonostante ogni parte di sé se ne fosse in realtà andata via assieme a suo fratello.
-Io... Sono felice che tu sua qui- mormorò Catherine, sollevando lentamente lo sguardo. La sua voce tremava a causa dell'agitazione, il cuore pareva voler sfondare il suo petto; non si trattava di una frase pronunciata solo per confortarlo, ma rispecchiava realmente quello che era il suo pensiero.
E lo sguardo del ragazzo, dominato da un velo di tristezza e rassegnazione, si calò su di lei. Solo qualche secondo di silenzio precedette il gesto spontaneo con lui le di avvicinò, fino a sfiorare le labbra di Catherine con le sue. Quel contatto generò in lui una sensazione di calore che lo fece sentire, forse per la prima volta dopo troppo tempo, realmente vivo; amava tutto di lei, tanto da desiderare di averla al suo fianco per sempre, ma quella ragazza apparteneva a un mondo dal quale lui si era ritirato ormai da troppi anni.
Catherine lo guardò dritto negli occhi, con il respiro accelerato e gli occhi lucidi. Non aveva bisogno di dire nient'altro, quella semplice frase era l'unica cosa importante che desiderava comunicargli in quel momento.
"Sono felice che tu sia qui, sono felice che tu sia vivo".
Eppure, non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che Conrad non sarebbe mai riuscito ad essere felice di vivere, non dopo quello che gli era accaduto. Forse non sarebbe mai riuscita a colmare quel vuoto, neanche con tutto l'impegno e la buona volontà del mondo.
-Chiedo scusa, ma l'orario delle visite è terminato- esclamò la stessa infermiera che aveva accompagnato la ragazza pochi minuti prima, mentre ella faceva capolino dalla porta della stanza. -Può tornare a trovare il paziente quando vuole, comunque-.

CatatonìaWhere stories live. Discover now