Capitolo 9: L'urlo del silenzio

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Fisher spingeva la sedia lungo i corridoi dell'ospedale. Se all'inizio questo luogo mi sembrava lugubre e triste, ora appariva oscuro e maligno. Me ne stavo seduto senza batter ciglio. Non facevo altro che ascoltare. Ascoltare i lamenti delle povere anime di quest'inferno. Chi chiedeva aiuto, chi imprecava, chi diceva cose insensate. Una piccola parte di me avrebbe voluto ancora combattere, provare a fuggire da questa prigionia ma l'altra parte, quella prevalente, era rassegnata, impotente, sconfitta. Non sapevo come sarebbe finita, sapevo però che la fine era vicina.

In fondo al corridoio intravedemmo due inservienti che portavano una barella su cui era steso un paziente. Nell'istante in cui ci passarono affianco riconobbi l'uomo steso sul lettino. Era Nolan. I suoi occhi erano aperti, tuttavia lo sguardo era assente, come se fosse... Vuoto. Un essere senz'anima, imprigionato in un corpo da cui è incapace di fuggire. La pelle era pallida, la bocca semiaperta come fosse paralizzata. Se non fosse stato per gli occhi neri, non l'avrei mai riconosciuto.

- Già, questo è l'effetto di una lobotomia transorbitale - disse Fisher, poi aggiunse

- Il dottor blank non ti ha spiegato come funziona, ma posso farlo io. Durante l'operazione, al paziente viene sollevata la palpebra superiore dell'occhio, dopodiché con un punteruolo, simile a quelli per rompere il ghiaccio, si martella l'osso vicino alla palpebra in modo da romperlo per far si che possa raggiungere il cervello. Una volta fatto bisogna, credo, spaccare determinati pezzi della corteccia cerebrale muovendo accuratamente il punteruolo. Pensa a volte questo si spezza e rimane incastrato nella palpebra del paziente. Dovresti vederlo, è davvero divertente! -

A stento trattenni il vomito. Non capì se provavo più ribrezzo per l'operazione in sé, per le parole di Fisher o per la sua risata.

- Diavolo, tu non hai un cuore - dissi inorridito.

Fisher continuò a ridere, poi tornò serio.

- Sai, quando cresci senza genitori, stai otto anni in un collegio e a quindici anni inizi a lavorare come inserviente presso un ospedale psichiatrico, inizi a vedere il mondo sotto un'ottica diversa rispetto la gente "comune". - Rispose spazientito.

- Ma come puoi provare divertimento e piacere nel dolore altrui? Come puoi accettare questo orrore? Di certo non potevi essere così anni fa, cosa ti ha fatto cambiare? -

Fisher si fermò. Rimase in silenzio. Un silenzio di pochi secondi che durò un'eternità. Cercai di voltarmi per guardarlo.
I suoi occhi.
Cristo i suoi occhi.
Quell'espressione valeva più di un fiume di parole.
Per un attimo vidi la sofferenza nel suo sguardo. Vidi un bambino piangere e chiedere aiuto a genitori che non c'erano. Forse erano morti o forse non gli importava nulla del proprio figlio. Vidi un ragazzo che si dovette adattare alla dura vita prima di un collegio e poi di un ospedale psichiatrico. Deriso da chi era più forte, picchiato perché imparasse la disciplina, tormentato dalle sofferenze altrui e, forse, violentato per insegnargli chi comandava. Certo, i miei erano solo pensieri, ma quegli occhi...

Fisher ripartì verso il Reparto L senza aprir bocca. Non ebbi il coraggio di chiedergli altro.

Dopo pochi minuti arrivammo dinnanzi una porta bianca di legno con la scritta "Reparto L" posta al centro. Entrammo. In apparenza non era diverso dal resto dell'ospedale. Le solite pareti grigie e logore facevano da sfondo. Fievoli luci bianche appese sul tetto tracciavano la strada. Nessuna finestra permetteva di avere contatto con l'esterno. Una cosa però era diversa. Non si sentivano grida e lamenti. Forse perché i pazienti del reparto erano pochi o forse perché non avevano la possibilità di urlare. Pochi secondi più tardi Frank Allister incrociò il nostro cammino. -

- Signor Browner! Non vedevo l'ora di incontrarla! -

Il tono della sua voce era come quello di una persona che non vede un familiare da anni.

- Dottor Frank Allister, è un piacere vederla - dissi con sarcasmo.

- Già, immagino non le sia piaciuto lo scherzetto che le ho fatto, tuttavia era necessario. Bisognava accorciare i tempi. Le sue speranze sul futuro sono fragili come le luci di questi corridoi e, la paura, può portare a gesti estremi. Dico bene Browner? -

Allister aveva intuito le mie intenzioni e conosceva bene il mio stato d'animo. Dovevo stare attento. Aveva già dimostrato che attraverso un pizzico di furbizia poteva influenzare il giudizio di una persona e condizionarla psicologicamente. Inoltre era tutto fuorché stupido. Sembrava capace di prevedere i comportamenti delle persone in modo estremamente semplice. Dovevo sviare il discorso, in modo da non dargli le risposte che voleva.

- Sentiamo, come pensa di "curarmi" dottore? -

- La smetta col sarcasmo Browner. Questi giochetti con me non funzionano. Sa, prendo con molta serietà il mio lavoro e pondero con la massima attenzione ogni singola decisione. Le consiglio di fare lo stesso d'ora in avanti. Detto questo, possiamo iniziare subito la "cura". -

Dopo quelle parole sentì il cuore in gola. Cosa sarebbe successo? In cosa consisteva questa "cura"? Ma forse non era questo a spaventarmi. Ciò che davvero temevo, era Allister.

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