CAPITOLO 6.

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Ieri sono ritornato presto a casa

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Ieri sono ritornato presto a casa.
Ho visitato la zia dei Turner e subito dopo ho parlato con la mamma di Hazel.
Non vuole far sapere nulla alla figlia.
A quanto pare dev'essere proprio legata a questa donna.
Sinceramente, a me non interessa nulla di parlare con la principessina Turner.
Sua madre mi ha esplicitamente detto di non farne parola con lei ed è quello che farò.
Sono cattivo?
No, sono realista è diverso.
Non tutto viene servito su un piatto d'argento.
A quanto pare, la signora soffre di demenza.
Spesso non si ricorda le cose che fa, le cose che dice e i suoi impegni durante la giornata.
La signora Turner mi ha raccontato che è sua sorella e che vive con loro per tenerla d'occhio, ma credo sappia del suo stato confusionario.
Mi ha detto che è sposata ma che suo marito, lo zio di Hazel, non vive con loro ma viene praticamente sempre per stare insieme alla moglie.
Un atto carino, devo dire.
Salgo in auto e controllo l'orologio al polso.
È mezzogiorno passato e questo vuol dire solo una cosa: sono in ritardo.
Io, di solito, non sono mai in ritardo quindi mi sorprendo di me stesso.
Metto in moto e parto subito.
Ripasso mentalmente ciò che devo fare durante la giornata e gli appuntamenti programmati.
Per stamattina ho finito di lavorare, ricomincio alle 15 a casa Turner e poi tutto il pomeriggio fino alle 19.
Ci sono stati giorni peggiori.
Una volta vista la casa bianca in fondo, accosto.
Mi sistemo la cravatta e busso.
Dopo alcuni secondo, mi vengono ad aprire.
Mia mamma mi guarda un po' sorpresa per poi invitarmi ad entrare.
<<Tesoro, come mai qui?>>
<<Ero di passaggio.>> Le do un veloce bacio sulla guancia e lei mi invita a sedermi per pranzo.
<<Perché non resti a pranzare qua?>> Ci penso un po' ma alla accetto.
Come ho detto prima, non ho nulla da fare prima delle 15.
<<Vado a lavarmi le mani e arrivo.>> Mi sorride e mi fa un cenno del capo.
Capisco al volo.
Salgo piano le scale, guardandomi intorno.
È da un po' che non venivo a trovarli, ma è tutto ancora come me lo ricordavo.
Le mura bianche, i tappeti a terra e dei vasi con alcuni fiori sparsi per casa.
Mia mamma e mio fratello abitano in questa casa da più o meno... sempre.
Abitano qui da sempre.
Questa è stata la casa dove sono nato e cresciuto finché i miei genitori non hanno deciso di divorziare, da lì niente è stato più come prima.
Credo che il divorzio sia necessario se le cose non vanno come dovrebbero andare, ma se in quel caso è solo una persona a non farle andare bene, che si fa?
Busso un paio di volte all'ultima porta, lungo il corridoio.
Dopo poco, non ricevendo risposta, decido di entrare e lo trovo, con le cuffie nelle orecchie, intento a giocare a qualcosa al computer.
Appena arrivo dietro di lui, picchietto con le dita sulla sua spalla.
Si volta di scatto, sorpreso e spaventato allo stesso tempo.
Rido e mi siedo sul letto a guardarlo.
<<Porca puttana...>> Si toglie le cuffie, mettendosi una mano all'altezza del cuore.
<<Le parole, Mason.>> Lo riprendo, mentre lo vedo chiudere il gioco.
<<Che stavi facendo?>> Domando, anche se lo so già.
<<Nulla di importante.>> Sospira, guardandomi di sbieco.
<<Cosa succede?>>
<<Perchè sei venuto?>> Le sue domande mi hanno spiazzato, tant'è che tentenno a dare la risposta.
<<Perchè sei venuto, Travis?>> Ripete, restando calmo.
Perchè sono venuto?
<<Che domande sono, perché volevo vedervi.>> Inarca un sopracciglio e solo ora capisco dove vuole andare a parare.
<<Non mi ha mandato lui, Mason. Puoi tranquillizzarti.>> Lo vedo rilassarsi sulla sedia girevole.
<<Sei cresciuto.>> Constato, guardandolo meglio.
<<Chi sei mia nonna? Non mi vedi da due settimane, non posso crescere così tanto in soli quattordici giorni.>> Si alza in piedi e mi fa un cenno del capo, invitandomi ad uscire con lui.
Non gli piace che gli altri invadano i suoi spazi e in questo siamo uguali.
Usciamo insieme dalla sua stanza e scendiamo al piano di sotto, ritornando da nostra madre.
Questa casa non è esageratamente spaziosa, ma neanche piccola.
Mi piaceva proprio per questo, perché ero fiero di chiamarla casa.
Perché potevo chiamarla casa.
Ma adesso 𝑐𝑎𝑠𝑎 non c'è più da molto tempo.
<<Mamma, cosa mangiamo?>> Mason, si siede al solito posto a tavola da quando ho memoria: alla destra di mamma.
Io invece di fronte ad entrambi.
<<Ragù all'italiana, ragazzi.>> Mia madre è un'appassionata di cucina.
Le piace sperimentare e conoscere, non si sazia mai da questo punto di vista e la cucina italiana è la sua preferita, pur non essendoci mai stata.
Subito dopo aver riempito i piatti ci guarda aspettando qualcosa, ed io so bene cosa.
<<Non cambierai mai.>> Scuoto la testa, non riuscendo a trattenere una risata.
<<Lo sapete ragazzi, a tavola si parla. È l'unico momento della giornata in cui possiamo stare insieme.>>
Mi guarda attendendo che intavoli un discorso, ma mi conosce, quindi non aspetta e inizia a parlare lei.
<<Come sta andando a lavoro? Mi hai detto che stai insegnando in un'università, giusto?>> Annuisco, finendo di ingoiare un boccone.
<<E come ti trovi? I colleghi? Sono simpatici? Gli alunni?>>
<<Sì, Travis, raccontale anche di quante volte vai a cacare durante la giornata.>> Okay, stavolta ho riso.
<<Mason, modera i termini!>>
<<Comunque... va tutto bene, mamma.>>
<<Come sei esaustivo...>> Socchiude gli occhi in due fessure, guardandomi male.
<<Cosa vuoi che ti dica?>> Sospiro.
Ci pensa su per poi darmi la risposta.
<<Se non sbaglio dovevi aiutare una donna anziana, a casa... oddio come si chiamavano...>>
Perché dobbiamo sempre parlare di loro?
<<I Turner, mamma.>>
<<Ecco! Sì, loro. Allora, come va?>>
<<Come deve andare? È lavoro e lo sai che in questo ambito con me si va sul sicuro, comunque, non è una signora anziana, avrà qualche anno in più di te.>>
Mi ha sempre ripetuto che per amore si fa di tutto ma sinceramente ci credo poco, per questo, anche se stava finendo di laurearsi, ha abbandonato l'università per me.
Perché era rimasta incinta e non riusciva a proseguire gli studi.
Mio padre invece è sparito subito dopo, si è rifatto vivo quando ormai avevo diciassettenne anni.
Ho deciso di dargli una seconda possibilità, soltanto per il bene di mia madre, sennò non mi sarebbe passato neanche per l'anticamera del cervello.
Sposto lo sguardo su mio fratello che ha appena finito di mangiare, indisturbato.
<<Tu? Non racconti nulla?>> Sbuffa, seccato.
<<Piacere, mi chiamo Mason e ho 17 anni. Gioco a football e... che cazzo devo dirti?>>
Mia madre sospira, esasperata.
<<Modera i termini, Mason.>> Continuo, io.
<<Vieni qui dopo due settimane e pretendi di sapere tutto quello che ho fatto, chi sei? Mio padre?>> Si alza, andandosene di sopra.
<<Non è colpa tua.>> Mia madre prova a stringermi la mano ma mi scanso subito.
<<Lo so, è colpa tua.>> Mi guarda, con gli occhi lucidi.
Cazzo.
Ma ormai non posso fare più nulla.
Quello che ho detto, da una parte, lo penso veramente.
Se lei non avesse permesso che mio padre entrasse nelle nostre vite, di nuovo, tutto questo non sarebbe successo.
Non la saluto neanche e tolgo il disturbo, ma qualcosa dentro di me si è mosso.
Una volta entrato in macchina, guardo l'ora: le 15:00.
È ora di tornare a lavoro e rimettere i piedi in terra.

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