Capitolo 16

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Il tifo.
Questa malattia stava colpendo chiunque, tra cui anche Alejandro. Stava malissimo. Febbre alta, a volte vomitava anche e non mangiava. Era diventato magrissimo.
Piangeva durante la notte per via della febbre troppo alta, ma anche perché voleva Dafne.
Era notte fonda ed io ero sveglio per controllare Alejandro. Gli avevo appena dato l'antibiotico perché si era svegliato di nuovo con la temperatura alta. Aveva accanto il mio vecchio orsacchiotto che avevo da bambino per dormire, il ciuccio che usava solo ed esclusivamente per dormire dato che dovrei iniziare a toglierlo, e una coperta addosso in modo tale che non sentiva freddo.
Io ero accanto a lui, continuavo a guardarlo da ore e non mi stancavo mai di farlo. Era così bello guardarlo dormire.. mi rilassava tanto e mi faceva smettere di pensare al periodo che stavamo passando.
Poco dopo allungai il braccio e iniziai ad accarezzargli la guancia, per poi passare a una mano che stringeva il vecchio orsacchiotto.
Ero ancora incredulo di tutto ciò che mi era successo in questi mesi. Mi era ancora impossibile capire che ero diventato papà. Smisi di accarezzarlo perché iniziò a lamentarsi di nuovo.
Si svegliò all'improvviso e mi guardò piangendo.
Mi tese le sue braccia verso di me e lo avvicinai verso il mio petto, lo sollevai e lo abbracciai.
«piccolo mio, che è successo?»
Iniziò ad indicarmi la fronte, la toccai e sentii che era bollente.
«hai di nuovo la febbre alta»
Entró Stefania e le dissi se poteva portarmi una bacinella con dell'acqua e dei panni.
Subito dopo salì con tutto ciò che le avevo chiesto e mi aiutó a coprirlo per bene con i panni freddi.
«questo è per far scendere la febbre piccolo» - dissi mentre gli mettevo un panno in fronte - «grazie Ste, davvero»
«siamo amici noi due, e gli amici si aiutano in tutto no?»
«non pensavo che adesso mi classificassi come tuo amico»
«tu ami Dafne, e si vede da come ne parli. Sto imparando ad accettare tutto ciò»
«grazie, sei fantastica»

*

«hai preso tutto da tua madre sai? Il fatto che vuoi così tanto bene ad Alejandro nonostante sia mezzo ebreo, ti fa vedere molto maturo»
«mio padre non ha mai fatto nulla del genere, e quindi sto cercando di essere il contrario di lui»
Ed era vero. Mio padre non voleva vedermi, diceva sempre che ero stato un errore, che la mia nascita era uno sbaglio e che da quando ero nato la sua vita era tutto un inferno.
Quando c'erano i suoi colleghi a casa e io volevo stare con lui, mi cacciava sempre. Volevo un po' di carezze da parte sua. «Vai dalla mamma e non da me». Per metà dei miei ventidue anni sempre così è stato, ma ora che ne ho ventitré è cambiato tutto. Da adesso in poi mio padre sarà un capitolo chiuso per me.

*

Era l'una di notte, avevo quattro anni e avevo la febbre altissima.
In casa c'era solo mio padre. Lo chiamavo ma non rispondeva, così in qualche modo andai da lui e vidi che stava lavorando.
«p-p-papà. Mi sento poco bene, ho la febbre»
«Érick per favore, sto lavorando. Va via»
«mi-mi-mi prendi lo sciroppo? Ho la tosse forte, così forte che mi fa male la gola»
«sai dov'è, te lo prendi da solo»
Rinunciai e andai a prendermi le medicine da solo. O per lo meno, cercai di andare, ma dopo aver sceso due scalini vidi la casa girare, girare e girare, per poi cadere per terra e non vedere più la luce.
Quella notte stessa andai in ospedale. I vicini sentirono i rumori che feci cadendo dalle scale non appena ero svenuto.
I poliziotti interrogarono mio padre. Quello che riuscì a sentire erano solo bugie. Diceva «gli avevo detto di tornare a letto e non appena avevo finito gli davo le medicine. È sempre stato testardo, mi dispiace avervi disturbato»  oppure «è sempre stato così ottuso. Vuole sempre avere le cose appena le chiede»
Mia madre per fortuna venne subito appena la vicina la chiamò. Non era in casa perché era al lavoro. Le raccontai tutto e lei dava ragione a me,ma di certo i poliziotti non potevano dare retta a un bimbo di quattro anni.
In ospedale mia mamma non poteva rimanere sennò perdeva il lavoro, così le dissi che poteva andare via senza preoccuparsi. Vorrei non averlo mai detto...
«sei un coglione. Ma che ti salta in mente?!» - disse sussurandolo lontano da occhi indiscreti.
Insulti, solo ed esclusivamente insulti.
«mi hai detto tu di scendere a prendere da solo le medicine..»
«Érick dio solo sa quanto ti odio» - Mi odiava. Poco dopo si avvicinò un'infermiera e mi visitò «Sei un bambino immaturo e bugiardo. Ti avevo detto di stare in camera tua che presto sarei arrivato con tutto». Ancora bugie.
Continuava a dire cose su di me, ma io rimasi concentrato su quelle due parole.
"ti odio"

*

D'accordo papà, tu odiavi e odi tutt'ora tuo figlio, sappi che il sentimento è reciproco da ora in poi.
«ale, che c'è?» - chiesi facendogli i grattini.
«dov'è mamma?»
Dovevo dirgli la verità. Io non sono mio padre, ma non ci riuscivo. Gli avrei distrutto la vita. Subito dopo mi venne un'idea su come raccontargli tutto senza farlo preoccupare.
«amore mio, è il momento che ti dica un paio di cose. Ecco, tu che sei fissato con i carri armati o cose del genere, sappi che tutto ciò che ti sto per raccontare è solo un gioco. Io e la mamma per i tuoi quattro anni ti stiamo facendo un mega regalo. Sarà bellissimo, ma devi aspettare un bel po'» - dissi toccandogli la punta del naso con l'indice.
Mi guardò stranito, come se non ci credesse.
«guarda che è vero. Io non sono con lei perché ti devo distrarre»
Sorrise e mi abbracciò. Era il primo abbraccio molto clamoroso che ricevevo. Era bellissimo sentirsi parte di una famiglia e finalmente lo ero. Io, Érick García di veintitré anni avevo finalmente una famiglia,ovvero, un figlio che amo con tutto il mio cuore.

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