Capitolo 19

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«possiamo parlare?!» - dissi rincorrendo mio padre verso il suo ufficio.
Era arrabbiato perché gli avevo nascosto un bimbo ebreo dentro casa sua.
«papá, ti prego»
«Érick non parlare. Devi tacere! Mi hai fatto fare una figura di merda davanti a tuo nonno facendo rimanere incinta una ragazza ebrea! Specialmente avendo una relazione!»-disse entrando nell'ufficio e io lo seguì dentro.
«io e quell'ebrea come la chiami tu non stiamo insieme! È successo che è nato un bambino. Quando me l'ha consegnato dopo un anno sono rimasto senza parole. Avevo paura di come avresti reagito, per questo non ti ho detto nulla»
«paura di me? E perché mai dovresti avere paura di me?»
Davvero me lo sta chiedendo?
«sei serio? Tu mi hai sempre considerato uno sbaglio, che la mia nascita ti ha distrutto. E fino a quando ero bambino ripetevi le stesse cose. Hai addirittura detto che io non sono neanche tuo figlio. A cinque anni, quando ho avuto la febbre alta, mi hai detto di prendermi le medicine da solo e con questo sono anche svenuto e caduto dalle scale perché stavo troppo male e tu per il tuo lavoro del cazzo mi hai ignorato. Io! Tuo figlio! Hai ignorato per tanto tempo tuo figlio! L'hai insultato fino allo sfinimento! L'hai anche picchiato solo perché cercava di proteggere la propria madre!» - dissi con le lacrime agli occhi. Ero addolorato per quello che gli stavo dicendo, ma specialmente perché stavo per perdere la mia ragione di vita. Alejandro.
Mio padre non fiató. Non disse neanche una parole.
«papà, ti prego. Lasciatelo. Prendete me, arrestatemi, fate quello che volete, ma ti prego... ha tre anni.. non ha fatto nulla di male a nessuno»
Lui non fiató ancora.
«io..» - presi un bel respiro per via della mia voce ormai roca dalle lacrime che scorrevano sul mio viso - «grazie a lui ho capito cosa significa ritornare ad amare, a vivere. Dalla morte della mamma io ero completamente distrutto. Alejandro mi ha aiutato a rinascere»
Ad interrompere la nostra conversazione fu qualcuno che bussò alla porta.
«avanti» - disse mio padre.
«capo, dobbiamo risolvere quella questione» - disse il soldato appena entrato nella stanza.
«arrivo»
Stava per uscire dalla stanza, ma prima si girò verso di me e mi guardó.
«riprenderemo il discorso dopo»
Io non dissi niente e lui se andò.

*
Papà di Érick
«è qui che è quel bambino?» - dissi
«si capo. La lasceremo parlare da solo con lui come ha richiesto, noi saremo qui davanti alla porta aspettando una sua ordinanza»
Annuì ed entrai in quella stanza.
Non appena varcai la soglia vidi il bimbo legato. Gli andai vicino e lo slegai. Era impaurito.
«so chi sei è inutile che menti»
Non parlava.
«come ti chiami?» - gli chiesi
«Alejandro» - rispose spaventato.
«e quanti anni hai caro Alejandro?»
«tre»
«voglio arrivare al dunque mio caro Alejandro, chi è tua madre?»
«non lo so.. mi ha abbandonato»
Sciocchezze.
«da quanto mio figlio si prende cura di te?»
«avevo un anno»
Intelligente la madre dare il bambino a quest'età a qualcun altro. Così se ci sono delle domande su di lei, lui non sa rispondere.
«voglio mio padre, dov'è?» - chiese quasi sull'orlo del pianto.
«ti ha abbandonato anche lui»
«no! Mio padre non farebbe una cosa del genere. Lui mi vuole bene»
«a quanto pare non ti vuole così tanto bene»
Iniziò a piangere.
«papà..» - disse piangendo
Gli vuole davvero così tanto bene?
«ti ha raccontato qualcosa tuo padre?»
«s-su cosa?Io non so niente, voglio mio padre»
«su tuo nonno..»
Non rispose. Così mi alzai e mi avvicinai alla porta.
Stavo per aprirla, ma poco dopo lo sentì parlare.
«diceva che lui lo considerava un eroe..»
«davvero?»
«almeno fino a quando era bambino come me»
«e cosa successe poi?» - chiesi
«iniziò a trattarlo male e mio padre si allontanò per sempre da lui»
«oh.. e cosa dice lui?»
«che anche se gli ha fatto del male dice che gli vuole bene».
Érick..

*

Érick
Aspettai mio padre qui. Nel suo ufficio. Il discorso lo dovevamo riprendere a tutti i costi. Teneva in ostaggio mio figlio solo per avere delle cazzo di risposte, ma che non avrà mai.
Dio come ero preoccupato. Avevano dato da mangiare ad Alejandro? Aveva il suo orsacchiotto preferito? Stava bene?
L'attesa ormai era diventata troppo lunga.
A distrarmi dai miei pensieri rivolti ad Alejandro fu lo scricchiolo della porta. Qualcuno stava entrando.
Mi girai e vidi lui.
Non ci posso credere.
Stava bene.
«papà» - disse correndo verso di me.
«Alejandro» - lo presi in braccio e lo abbracciai dandogli tanti baci in viso - «stai bene? Ti hanno fatto qualcosa? Hai mangiato?» - dissi controllandolo come un maniaco.
«sta bene, e ha mangiato si» - disse mio padre entrando in ufficio.
«è stato lui a liberarmi. Mio nonno» - disse Alejandro.
«sei stato davvero tu?» - domandai.
«volevo vedere mio figlio felice per una volta»
«grazie papà. Davvero»
«ora andate su, che devo lavorare. Ci vediamo dopo» - disse.
Mio padre era cambiato? Non sapevo rispondere a questa domanda, ma so solo che adesso ero felice perché avevo di nuovo Alejandro tra le mie braccia che stava giocando con il suo orsacchiotto preferito.

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