Capitolo 5. Protezione

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Mi voltai dopo aver già dato sentenza, troppo tardi per realizzare che in realtà si trattava proprio di mio padre. Sussultai piuttosto incredula, e dissi con molto imbarazzo:

<<Mi dispiace papà…non credevo che fossi tu..>>

Lui sembrò accennare un sorriso <<Non preoccuparti Ania, dammi solo quel telefono…>> allungò la mano con disinvoltura verso la mia.

Lo guardai pietrificata. Forse per lui non esiste la privacy, ma a me imbarazzava molto presentare quello che credevo un semplice amico a mio padre, che dopo oggi, avrebbe inteso tutt’altro! E non so come avrebbe reagito…del resto era il mio primo potenziale fidanzamento e avevo solamente quindici anni.

Non smisi di guardarlo mentre la mia mano era immobile accanto al mio fianco e non accennava a muoversi. Si avvicinò e prese con rapidità il cellulare dalle mie mani, per poi, con indifferenza, portarlo all’orecchio come per ascoltare. Qualche istante dopo pronunciò con la sua voce possente:

<<Pronto con chi parlo?>> alzò il volume al massimo come per assicurarsi della veridicità di ciò che aveva intuito.

<<Salve…mi passi subito Ania, sono un suo amico>> si sentiva la voce di Nathan.

Lo sentii ridere di gusto <<Ma davvero giovanotto? E tu da dove salti fuori??>>

<<Come sarebbe a dire? Chi è lei??  Mi faccia parlare subito con Ania!>>

<<Si da il caso che io sono il padre e che tu devi scomparire dalla scheda telefonica di questo cellulare. Nessuno ti ha interpellato>>

<<Mi lasci dire una cosa ad Ania…Si può discutere con garbo al riguardo, perché non credo che sparirò>>

<<Ascolta ragazzo impertinente, fatti da parte, mia figlia non ha bisogno di te!>> concluse furibondo alzando la voce e riattaccò.

Poi mi guardò con gli occhi di fuoco, uno sguardo oscuro, e con fare minaccioso mi afferrò il polso e mi costrinse a seguirlo fino all’interno dell’edificio, umiliandomi davanti a tutte le ragazze presenti nel corridoio, che vedendo la scena, erano abbastanza scosse e allibite per come mi trascinava fino alla mia camera.

Non mi ero mai sentita così umiliata prima d’ora. Provai un senso di sconforto e di angoscia mentre mi trascinava via davanti a tutti quegli sguardi…mi fece sentire piccola come uno scarafaggio o un verme che doveva strisciare per la vergogna…ma in fin dei conti mi chiedevo ancora quale fosse la vergogna che mi addossò: forse la colpa di aver fatto amicizia con un individuo diverso da una ragazza? Ecco non trovavo nemmeno le parole per descrivere tale assurdità…solo mi sentivo persa, sola e umiliata. Ero io a vergognami di mio padre.

Mi impose di condurlo in camera mia e di fare le valigie davanti a lui in tutta fretta, perché mi avrebbe portata via da li.  Aprì bruscamente la porta e io entrai tremante, dirigendomi verso l’armadio. Notai lo sguardo scosso di Beatrice che smise immediatamente di fare ciò che stava facendo, dopo aver sussultato per la nostra entrata improvvisa in quella stanza. Mi voltai e la guardai scossa e sconcertata. Poi si voltò verso la porta guardando mio padre, immobile sull’uscio della porta che, con sguardo irato, mi minacciava:

<<Andremo via adesso>>

<<Ma Ania…>> intervenne Beatrice chinandosi accanto a me <<Ma non può portarla via!>> si rivolse con guardo pungente a Jack.

Quest’ultimo le lanciò uno sguardo rovente <<Lei non interferisca! E piuttosto…mi dica chi è questo ragazzo…Nathan!>>

Alla domanda, Beatrice sorrise come se desse per scontato la risposta o come se ritenesse così ridicola quella stessa domanda:

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