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Era il primo giorno di settembre, una giornata fresca, con nuvole grigie che coprivano il cielo a chiazze, e che favorivano una temperatura sopportabile per tutte le persone che si godevano una passeggiata. Jeon Jungkook si trovava seduto su una sedia davanti alla sua solita finestra con le sbarre, come tutte le mattine alle 8, puntuale come un orologio svizzero. Erano successi molti casi di suicidio, molte persone si erano gettate dalle finestre per porre fine alle loro sofferenze, e poiché l'ospedale non poteva perdere il suo prestigio, in tutte le camere dei pazienti erano state montate delle sbarre di ferro che permettessero di aprire la finestra, di guardare di fuori, ma niente di più. Jungkook si dilettava ad osservare tutte quelle persone che correvano o camminavano sotto i suoi piedi, e c'era un motivo per il quale lo faceva tutte le mattine. Lui le invidiava. Loro erano liberi, loro potevano vedere le tante sfaccettature che offriva il mondo, mentre lui era costretto a vedere sempre e solo quattro mura bianche. Loro potevano percorre un chilometro senza essere costretti a fermarsi perché sentivano il petto esplodere. Loro potevano svagarsi, potevano far viaggiare la mente su progetti impensabili ed assurdi, senza avere sulle spalle il costante timore della morte.

Jeon Jungkook era un prigioniero da ormai 5 mesi del più importante ospedale della capitale, il Seoul National University Hospital. Vi era entrato a causa di un improvviso dolore toracico durante una partita di calcio tra amici, e da quel momento non vi era più uscito. Aveva da poco finito la scuola superiore, e dopo un anno sabbatico, in cui si era sbizzarrito in più di un lavoro part-time per racimolare qualche soldo, era pronto ad iniziare una nuova avventura all'università, un percorso misterioso perché non aveva idea di quale facoltà scegliere, ma adesso non ce ne sarebbe più stato bisogno. Piccole paure adolescenziali scivolavano sulle sue spalle muscolose, perché il suo cuore era troppo malandato per prestarvi attenzione. Non poteva preoccuparsi di cose sciocche come lo studio, ma doveva solo attendere di ricevere una telefonata. Una frase che gli avrebbe cambiato la vita, anzi, che lo avrebbe fatto tornare a vivere

'' le abbiamo trovato un donatore compatibile ''

Jungkook l'aspettava da mesi quella frase, e più il tempo passava e più iniziava a perdere le speranze. Aveva subito troppi interventi chirurgici, dal posizionamento di un pacemaker temporaneo, alla sostituzione di una valvola cardiaca. Ne aveva viste di tutti i colori, e la dimostrazione era un immensa cicatrice sul suo petto, un segno del suo coraggio, e della sua voglia di vivere, ma nulla aveva dato i suoi frutti. La sua ultima possibilità era un trapianto, un cuore nuovo, o meglio, diverso, funzionante. Se da una parte non sognava altro, dall'altra si odiava per questo continuo pensiero. Jeon Jungkook odiava se stesso, perché stava pregando affinché un ragazzo, o un uomo, perdesse la vita per rubargli il cuore

'' signorino la terapia delle 8 '' disse un infermiera entrando nella stanza

'' la lasci pure sul tavolino, la prenderò dopo ''

'' si ricordi di prendere il gastroprotettore per primo ''

'' lo so perfettamente, adesso mi lasci da solo, grazie ''

Le lanciò il sorriso più smagliante che avesse, ma che allo stesso tempo lasciasse intravedere il suo completo disprezzo. Era cambiato in tutto quel tempo in ospedale, il suo carattere era mutato, non era mai stato un giocherellone, ma gli piaceva tanto ridere, adesso invece, a causa della malattia, era diventato freddo e distaccato. Odiava i sorrisi delle persone, odiava vedere che gli altri potevano essere felici, mentre lui era costretto ad oscillare tra la vita e la morte ogni giorno

'' perché devi sempre far piangere le infermiere? ''

'' oh hyung! ''

'' sbrigati e prendi le medicine piccoletto, non mi va di venire ogni volta per costringerti ''

Love YourselfWhere stories live. Discover now