Capitolo 23

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Era agosto del 1945 e già Alejandro aveva compiuto quattro anni. Il mio piccolo ometto sta crescendo e ancora non ha visto la madre....
«papà»
«dimmi piccolo»
«hai notizie di mamma?»
Sapevo che mi avrebbe fatto questa domanda, non posso dirgli la verità.
«no, non ho notizie di mamma»
«spero che possa vederla presto..»
Sorrisi spontaneamente. A guardarlo così piccolo e indifeso, decisi di abbattere quel muro e di dirgli la verità.
«Alejandro, devo dirti una cosa»
Alzò lo sguardo verso di me e io lo presi per i fianchi per poi metterlo in braccio a me.
«vedi... poco fa ho detto una bugia. Ho visto la mamma e non direi che sta bene, anzi.. non sta per niente bene»
«perché mi hai mentito?» - sussurrò.
«non volevo che ti capitasse qualcosa e quindi ho mentito tutto le volte che mi hai chiesto di lei»
Abbassò lo sguardo per terra.
Era deluso da suo padre? Arrabbiato perché gli ho mentito?
Ma poco dopo rimasi a bocca aperta da ciò che mi chiese.
«mi racconti qualcosa di lei?Come vi siete conosciuti?»
«certo piccolo»
«vedi, io e la mamma, che si chiama Dafne ma non fartelo scappare ok?» - annuì e subito dopo continuai - «ci siamo conosciuti in una festa in spiaggia. Lei era semplicemente bellissima. Il vestito che aveva si intonava con il colore degli occhi, che sono verdi vorrei precisare. Edward me la fece conoscere. In qualche modo riuscì a farla avvicinare a noi e così parlammo per tutta la sera.
Non ci separammo per tutta la serata, però poi lei dovette andarsene e non la rividi più. A settembre però la vidi nuovamente, qui in questo campo di concentramento. Rimasi stupito nel vederla. Per fortuna ero stato messo nel dipartimento delle donne ebree e così chiesi cosa ci facesse là e se mi riconoscesse, ma la risposta non era quella che mi aspettavo. Mi rifiutò per giorni e giorni, fino a quando non decise di dirmi la verità. Il problema è che poi fu trasferita ma io lo scoprì solo dopo tanto tempo così in qualche modo mi trasferirono pure a me e la incontrai. E poi dopo tanto tempo sei nato tu»
«ma mamma ora è qui?» - chiese
«si, ma non posso fartela vedere mi dispiace. Ma devi sapere una cosa»
«cosa cosa cosa?» - domandò tutto eletrizzato.
«non so se ti ricordi della brutta nottata che mi hai fatto fare una sera, ma per farti calmare arrivò lei. Ti prese in braccio e ti calmó»
«davvero?»
«si»
«wow..»
Gli sorrisi spettinandogli i capelli.
«voglio tanto vederla»
«e lo farai, lo faremo.. insieme. Tutti e tre insieme riusciremo ad uscire da qui. Te lo prometto».
Sorrise. Ha il suo stesso sorriso.
«mi manca» - sussurrò quasi in un pianto. Lo abbracciai e restammo così per un po' di tempo.
«ha gli occhi verdi?» - chiese
«si, gli occhi più belli del mondo. Ogni volta che li vedevo, sapevo che con un solo sguardo riuscivo a dare il meglio di me. Lei riesce a rendermi una persona migliore»
«sei già una persona migliore papà» - dopo questa affermazione gli diedi un bacio sulla fronte e lo misi poco dopo a dormire.
Mi sdraiai accanto a lui e lo tenni stretto a me. Avevo tanti compiti da fare, ma il primo era badare a mio figlio. Il primo compito che avevo da fare era far felice Alejandro in qualunque modo.

*

«Érick svegliati»
Mugulai infastidito e poco dopo aprii gli occhi. Era Edward la persona che mi chiamava.
«che vuoi?»
«ti vuole parlare tuo padre»
«a quest'ora? Ma che ore sono?»
«le 6 del mattino» - rispose guardando l'orologio che aveva al polso.
Mi alzai frustrato, mi cambiai e andai da mio padre.
Arrivato al suo ufficio bussai e dopo il suo permesso entrai.
«mi reclamavi?»
«si » - disse guardando fuori dalla finestra.
Mi avvicinai e vidi che sporgeva nel dipartimento delle donne ebree.
«che guardi?»
«la vera domanda è chi guardo»
Cosa..
Non era vero.
Forse già stavo iniziando a ipotizzare.
«ovvero?»
«Dafne vero? È così che si chiama quella ragazza?» - disse indicandola.
«non so chi sia» - mentii.
«certo..» - si girò verso di me e sussurrò - «se non vuoi che succeda niente di male ad Alejandro, dovrai dirmi la verità»
«lascia stare Alejandro» - dissi con aria di sfida.
«la conosci? Si o no?»
Dio.. se mentivo faceva del male ad Alejandro, ma se dicevo di sì faceva del male a Dafne.
Non mi rimase altra scelta.
«si» - sussurrai. È quello che vorebbe lei.
«bene, dopodomani verrà uccisa»
«cosa? No!»
«hai avuto un rapporto sessuale con lei! Infanghi così il nostro cognome!» - sbraitó
«io non ho più il tuo cognome di merda»
Mi arrivò uno schiaffo, poi un pugno e subito dopo altro.
Ero a terra. Stanco. Con l'affanno.
«se la tocchi, non esiteró ad ucciderti»
«e per quale motivo? È un'ebrea del cazzo»
«perché la amo!» - urlai.
«non importa, dopodomani verrà uccisa. Che tu lo voglia o no. E ora vai via»
Non me ne andai. Dopo tanto tempo mi presi di coraggio e iniziai a tirare calci e pugni a mio padre.
Lo stavo prendendo a calci e a pugni non solo per Alejandro e Dafne, ma anche per la mamma. Ma soprattutto per tutte quelle volte che le ha date a me senza un valido motivo. Mi stavo riprendendo la rivincita. Questa volta a comandare ero io e non lui. Questa volta ero io a dare le botte e non lui. Questa volta ero io quello arrabbiato e non lui. Questa volta ero io quello che voleva vincere. Questa volta ero io che volevo, che desideravo disperatamente un padre migliore e non questa merda che mi era capitata.
Lo presi per il dietro della camicia e gli misi la faccia contro la sua scrivania.
«se provi a torcerle un solo capello, ma anche per Alejandro, giuro che non ti perdonerò mai. Non sarai più mio padre. Non farai più parte di me, della famiglia. Io non sarò mai te»

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