TUTTO GRAZIE AD UN PENNELLO-PARTE 1

164 22 8
                                    

MAY

Oops! This image does not follow our content guidelines. To continue publishing, please remove it or upload a different image.

MAY

Dormii malissimo. Feci lo stesso sogno che mi perseguitava da tre anni.

Ero su una torre campanaria, altissima, posta nei pressi di un lago. Riuscivo a vedere il colore delle acque nonostante fossi così lontana: nero come la pece.
Difianco a me c'era ragazzo con le braccia scarne, di cui non mi fu possibile vedere il volto.
Improvvisamente l'edificio iniziò a traballare, facendo arrivare scosse fino alle braccia, partendo dai piedi.
Mi voltai di istinto verso il ragazzo, sicura che si fosse aggrappato da qualche parte.
Scoprii con orrore che era libero nel vuoto, legato alla salvezza solo tramite la mia mano.
Come era possibile che non mi fossi accorta della sua presa?
Tentati di tirarlo su, di issarlo in salvo, ma non ero abbastanza forte.
Resistetti fino all'ultimo, fino a che il sudore formò goccioline su tutta la mia pelle.
«Crolla».
Non sapevo da dove la voce provenisse.
«Crolla».
E a quel punto era come un ordine, come se fosse quella voce a comandare i miei arti.
Lasciai la presa.
Lasciai cadere entrambi.

Quando mi svegliai, ero completamente ricoperta da uno strato di sudore, che mi fece percorrere il corpo da brividi.
Respirai con la bocca finché la sensazione di panico non fu scemata, finché la testa smise di girarmi.
Guardai la sveglia: sabato. Non avrei resistito ad un altro giorno di scuola.
7:30.
Avrei voluto continuare a dormire, ma a cosa sarebbe servito?
Ogni volta che chiudevo occhio, mi immergevo in un nuovo incubo.
Mi alzai, sentendo però gli arti indolenziti. La mano destra mi pulsava, la sentivo gonfia.
Aprii la finestra per cercare una fonte di luce e, alla vista del mio braccio ricoperto di brividi, tirai un grido.
Con l'altra mano mi torturai la pelle, la grattai. Sbattei le palpebre numerose volte, sperando che fosse solo un'allucinazione causata dagli occhi ancora appannati.
Il viola rimaneva.
Il blu rimaneva.
Anche il verde era sempre lì.
Quel miscuglio di colori era reale, era impresso.
Sentii il vomito salirmi in gola acido.
Aggrappandomi al comodino e alla porta, raggiunsi il bagno tenendo lo sguardo verso il basso, fissando il parquet scolorito.
Appoggiai entrambe la mano al lavabo, inspirando l'odore di disinfettante.
Avevo una mania per i germi, li odiavo, ne ero quasi ossessionata.
Presi di getto la bottiglietta di disinfettante verde, spargendo il liquido su tutta la ferita.
La sentii bruciare, sentii il tranquillizzante sfrigolio della ferita che viene pulita.
Pulsava ancora.
Il fiatone che solo qualche minuto prima ero riuscita a far sparire stava tornando, facendomi comprimere e rilassare la cassa toracica ad un ritmo troppo concitato.
"Calma".
Ordinai, anzi urlai, a me stessa.
Mi morsi l'unghia del pollice destro, riducendo la quantità d'aria che entrava nei miei polmoni.
"Calma".
Parlare allo specchio era meglio che colloquiare con il vuoto.
"Tranquilla".
Mi lasciai cadere a terra, incrociando le gambe.
Le piastrelle fredde servirono a rallentare i battiti, ad infondermi più calma.
Guardai nuovamente il mio braccio viola, ma che ora aveva smesso di pulsare.
Presi dal mobiletto dei medicinali una garza bianca e, facendo attenzione a non premere, la avvolsi attorno a tutta la ferita.
I lividi si stavano aprendo in nuovi tagli.

Scesi le scale stando attenta a non farle cigolare, non volevo che mia madre si accorgesse della cosa che avevo sul braccio.
Feci colazione in fretta e furia, mischiando due tipi di cereali diversi.
Mischio anche coloro che non c'entrano niente, quando mi vesto.
Non sapevo come sentirmi.
Mi dissi che con ogni probabilità ero caduta nella notte, sbattendo su qualche mobile.
Era una risposta possibile e, soprattutto, più plausibile di un incubo che ha riscontri nella vita reale.
Quando mi fui vestita, decisi che sarei andata al negozio d'arte per comprare un nuovo colore. La sera precedente mi ero proposta di andare

CONTINUA

a comprare un pennello nuovo per dipingere un albero che ho disegnato sul banco e che ora voglio riportare su tela.I miei altri pennelli sono tutti da buttare...
Così prendo le chiavi di casa e mi chiudo la porta alle spalle.
Un vento piacevole mi avvolge e mi fa attorcigliare i capelli ovunque,così decido di legarli in una coda alta.
Inizio a correre perché il negozio non è molto vicino,e comunque devo tenermi allenata per quando ricomincerò pallavolo;non ho più toccato palla da...Mi devo distogliere da questi pensieri,pensare positivo.
È pieno di cose dannatamente positive e io mi devo concentrare su quelle.
Improvvisamente mi viene in mente il suo sorriso,quello di Dyaln:quella è una cosa maledettamente positiva.
Ci penso per tutto il tragitto e,senza accorgermene sono già al negozio di arte.

Entro,è una signora anziana mi saluta.
Le faccio ce ne che sto andando nel reparto pennelli.Lei annuisce.
Cavolo,sono tantissimi.Ci sono almeno 20 scaffali,dividendo i prodotti per dimensione.
Non so quale prendere,quale sia più adatto per il mio quadro.
Continuo a girare per la stanza,poi mi siedo per terra a gambe incrociate per pensare.Mi si stanno mischiando tutte le idee.
Sussulto quando sento una mano toccarmi la spalla.Mi giro.
Subito riconosco quella chioma marrone e quegli occhi così luminosi e che riflettono la debole luce che illumina la stanza.
E anche un altro capitolo finito.
Mi era venuta l'idea a lezione di spagnolo(tanto non mi interessa)così mi sono messa a scriverla,però ho dovuto dividere il capitolo in due,era troppo lungo.
Ditemi che ne pensate,abbracci💕

«Il quadro delle sue paure-1» All darknessWhere stories live. Discover now