2•LA RAGAZZA•

279 37 41
                                    

DYLAN

Oops! This image does not follow our content guidelines. To continue publishing, please remove it or upload a different image.

DYLAN

Era lì, come tutti i giorni del resto.
Quella ragazza aveva iniziato a spiarmi durante il primo anno di liceo, e da quel momento non aveva più smesso.
Si chiamava May. Abitava nella casa accanto alla mia, praticamente il suo balcone dava sulla mia finestra.
Potevo vedere quando spegneva e accendeva le luci, creando un effetto strano sulle tende. Ombre e riverberi prendevano il possesso della scena quando la notte si avvicinava.
Sembrava assurdo che non avessimo mai avuto modo di stare insieme. Solitamente i vicini di casa condividono momenti sin da quando sono piccoli, eppure con lei non avevo mai giocato ai Gormiti, nemmeno quando mamma era ancora viva. E io giocavo ai Gormiti persino con i sassi.

Non ci avevo quasi mai parlato neanche quando entrambi iniziammo ad andare al liceo, tranne il giorno in cui mi aveva chiesto una matita in prestito.
Si era girata verso di me, chiamandomi per nome. Mi sembrava strano sapesse chi ero.
Le nostre mani si erano sfiorate, toccandosi tramite le dita. Lei aveva sorriso.
Quel sorriso talmente bello che mi sembrava inadeguato in questo mondo, soprattutto se rivolto a me.

Infondo mi piaceva che mi guardasse; ogni tanto la osservavo anche io, ma tutto ciò che lasciava scoperto erano i suoi occhi verdi pieni di curiosità.
Il resto del suo corpo era nascosto da alcuni mattoni rossi che costituivano il muretto di confine con il cortile. Forse era convinta di sapersi nascondere alla perfezione, ma le cose perfette non possono essere occultate.

In classe era nel banco davanti al mio, posto che mi permetteva di vedere i suoi capelli biondo cenere ricaderle morbidi sulla schiena.
Nella mia mente l'avevo disegnata migliaia di volte; nel mio blocco infinite.
Non sapevo mai che colori utilizzare per rendere al meglio i riflessi cangianti dei suoi capelli.
Mischiavo l'arancione con il bianco, il giallo con il marrone.
Gli occhi non li dipingevo mai.
Mia nonna diceva che se si ritraggono gli occhi di qualcuno, si impedisce a quest'ultimo l'accesso all'aldilà, intrappolando la sua anima in un limbo infinito.
Ero sempre stato fedele alle idee di mia nonna, anche nelle piccole cose come il non rovesciare il sale o l'evitare di rompere uno specchio.
Ma cosa ancora più importante, non si deve mai cercare di riparare niente con il nastro adesivo.
Mai.

Quando avevo visto un disegno di May durante un intervallo, avevo cercato di parlarle, di farle i complimenti.
Erano molto più stilizzati dei miei dipinti, ma avevano un fascino trascendente.
Avevo provato a dirle qualcosa del tipo: «Ehi, sono Dylan, come va? Adoro i tuoi fumetti?».
Questa frase sarebbe stata il sinonimo di: "sono disperato".
Avevo sempre evitato di fare figure improponibili. Ne combinavo già a sufficienza.

Di solito disegnava durante le ore di spagnolo; ho sempre pensato che non le interessasse molto.
Probabilmente perché sapeva quella lingua come se fosse quella madre. Non aveva mai ascoltato una lezione eppure, ad ogni domanda, rispondeva in modo assolutamente impeccabile.
Alcuni giorni prima aveva disegnato un albero sul banco con un pennarello indelebile nero.
Quando erano terminate le lezioni mi ero fermato a guardarlo, e me lo ero impresso nella mente. L'avevo ricalcato più volte per impedirgli di sfumare.

Quel giorno stavo continuando lo stesso disegno che avevo iniziato la sera prima e che non avevo interrotto fino all'una di notte.
Avevo paura di dormire, cercavo di evitarlo in tutti i modi possibili.
Mi sforzavo sempre, trovavo sfoghi e distrazioni in qualsiasi cosa, anche quella più banale.
Avevo sempre le occhiaie. Quando mia mamma era viva diceva sempre che mi donavano. Credo lo dicesse per il fatto che il viola sta bene con il verdone. Oppure per il semplice fatto che mi volesse bene.
Assurdo.

Guardai l'orologio. Il pullman sarebbe partito dopo due minuti. Capitava spesso che mi perdessi nel disegnare e mi dimenticassi di controllare l'ora. O qualsiasi altra cosa attorno a me.
Tyler mi rimproverava spesso.
Sistemai le mie cose e mi misi lo zaino in spalla.
Le margherite che avevo infilato nello strappo dei pantaloni caddero, lentamente. Adoravo guardarle farlo. "Siamo belle anche quando cadiamo".
Guardando con la coda dell'occhio, notai che anche May stava andando via, anzi, stava correndo.

Salii sul pulmino giallo e mi misi nel mio solito posto nella penultima fila: né troppo in risalto per essere notato, né troppo nascosto per essere deriso.
Vidi la ragazza dagli occhi verdi salire sull'autobus tutta trafelata: le mancava poco che venisse schiacciata fra le due porte.
Si sedette accanto a quella che doveva essere una sua amica, perché sentii le loro risate.
Mi girai di scatto, non volevo che mi notasse.
Un'altra cosa che mia nonna diceva spesso:"Se fissi troppo a lungo una persona, la sua anima lo noterà e farà si che il suo corpo si giri nella tua direzione". In sintesi, sarei stato scoperto.

Alla sua fermata, una prima della mia, lei scese, rischiando quasi di inciampare nelle scalette del bus. Assurdo quanto fosse sbadata.
Prima di entrare in casa, si girò verso di me.
Ero assolutamente sicuro il suo sguardo fosse diretto a me perché, quando le sorrisi, arrossì.
Adoravo il contrasto tra cremisi e verde.
Mi voltai e infilai le cuffiette nelle orecchie.

Spazio autrice:Sistemare questa vecchia storia è abbastanza impegnativo, c'erano un sacco di cose che avevo omesso

Oops! This image does not follow our content guidelines. To continue publishing, please remove it or upload a different image.

Spazio autrice:
Sistemare questa vecchia storia è abbastanza impegnativo, c'erano un sacco di cose che avevo omesso.
Fatemi sapere cosa ne pensate e se avete dei consigli.
Un abbraccio,
darkwaystofly💕

«Il quadro delle sue paure-1» All darknessWhere stories live. Discover now