13. Il mio portafortuna

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POV JANNIK

Avevo iniziato a pensare che Amelia fosse davvero il mio portafortuna. Dopo gli ottavi di finale, ho vinto anche i quarti, raggiungendo le semifinali insieme ad Alcaraz, mio grande amico e rivale. Ogni sera prima di dormire, mi confrontavo o chiamavo direttamente Amelia; era sempre lì, anche se era tardi o se stava già dormendo. La sua compagnia non mi dispiaceva, e sembrava che neppure a lei dispiacesse la mia.

Oggi si giocavano le semifinali, ero abbastanza nervoso e decisi di chiamarla per trovare conforto, cercando in lei quel sostegno che non avevo avuto per anni, ma che avevo scoperto in queste settimane e che avevo aiutato. Ha cercato di spronarmi, di darmi il coraggio per affrontare anche questa grande partita. Oggi l'ho sentita un po' giù, non era la solita Amelia sorridente e scherzosa; sembrava triste, e mi è sembrato persino di sentirla piangere, ma non le ho chiesto il perché, sperando che me lo dicesse da sola. Mi ha parlato di Lea, degli allenamenti e del fatto che l'aveva iscritta alle Olimpiadi under 16, che si sarebbero svolte durante l'estate di quell'anno. Ero felice per lei, ma avrei voluto essere con loro quest'estate, anche se sapevo che forse non ci sarei stato. Conoscevo la fine di questo patto, anche se non sapevo quando sarebbe arrivata.

-Jannik forza, ti voglio calcolatore, voglio vederti prendere qualsiasi pallina ti venga lanciata, intesi?- chiese il mio allenatore.
-si- risposi.
-ora lascia fuori le tue emozioni e gioca, gioca e vinci- mi spronò prima di entrare in campo.

Iniziò dopo pochi minuti il primo set.

Stavo facendo abbastanza schifo, tutta questa pressione si stava facendo sentire, in negativo ovviamente.

Il primo set finì 7 a 6.

Ci riprendemmo e dopo poco iniziò il secondo, questo andò decisamente meglio rispetto al precedente.
Carlos stava perdendo colpi, vinsi il secondo 6 a 4 e il terzo 6 a 2 portandomi a casa la semifinale.

Non volevo crederci, ero appena arrivato in finale.

Vedevo sugli spalti i miei fan esultare, anche il mio team esultava.

Ero stanco, ma felice.

POV AMELIA

Incredibile! Guardare Jannik nella semifinale dei Miami Open è stato un'esperienza travolgente. La determinazione nei suoi occhi, la grazia dei suoi colpi, ogni momento ha vibrato di un talento straordinario. La vittoria è stata il culmine di tutto il suo impegno e sacrificio. Sono stata rapita dal suo gioco, dal modo in cui ha affrontato ogni punto con una passione che ha incantato chiunque lo stesse guardando. Non posso fare a meno di sentirne l'eco nel mio cuore. Non vedo l'ora di vedere cosa ci riserva nella finale, perché so che ogni suo passo sul campo è una danza verso il trionfo.

Dalla felicità abbracciai Lea, anche lei incredula della rimonta di Jannik.

L'indomani avrebbe giocato la finale contro Medvedev.
Sarebbe stato difficile, ma non impossibile, credevo in lui, credevo nel suo potenziale e volevo continuarlo a fare.

La sera dopp cena Lea partecipò insieme a me alla solita videochiamata, che ormai riempiva le mie serate.

-grande campione- disse Lea appena Jannik comparve sullo schermo del mio telefono.
-grazie Lea, tutto merito del mio portafortuna- sorrisi capendo che ce l'avesse con me.

Non era la prima volta che mi chiamava portafortuna e ora come ora incominciavo a crederci veramente.

-beh io penso che sia la tua determinazione e non il tuo portafortuna- risposi io. Il tennista alzò gli occhi al cielo.
-sempre a ribattere, dai, non sei felice che io sia arrivato in finale?- chiese.
-si, sono contenta, sei stato bravissimo- dissi sorridendo.
-grazie- rispose fiero.

Dopo quella frase Lea cominciò a parlare con il tennista mentre io li guardavo sorridente.
Sembravano due fratelli, un po' come me e mio fratello quando eravamo piccoli.

Sorrisi guardandoli ridere e scherzare.

Mi mancava quella sensazione, quel rapporto stretto che mancava già da un po.

Sentii le lacrime salirmi agli occhi, non volevo piangere, non volevo farmi sentire fragile dinanzi a loro.

Mi alzai dal divano andando in bagno. Mi chiusi dentro. Mi sedetti sul gabinetto, mi misi le mani nei capelli e cominciai a piangere.
Non avevo più la forza di Sorrisi guardandoli ridere e scherzare.

Mi mancava quella sensazione, quel rapporto stretto che mancava già da un po.

Sentii le lacrime salirmi agli occhi, non volevo piangere, non volevo farmi sentire fragile dinanzi a loro.

Mi alzai dal divano andando in bagno. Mi chiusi dentro. Mi sedetti sul gabinetto, mi misi le mani nei capelli e cominciai a piangere.
Non avevo più la forza di trattenermi.

Avevo avuto un'infanzia felice, i miei genitori non mi avevano fatto mancare niente. Mia madre mi voleva ancora bene, mio fratello mi stringeva a se ogni volta che avevo paura e mio padre, beh mio padre non mi guardava con il dispiacere negli occhi.

Mi alzai e mi appoggiai al lavandino, mi guardai allo specchio, successivamente mi sciacquai la faccia e andai in camera.

Mi misi il pigiama e mi appoggiai sul letto, poco importava che il mio telefono ce l'aveva di là Lea.

Avevo bisogno di riflettere, cercare di capire cosa volessi davvero. Ripensavo a quando, tempo fa, Lea mi disse che eravamo stati incoscienti a fare quel patto.

Spesso ero stata sicura di fare scelte giuste, come nel caso dello sport o con le amiche come Michela. Ma l'unico momento in cui avevo sbagliato è stato quando avevo deciso di scappare, non per colpa mia, ma a causa di un'altra persona, a causa di quell'incidente che aveva rovinato la mia vita. Me ne ero pentita perché ora, a questo punto della mia vita, avevo capito che non sarebbe successo tutto questo se non avessi spento i social, abbandonato la mia vecchia vita e aperto quella porta che mi ha portato a Brunico, e da lì a Monaco, con un quasi sconosciuto e la mia allieva.

Non so esattamente quale fosse lo scopo di quel patto, se fosse giusto o sbagliato, ma so che non avrebbe portato da nessuna parte.

Heart To Heart - JANNIK SINNERDove le storie prendono vita. Scoprilo ora