187. In castigo

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Quando i miei genitori morirono  per quel dannato incidente, la polizia mi mise in macchina e mi portò via, piangevo.

Vagammo per quasi due ore sulle autostrade che attraversavano come fiumi la campagna calda, arida e secca, ed il panorama statico e rasserenante che si poteva osservare dal finestrino, mi faceva venire quasi sonno.

Il poliziotto fermò l'auto lentamente, e riaprii gli occhi, avevo dormito.

Guardai l'orologio, 18:35.

Scendemmo dalla macchina, e ci avviammo lungo il grano secco per un paio di centinaia di metri, fino a giungere davanti una casa di campagna a tre piani, tutta color antracite.

Avvicinando la porta si poteva sentire l'eco soffusa di qualche gemito e pianto, non mi ispirava affatto buon umore, ma decisi di non piangere, e di voler apparire a chi mi avrebbe accolto con un'aria sicura e decisa.

Il poliziotto alla mia sinistra bussò delicatamente alla porta, attendendo.

Si aprì uno spiraglio, illuminando un volto bianco.

La donna aprì rapidamente la porta, producendo un cigolio tremendamente fastidioso, ma non feci in tempo a mettere le mani alle orecchie.

Guardo fissi i poliziotti senza dire nulla, loro restarono muti.

Mi guardò solo il braccio, e lo afferrò saldamente, conducendomi dentro e chiudendo la porta dietro di se.

Alzai lo sguardo verso il soffitto, decine e decine di pupazzi di pezza tutti strappati, appesi ad un gancio.

Sentii un urlo, di un bambino o di una bambina, e mi girai verso la donna terrorizzato, ma lei, non mi degnava di uno sguardo.

Mi afferrò di nuovo per il braccio, e mi condusse di corsa in una sala tutta bianca, dove una trentina di bambini erano seduti a ferro di cavallo, a mangiare una poltiglia color cioccolato.

Mi sedetti, forzando un sorriso, che io stesso mi sarei spaventato a guardare.

Prima di poggiare l'ultima gamba sulla sedia, la cuoca guardò negli occhi una bambina, che stava dando un pezzo di zuppa ad un topolino.

Urlò una frase incomprensibile, forse in tedesco, capii solo ''IN CASTIGO'' con un accento nordico.

La bambina scoppiò a piangere ed in seguito ad urlare. Tornò nella stanza la donna di prima, che la afferrò per i capelli e la condusse fuori dalla porta, facendola passare davanti a me.

Non capivo perché tutte quelle urla, l'avrebbero messa in punizione per un po', suppongo.

Passarono circa dieci minuti, e suonò una specie di campana, tutti si alzarono con aria cupa, così, mi alzai anch'io, per poi risedermi come vidi fare a tutti gli altri bambini.

L'ora merenda finì, e la cuoca ci indicò di andare nella sala di ingresso, dove erano appesi tutti quei peluche al soffitto.

Si misero tutti a terra, a gambe incrociate, li imitai anch'io.

Guardai verso il soffitto, e vidi i ganci allargarsi, facendo cadere da circa 5/6 metri di altezza quei pupazzi, che caddero ognuno in braccio ad un bambino.

Vidi che iniziavano ad abbracciarlo e coccolarli, proprio come facevano i bambini piccoli, così, lo feci anch'io, credo che il mio animale fosse una specie di giraffa.

Tornò la cuoca, che entrò nella stanza e urlò davanti la porta una frase incomprensibile, seguita da: "ORA GIOCO FINITA".

Vidi tutti i bambini indietreggiare, così lo feci anch'io.

Sentii un suono metallico, e osservai tutti i ganci scendere velocemente, per riprendere i pupazzi.

Una bambina non fece in tempo ad indietreggiare, e venne raccolta da un gancio, che le si impigliò al colletto del grembiule e la tirò su.

La cuoca la osservò con aria sconvolta, mentre lei saliva verso il tetto e urlava parole incomprensibili.

La guardò, mentre lei diventava pallida e sembrava stessa soffocando.

"O STAI LÌ, O PUNIZIONE!"

La bambina in preda alla carenza di ossigeno, fece cenno alla donna. Che fece abbassare il gancio per farla scendere.

La bambina guardò la cuoca, e scoppiò in lacrime.

La donna la afferrò per il braccio, e la condusse in un lungo corridoio.

La cuoca tornò nella stanza, con le mani sporche di sangue, e ci urlò in faccia "ORA CENA!".

Tutti i bambini si misero in fila, e tornarono nella stanza di prima, per mangiare.

La cuoca ripresentò quella poltiglia marrone/rossastra, che mise davanti i nostri occhi.

Qualche bambino piangeva, altri la guardarono disgustati, ma dovemmo mangiarla.

La cuoca, a cena finita con le sue solite urla ci fece capire che era ora di andare a letto, cosi tutti uscimmo dalla stanza per avviarci verso una lunga scala che dava alla soffitta, piena di letti. Ne presi uno anch'io e mi misi sotto le coperte.

Passarono circa 3 ore ma non riuscii ad addormentarmi, c'era davvero troppo silenzio in quella stanza, ed io ero troppo curioso di sapere in cosa consistesse quel maledettissimo "castigo" che tutti temevano.

Mi alzai silenziosamente dal letto per dirigermi verso la porta. Mi girai, un bambino mi stava guardando con gli occhi spalancati, come per dirmi di non farlo, gli sorrisi ed aprii la porta.

Scesi lentamente le scale arrivai davanti la porta della cucina.

Proprio mentre stavo per aprirla qualcosa di metallo mi colpì alla testa, come un mestolo da cucina.

Mi svegliai in una stanza bianca, ricoperta di mattonelle lucide. Ero legato per le braccia a due catene ancorate al muro.

Legata al muro accanto a me, la bambina del gancio.

Entrò la cuoca, con un filo di sega, di quelli che usano i chirurghi per tagliare le ossa, la bambina scoppiò a piangere.

La cuoca le mise un bavaglio in bocca, e le afferrò i piedi, che teneva stretti tra le ginocchia.

Provai a girarmi, ma dovetti assistere a tutta la scena, mentre la cuoca le seghettava lentamente le gambe.

Passarono circa cinque minuti, quando la cuoca strappò gli ultimo tendini e le staccò le gambe, per portarle in cucina, dove potevo intravedere un grande frullatore.

La bambina si accasciò al muro, morta dissanguata.

Vidi la cuoca tornare nella stanza, ed osservarla, per poi tirare una lunghissima corda che giungeva fino al tetto, facendo suonare una campana.

Riuscii a sentire dalla sala accanto qualche sedia spostarsi, come se decine di bambini si fossero alzati in piedi.

La cuoca chiuse la porta, lasciandomi lì.


Facendo un paio di conti, dovrei essere servito per ora di cena.

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