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La settimana è finita, ma oggi non sarà una domenica come le altre. Oggi è il giorno della verità, oggi scoprirò chi è l'assassino di Dana. Cammino a passo svelto per i corridoi, le mie gambe sono indolenzite e sento i polmoni implorarmi di fermarmi per prendere fiato, ma non posso. Prendo il cellulare e schivo uno studente a me sconosciuto, per poi fermarmi in mezzo alle scale. Cerco il contatto di Joy e digito: Dove ci incontriamo?

Le mani mi tremano, sono curiosa da morire. Sento l'adrenalina scorrermi in tutto il corpo, sento le gambe in attesa del prossimo stimolo, di sapere dove incontrerò la verità.
Mi mordicchio il labbro e attendo, finché una notifica non mi fa sobbalzare. È lei, è Joy. Panchine davanti alla scuola, ti aspetto a mezzogiorno.

Sbuffo. Manca un'ora. Infilo il cellulare nella borsa e mi avvio, percependo la tensione che mi attanaglia il corpo. Attendere per altri sessanta minuti sarà una tortura.
Mi avvio verso il cortile, notando che stamattina è straripante di studenti. Mi sistemo su una delle panchine e incrocio le gambe, sentendo il sole scottarmi la fronte. Sciolgo i capelli, cercando di usarli come scudo, e mi guardo attorno.

Fortunatamente mi sono portata dietro un manuale da studiare, almeno riuscirò ad ammazzare il tempo. Sono stata così impegnata e con la testa altrove da aver perso di vista lo studio. Fra pochi giorni ho un test importante e non so nulla. Se lo venisse sapere mio padre sarebbe la mia fine, dunque devo assolutamente impegnarmi e cercare di recuperare gli argomenti arretrati.

Apro il libro e inizio a sottolineare qualche parola, ma non mi entra nulla in testa. Non riesco a concentrarmi, penso unicamente a Joy. Perché ha atteso così tanto per rivelarmi l'identità dell'assassino? Non avrebbe potuto dirmelo il giorno stesso in cui mi ha inviato il messaggio?

No, basta. Non ci devo pensare, devo studiare. Prendo un quadernino e inizio a fare qualche schema, sottolineo con colori diversi gli argomenti che capisco e quelli meno chiari che chiederò a Bree di spiegarmi. Dopo un po' riesco addirittura a concentrarmi e memorizzare qualche concetto chiave, ma mi stufo e chiudo il libro. Prendo le cuffiette e mi metto ad ascoltare un po' di musica, controllo le mail e rispondo a un messaggio di mia madre.

Apro Google e digito il nome di Dana. Trovo tutti gli articoli inerenti alla sua morte, interviste agli studenti, video della veglia commemorativa. Tutti parlano di suicidio, eppure da oggi le cose cambieranno. Sono curiosa, elettrizzata, ma anche terrorizzata. Avremo finalmente un nome, Dana avrà giustizia. Ci serviranno delle prove per accusare il colpevole, ma sono certa che Joy ne abbia a volontà.
E se fosse qualcuno di vicino a noi? E se si trattasse, per esempio, davvero di Violet? Avrei il coraggio di denunciarla?

Qualcuno mi tocca la spalla, facendomi sobbalzare. Con il cuore in gola mi volto, ma resto delusa quando incontro il viso di Jena. Si siede accanto a me e io tolgo una cuffietta per sentire cos'ha da dirmi. «Cosa ci fai qui da sola?» chiede.

«Sto aspettando una persona» rispondo.

«Penso proprio ti abbia tirato buca, Aimee» ribatte la mia amica. La guardo confusa, non capendo a cosa si riferisca. «Sono passata da queste parti almeno tre volte e sei sempre stata da sola. Sai che ora è?»

Controllo il cellulare e noto che è l'una in punto. È da due ore che sto aspettando Joy e non me ne sono nemmeno resa conto.
Ero talmente impegnata a pensare da non aver controllato una singola volta l'ora. Forse dovrei inviarle un messaggio per dirle che la sto aspettando, magari se n'è scordata o ha avuto un contrattempo.

Prendo il cellulare. Joy, va tutto bene? Dove sei finita?

Quando invio il messaggio sento qualcuno urlare. Sono l'unica a spaventarsi, dato che tutti i presenti nel cortile continuano a farsi gli affari loro. A gridare è stata una donna, che corre verso il professor Dofel seguita dal marito. Da come sono vestiti devono essere escursionisti, non a caso provenivano entrambi dall'ingresso del bosco.
Il suo urlo mi ha fatto venire i brividi, ma nessuno sembra preoccupato a parte me.
«Che cosa sta succedendo?» domando.

Jena segue il mio sguardo e fa spallucce. «Capita spesso. Sono escursionisti che si imbattono in cadaveri di animali nel bosco e fanno scenate assurde.»

La professoressa Kenser corre verso i due escursionisti con la bocca spalancata in una smorfia mostruosa. Sta piangendo ed è pallida come un fantasma. I suoi occhi sono sgranati. Va nel bosco e, quando ritorna, vomita sul prato. Attira l'attenzione di tutti i presenti nel cortile, che per la prima volta si ammutoliscono. Non penso che un animale morto possa sconvolgere qualcuno così tanto. Anche Jena, adesso, sembra scossa e perplessa.

Mi alzo e la mia amica mi segue, ci uniamo a un gruppo di almeno una ventina di studenti che avanza verso il bosco. Nessuno sa cosa sia successo, parlano tutti uno sopra l'altro. Sento una studentessa dire che ha sentito che la professoressa Kenser si è sentita male e che hanno dovuto allontanarla dal cortile, che l'escursionista, che parlava francese, ha parlato di un corpo. Un altro ragazzo nomina Kate, dice che forse l'hanno finalmente trovata.

La folla si ferma davanti a un lago. Gli studenti in prima fila urlano, alcuni si voltano e trattengono dei conati di vomito. Sento l'ansia tagliarmi lo stomaco, sento le gambe cedere. Jena prova a fermarmi, ma inizio a farmi strada per vedere di cosa si tratta. Di chi si tratta. Quando emergo dalla folla, mi ritrovo anche io a trattenere un conato di vomito.

Il lago è ghiacciato. La sua superficie è trasparente, liscia, perfetta. Sotto lo spesso strato di ghiaccio si intravede un corpo ricoperto da ematomi. Le braccia sono spalancate come se aspettasse un abbraccio. Non mi sorprenderebbe, dato che è il corpo di una bambina. Su un braccio ci sono due tagli incisi con cura e alcune venature di sangue ghiacciato sembrano disegnare un fiore che si sta per schiudere.

«State tutti indietro!» urla il professor Dofel.

Sì, è il corpo di una bambina. Cado a terra, vorrei urlare ma la voce non mi esce. Sento Jena abbracciarmi, dirmi che andrà tutto bene, ma la sua voce mi arriva distante. Arriva qualcun altro e riconosco il suo profumo, è Violet. Incontro il suo sguardo e mi guarda con compassione, mi guarda dispiaciuta e, per la prima volta, anche lei mi abbraccia con affetto.

Il cadavere sembra guardarmi dritto negli occhi, solo una lastra di ghiaccio a dividere i nostri volti. Gli ematomi hanno distrutto il viso di Joy, la ragazzina di tredici anni con cui dovevo incontrarmi stamattina. Vomito. Mi accascio e vomito, soprattutto quando leggo la scritta composta con il suo stesso sangue. E finalmente urlo. Urlo perché Joy è morta per colpa mia.

La scritta lo dice chiaramente.

Quattro semplici parole.

Lei sapeva troppe cose.

MysteryWhere stories live. Discover now