Capitolo 14: Infùriati

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Non ho idea di quanto tempo sia passato dall'incontro col dottor Kraulitz. So solo che mi ritrovai una seconda volta all'interno della camera anecoica. Stavolta però era diverso. Sapevo a cosa andavo incontro, di conseguenza sapevo come comportarmi. Trovai subito una posizione agiata e cercai di rimanere impassibile. Peccato che non fosse affatto semplice, soprattutto dopo aver passato intere ore in preda a scariche elettriche. Sentivo il respiro pesante e i battici del cuore più frequenti del normale. Un secondo passato là dentro era come un'ora nella vita quotidiana.

Dopo pochi istanti sentii di nuovo quella dolce voce che udii la prima volta. Stavolta però c'era qualcosa di diverso. Era come se fosse accompagnata da qualche rumore di sottofondo. Questo cresceva col passare del tempo. Era simile a un fruscio e presentava diverse tonalità.

- Perché mi hai fatto questo? -

Una frase emerse con prepotenza dal frastuono come un fulmine emerge dalle nubi. Era la voce di Abigail.

- Perché ci hai fatto questo papà? -

Adesso invece era Tim. Avrei voluto rispondere ma se l'avessi fatto le mie orecchie e il fisico non avrebbero retto in quella camera. Ricordai inoltre che si trattava di allucinazioni uditive create dalla mia mente. Non erano reali. Rappresentavano le mie emozioni più forti. Come la vergogna per ciò che avevo fatto.

- Aiutami, aiutami ti prego! -

Era Nolan che chiedeva aiuto. Restare immobile e in silenzio iniziava a diventare un peso. Avrei voluto reagire, dire qualcosa, FARE qualcosa. Ma cosa avrei potuto fare? A malapena avevo la forza per reggermi in piedi. Poi come potevo, proprio io che desideravo la morte, salvare una persona dalla morte stessa?

Iniziai a udire delle risate. Blank, Allister, Kraulitz, stavano ridendo di me. Maledetti figli di puttana. Che diavolo volevano da me?

D'un tratto tutte le voci ascoltate finora si unirono in un unico, incomprensibile suono.

"Basta, basta, per favore. È insopportabile!"

Il panico iniziò a farsi largo tra i miei sentimenti come un'immensa oscura nube nell'azzurro cielo. Ciò non fece altro che struggermi l'anima. Stramazzai così al suolo privo di forze. Un'altra volta la speranza mi aveva abbandonato. Un'altra volta non desideravo altro che la morte. Chiusi gli occhi in attesa della fine.

All'improvviso sentii qualcuno o qualcosa afferrarmi la mano.

"Forse è giunta la mia ora. Forse è la fine. Forse mi stanno portando via." Pensai.

La presa non era forte, anzi, notai una strana delicatezza. Mi sembrò quasi familiare. Volevo riaprire gli occhi ma le forze me lo impedivano. Poco dopo, una frase, nitida e definita come le fiamme del fuoco e la possente voce di un uomo, colpirono con dolce violenza la mia essenza rimembrandomi un angolo del passato finora oscuro.

- Non andartene docile in quella buona notte. Infuriati, infuriati contro il morire della luce. -

"Infuriati".

PsychologiaWhere stories live. Discover now