CAPITOLO 13.

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Ieri ho visto qualcosa che non avrei dovuto vedere, anzi, qualcuno

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Ieri ho visto qualcosa che non avrei dovuto vedere, anzi, qualcuno.
Hazel.
Hazel sul prato del giardino di casa nostra seduta, inerme, con Allison al suo fianco.
Ma, prima che lei arrivasse, l'avevo già adocchiata.
Inutile dire che non sono comunque scesa.
Non sono scesa da lei a chiederle cosa ci facesse lì in terra, non le ho domandato se avesse bisogno di qualcosa.
Sono semplicemente rimasta ad osservare la scena dalla finestra della mia camera ed ora il senso di colpa mi attanaglia il petto.
È come avere un macigno sullo stomaco che non mi permette di muovermi liberamente.
È come se avessi la gola chiusa e avessi perso il potere di dire o fare.
Questa mattina a scuola mi aspetta una giornata meno impegnativa del solito perchè faremo soltanto la prima ora di lezione, per poi andare a visitare un'università.
Siamo al quinto anno quindi nel mio istituto le cose si svolgono così.
La domanda adesso sorge spontanea, no?
Perché sono così preoccupata?
Perché è l'università di mia sorella ed io non so come comportarmi.
Proprio per questo mi sono svegliata prima e ieri sera ho detto ad Edward, il nostro autista, di mettere la sveglia presto.
Per non incontrare nessuno, perché non ho voglia di parlare con mio padre sull'importanza degli studi, con mia mamma su fatto che un giorno prenderò le redini dell' azienda di famiglia o con Hazel perché non sarei in grado di guardarla in faccia.
«A meno che il tè che ho fatto non ti piaccia, dubito scotti ancora. Puoi smettere di mescolarlo, Megan.» Alzo il capo verso Joanne la quale mi sta guardando con un cipiglio divertito in volto.
«No, non preoccuparti, è buonissimo il tè ma io-» Le scappa una risata, portando il capo all'indietro.
«Piccola mia, stavo solo scherzando.» Si avvicina a me con poche falcate e si siede alla mia destra.
Io sono a capotavola.
Di solito, facciamo colazione nella sala da pranzo, ma oggi avevo voglia di stare da sola, in cucina.
«Cosa ti passa per quella testolina?» Picchietta piano l'indice, sulla mia fronte.
Alzo le spalle, incapace di darle una risposta.
Se ci fosse solo una cosa che passa per la mia mente, sarei molto fortunata.
«Sei tesa per oggi?» Annuisco anche se non è tutta la verità e lei sembra capirlo.
«Sai che tu e tua sorella non potete mentirmi, Megan. Vi ho viste nascere e vi ho persino cambiato il pannolino, quindi-» Alzo una mano in aria.
«Okay, afferrato il concetto, non c'è bisogno che continui.» Ho il volto in fiamme e lei sembra ancora più divertita.
Alla fine, decido di arrendermi e dirle qualcosa.
Non il fatto di Hazel, perché sono cose sue personali e non sarò certo io a spifferare tutto in giro, ma riguardo i miei genitori.
«Ho paura, Joanne. Tanta paura, in verità. Non voglio fare la scelta sbagliata ma voglio fare la mia scelta. Non voglio che questa dipenda da qualcun altro, non lo voglio affatto.» Temo di non essermi spiegata abbastanza bene ma dal suo volto noto che ha capito tutto.
È sempre stato così tra me e lei.
Mi capisce anche solo con uno sguardo e capta subito se c'è qualcosa che non va.
Da piccole io ed Hazel credevamo fosse una supereroina sotto copertura ma lei ci ha sempre spiegato che, quando impari a conoscere una persona, scopri diversi lati del suo carattere e, se inizi a volerle bene seriamente, capisci subito se c'è qualcosa che non va.
Che sia per una mancanza di sorrisi, per un'azione abituale che in quel momento non viene fatta o anche sono per una parola fuori posto... lei ha sempre capito cosa ci fosse che non andava, in quel momento.
«So che non dovrei dirti queste cose perché ho un profondo rispetto per i tuoi genitori, ma lasciali stare. Lascia perdere tutte le cose che dicono, Megan. In questo momento sei in una parte della tua vita in cui tutto è confuso, ma presto ti renderai conto di quello che vuole davvero il tuo cuore. In queste occasioni devi dare ascolto a lui, solo e unicamente a lui, e devi concentrarti per farlo, per far sì che le voci degli altri non si accavallino.» Mi stringe la mano che ho sul tavolo, con affetto e premura.
Per un attimo rimango senza parole, finché Edward non viene in cucina ad avvisarmi che la macchina è pronta.
Inizio ad alzarmi dal tavolo.
«Grazie, Joanne.» Mi regala un sorriso pieno di amore.
«Se ci fosse altro di cui vorresti parlarmi, beh... io sono qui.» Mi avvicino a lei e, inaspettatamente, l'abbraccio.
Lei ricambia e mi stringe forte a se, come se tenesse di lasciarmi andare.
«Lo so, ci sei sempre stata, Joanne. Proprio per questo ti voglio bene.»

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