𝗦𝗲𝗻𝘁𝗶𝗺𝗲𝗻𝘁𝗶 𝗦𝗺𝗮𝗿𝗿𝗶𝘁𝗶 𝗲 𝗩𝗶𝘀𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗗𝗶𝘀𝘁𝗼𝗿𝘁𝗲

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...

I primi raggi solari penetrarono dalle persiane chiuse della mia stanza, posandosi sullo zaino nero della Vans che, da pochi istanti, era stato chiuso dalla sottoscritta.

Dopo quei ventisei giorni d'insolita pace, la mia vita cominciò ad andare a rotoli. Le parole di Fushiguro ne sancivano soltanto l'inizio, ma lo avevo intuito già d'allora.

«Direi che non mi manca nulla ...» borbottai fra me e me.

Questa era la seconda volta che mi recavo a Hokkaido. Sfortunatamente, nulla che c'entrasse con la mia tecnica maledetta. 

Due giorni fa, Rachel aveva inviato alla scuola una lettera ove richiedeva la mia uscita da lì per un po', dicendo soltanto che erano sorti dei problemi in famiglia e necessitavano della mia presenza. Accennai soltanto a Nobara – si, abbiamo iniziato a chiamarci per nome – della mia partenza. Le dissi che sarebbero state giusto un paio di settimane, ma la verità è che non era vero. Conoscendo le persone con cui stavo per avere a che fare, minimo sarei stata via per un mese o più.

Mi lanciai un'occhiata fugace allo specchio, riconoscendo di avere due buchi neri al posto delle occhiaie. «Un mostro ...» pensai, accingendomi a coprirle con il correttore più pesante della mia makeup collection. Settai il tutto con della cipria e poi, finalmente, decisi di infilarmi il giubbino e mettere lo zaino in spalla.

Cercando di fare meno rumore possibile, chiusi la porta alle mie spalle e scesi giù in cortile.

«Parti senza farti salutare?»

«Si è svegliato così presto per questo?» domandai, girandomi verso la sua direzione.

«Un docente fa questo e altro per i suoi studenti.» sorrise sornione. «Fai buon viaggio, Astrid.» disse per poi darmi una pacca sulla testa.

«La ringrazio ...» gli sorrisi flebilmente e me ne andai.

Di norma, sarebbe dovuto esserci il signor Ijichi ad accompagnarmi sino alla stazione ma, come la scorsa volta, era già impegnato di prima mattina.

Per scendere da quella montagna a piedi, vi erano delle scale chilometriche che, con tutta onestà, non avrei mai e poi mai usato. Arrivata dinanzi ai gradini, mi sedetti sulla ringhiera e scivolai come se nulla fosse sino alla fine di esse. Ci misi tipo cinque minuti buoni, ma sicuramente meno di quanto ci avrei impiegato facendomela a piedi.

Non penso che Gojo sensei sapesse che con me non c'era nessuno, altrimenti non mi avrebbe fatta stare da sola ... anche se preferisco così.

Sospirai, notando come riuscivo a vedermi il fiato. Ormai era già Dicembre e l'inverno quasi alle porte. Le giornate erano fredde, ma il gelo mattutino era una cosa che non avevo ancora provato. Rabbrividii, sentendomi un polaretto.

« ... oddio, i Polaretti.» mormorai fra me e me, lasciandomi scappare un sorriso.

Quand'ero piccola, passavo la metà di Luglio e i primi dieci giorni di Agosto in Italia, così da vedere la famiglia materna. Puntualmente, più di una volta al giorno io, Rachel e i nostri cugini mangiavamo i Polaretti, che erano dei ghiaccioli alla frutta – buonissimi – posti in degli involucri di plastica in modo da non farli sciogliere. Si compravano a temperatura ambiente per farli ghiacciare nel freezer ... bei tempi.

«Già, l'Italia ...» pensai mentre m'incamminavo verso la stazione.

Quel Paese ha degli oggettivi problemi, ma  custodisce i miei ricordi d'infanzia più felici.

«Biglietto, prego.»

Mostrai il pezzo di carta al controllore e, dopo aver accidentalmente letto Hokkaido su di esso, mi ricordai del motivo per il quale mi stavo dirigendo lì: Yeana.

𝗥𝗢𝗦𝗦𝗔 𝗠𝗔𝗟𝗣𝗘𝗟𝗢Where stories live. Discover now