CAPITOLO 3.

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<<Allora dottor Lewis? Cosa mi consiglia di fare? Secondo lei è molto grave?>> <<Non c'è nulla di cui preoccuparsi, signora Foster

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<<Allora dottor Lewis? Cosa mi consiglia di fare? Secondo lei è molto grave?>>
<<Non c'è nulla di cui preoccuparsi, signora Foster. La sua è ansia da prestazione per il rientro a lavoro, nient'altro.>> Finisco di compilare alcuni moduli e li rimetto nel cassetto.
<<Grazie mille, mi sento davvero sollevata.>> Mi prende la mano ed io mi faccio scappare uno sguardo disgustato.
Odio questo tipo di cose, soprattutto al lavoro: il luogo dove richiedo la massima discrezione.
La signora Foster, però, non è una di quelle.
È una donna più grande di me di qualche anno, divorziata con tre figli alle spalle.
Spaventoso no?
Per me sì, soprattutto le avance spudorate, che non nasconde neanche, nei miei confronti.
Inutile dire che non ci ho mai fatto troppo caso.
Non posso di certo dire sia una brutta donna.
Capelli biondi e occhi verdi, di alta statura e di bell'aspetto.
Ma non il mio tipo.
Troppo piagnucolona.
Sposto la mano e mi alzo dalla mia poltrona, aggiro la scrivania che ho di fronte mi avvicino alla porta per invitarla ad andare.
<<Per qualunque cosa, non esiti a chiamare.>> Le faccio un sorriso di cortesia e lei ricambia.
<<Mi farebbe davvero piacere... poterla incontrare, questo fine settimana. Sa, in questo periodo mi sento davvero sola e mi farebbe bene un po' di compagnia.>> Si appoggia allo stipite della porta, guardandomi dal basso.
Ma per chi mi ha preso?
Un'anziana pettegola con cui giocare a carte?
<<Sono molto occupato.>> Cerco di tagliare corto.
<<Posso aspettare, non si preoccupi.>>
<<Io no. Senta, non so cosa stia cercando di fare ma con me non attacca, signora Foster. Richiedo la massima professionalità tra me e i miei clienti e le uscite non sono comprese, arrivederla.>> La sua faccia affranta dovrebbe farmi pena?
Forse al resto dell'umanità sì, a me non di certo.
<<Arriverci...>> Si volta e corre via, molto probabilmente per la vergogna.
Neanche il tempo di chiudere la porta che il mio telefono, squilla.
Rispondo subito, vedendo il nome del contatto.
<<Dimmi, papà.>> Mi rimetto seduto e inizio a compilare altri moduli.
<<Travis, oggi abbiamo una cena importante a cui non puoi assolutamente mancare. Ti aspetto alle 19:00, davanti casa, per andare insieme.>>
<<Con chi dobbiamo cenare?>>
<<È una sorpresa ma in ogni caso non ti devi preoccupare. Mason, starà con tua mamma.>> Come sempre.
<<Non può venire anche lui?>>
<<No, non è ancora pronto per queste cene di lavoro.>>
<<Oppure tu non sei pronto a rivedere la mamma?>>
<<A dopo, Travis.>> Riaggancia.
Non smetterà mai di usare Mason, come scusa, per non vedere mia madre.
Dal giorno del divorzio, nulla è stato più lo stesso.
Ci siamo allontanati tutti.
Da allora, mio padre vive da solo e Mason, mio fratello diciassettenne, vive con mia madre.
Ogni tanto, lui e mio padre riescono a vedersi, ma nessuno dei due prova piacere.
Almeno, è quello che noto io.
Io invece, dal giorno in cui sono diventato maggiorenne, ho una casa tutta mia.
Niente litigi, niente storie da sentire e risentire.
Solo silenzio.
Guardo l'orologio al polso e noto che sono le 18:00, in punto.
Mio padre, molto probabilmente ha ricevuto l'invito tardi.
Impossibile che si sia scordato di dirmelo.
Mi alzo dalla poltrona, per la seconda volta, mi metto il cappotto e prendo le chiavi.
Chiudo la porta del mio ufficio, con due mandate e mi affretto a scendere le scale.
Il mio ufficio, si trova parecchio vicino alla mia casa.
Non amo guidare per molto tempo e stare tanto in auto, per cui questo ufficio era l'ideale.
Si trova in un palazzo molto elegante e con persone per bene.
Almeno, all'apparenza.
<<A domani, Pier.>> Per oggi, ho finito.
Saluto il portiere, Pier, il quale mi rivolge un piccolo sorriso e mi lascio il palazzo alle spalle.
Ho soltanto un'ora di tempo, per cambiarmi e arrivare nella villa di mio padre.
Penso che ce la farò.

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