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Il tecnico ci fece qualche domanda, quanti eravamo, chi eravamo, quanti anni avevamo, dove abitavamo, da quando eravamo chiusi dentro e così via, tanto che alla fine quasi ci davamo del tu e ci invitavano a prendere un caffè insieme.
Ovviamente non ci poteva prima liberare e poi intervistare, era una follia.
Poi all'improvviso l'ascensore si mosse e la porta metallica si aprì.
Guardai Enrico e notai che anche lui stava guardando me, gli sorrisi e lui si sforzò per ricambiare.
Pochi istanti di pace prima del putiferio.
Mia madre si fiondò su di me e mi abbracciò così forte che temetti di morire prima ancora della nascita del mio futuro tumore ai polmoni che avevo sapientemente allevato grazie ad un allora perfetto sconosciuto.
Enrico invece uscì silenziosamente dalla cabina e quando mi passò accanto mi sfiorò una mano.
Non so se fosse un gesto casuale o voluto, ma mi fece venire per l'ennesima volta i brividi.
Sollevai lo sguardo verso di lui quando mi passò davanti, incontrando i suoi occhi di ghiaccio.
Dicevano "ciao" ed io potevo solo sperare che non fosse un addio.

StrangersWhere stories live. Discover now