❇ 1) Ermal

780 55 22
                                    

«Ci siamo sentiti feriti per quanto successo, ma adesso non c'è nessuna sensazione di rivalsa, perché non ha nessun senso avere rancore. Siamo solo felici. Ero convinto che saremmo arrivati terzi.»

Ermal Meta aveva risposto così, in maniera diplomaticamente dispiaciuta al mio articolo.

Lo lessi, sfogliando uno dei corrieri poggiati sul tavolo del bar in cui stavo bevendo il terzo caffè della mattina, dopo il mio impetuoso incontro/scontro con Moro.

La cosa che mi infastidiva di più, era che nella fretta di togliermi la sua faccia da schiaffi di mezzo, avevo dimenticato il mio portatile e buona parte del mio materiale cartaceo personale in quell'ufficio.
Anche contro la mia volontà e le fitte ai piedi, dovevo tornarci.

Lungo il corridoio, notai uno strano via vai di gente eccitata che sembrava avesse visto una stella di Hollywood, fra di loro, anche la mia assistente Linda, che cercavo da tutta la mattina.

«Vuoi dirmi cosa succede qui dentro?»
Ero certa che stessero ancora parlottando della visitina del signor Moro.

«L' aspetta qualcuno nel suo ufficio, Signorina Morgan

«Credevo che per oggi avessimo finito.»
Borbottai, aprendo la porta, trovandomi davanti un altro uomo che avevo imparato a conoscere, attraverso ciò che scrivevo di lui.

A differenza del primo, lui era pacato, avvolto in una giacca nera e un dolcevita bordeaux.
Qualche collana pendeva sul suo collo, i suoi capelli erano arruffati come avesse appena finito una sessione di sesso sfrenato.
In totale contrasto col suo viso pulito, sporcato solo da quel piercing che sbucava fuori dal sopracciglio sinistro.
Nessun accenno di barba, nessun accenno di rabbia.

«Due visite in meno di un ora, cos'è il suo amico l'ha chiamata in soccorso perché a lui è andata male?»

Il mio ingresso, ricordava vagamente quello di Moro avvenuto poco prima.
Anche io chiusi con impeto la porta, prima di lasciare scivolare il cappotto fra l'appendiabiti e sedermi alla mia scrivania, accavallando la gamba con aria di sfida.

«Di cosa sta parlando? Io non sapevo che Fabrizio si fosse presentato qui, devo vederlo più tardi ma non l'ho ancora sentito. Sono qui per un caffè.»
Rispose, Ermal Meta, in totale tranquillità.

«Ne ho già totalizzati tre per colpa del signor Moro e della sua irruenza. Mi ha reso nervosa

«Cos'altro le andrebbe di bere?» Chiese, poggiando i suoi gomiti sulla mia scrivania, in modo che potesse guardarmi bene negli occhi, mentre pronunciava quella richiesta.

Non si arrendeva, era gentile, elegante e raffinato.
Emanava un aura di sapiente intelligenza e il suo modo di parlare, la diceva lunga sul suo essere colto e di classe.
Mi venivano in mente solo complimenti per lui.

«Un succo. Un semplice e gustoso succo alla pera. Magari quello nella bottiglietta di vetro blu.» Risposi di getto.
La sua gentilezza, mi avevo convinta a dargli un occasione per spiegare la ragione per cui fosse venuto a cercarmi.

«Bene. Anche a me piace molto. Vada per un succo.»

Avevo ripreso il mio cappotto e la mia borsa, Ermal aveva sussurrato un "dopo di te" alla porta, con estrema galanteria, e ci apprestavamo a raggiungere nuovamente il bar in cui ero stata poco prima, per scambiare quattro chiacchere.

Attraversando nuovamente il corridoio, udivo in sottofondo ronziì di voci, che lasciavano intuire potesse esserci qualcosa di malizioso in tutta quella situazione, ma non era affatto così.
Glielo feci notare, guardando in malo modo chiunque mi sorridesse compiaciuto.

«Solitamente non andiamo in giro cercando chi ci scredita, fa parte del nostro lavoro quindi lo accettiamo.»
Esclamò Ermal, dopo aver sistemato la sedia in cui mi sedetti.

«Perché con me sembra una caccia alle streghe? Mi state perseguitando
Domandai, ironicamente, trovandomi lui davanti, che nel frattempo si era accomodato alla punta apposta di quel tavolo per due.

"La Prima Volta" dei Negramaro in sottofondo, catturava la mia attenzione, soffocando il silenzio.
Improvvisamente, quel bar poco lussuoso, aveva un atmosfera magica, contornata dalla poesia delle frasi di quel testo.

«Leggo spesso i tuoi articoli su Rockol, stimo la tua cultura musicale, sono consapevole della brillantezza accattivante di ogni pensiero che esponi
Ermal aveva preso in ostaggio il centro del mio sguardo e lo focalizzò su di lui.

«È bastato che parlassi male di te, perché tutta la stima nei miei riguardi svanisse
Chiesi, tornando sulla difensiva.

«No, al contrario, mi ha spinto a pormi delle domande.
Tu non sei una stupida...»

«Il tuo collega non la pensa così!»

«Adesso ci sono io qui, è con me che stai parlando.
Lasciami continuare.»
Aveva alzato di poco il volume della sua voce, con grinta voleva esporre il suo punto di vista.

«Continua!» risposi, con un atteggiamento tutt'altro che comprensivo, mi ero nuovamente chiusa a riccio.

«Se hai scritto quelle cose deve esserci un motivo, forse non ti siamo arrivati nel modo giusto, magari non ci riusciremo mai

Non volevo interromperlo, annuì solamente con un cenno del capo.

«Non sono qui per conquistarti ma per gridarti in faccia la nostra assoluta integrità d'animo.
Non abbiamo bisogno di mezzucci, di riciclare parole già pronunciate per arrivare al cuore della gente. La furbizia non fa parte di Fabrizio così come non fa parte di me.»

Riuscivo a scorgere un pezzo del suo cuore, lo aveva estrapolato dal suo petto e adesso era fra le sue mani, pronto per essere donato a me, nel desiderio di essere compreso.

Ermal aveva abbattuto tutte le sue barriere, tentando di abbattere di conseguenza, anche le mie.

«Ammesso che io creda alle tue parole, il vostro obiettivo qual'è?» Chiesi, tornando per un attimo comprensiva.

«Non so se sarà possibile ma vorrei che tu seguissi i nostri prossimi spostamenti come un ombra.
Vivi le nostre esperienze con noi, il dietro le quinte in cui è impossibile avere filtri. Poi deciderai se credere alla nostra buona fede, oppure no

«Io ho una vita al di fuori di voi e non intendo metterla in secondo piano per fare ciò che mi chiedi.» Risposi, con l'aria di chi aveva appena sentito una barzelletta, e stava quasi per ridere.

«Si tratta di qualche giorno, un weekend al massimo, tutto a spese nostre.»

«Non sono i soldi il problema!»

«Non intendo comprare i tuoi pensieri ma cercare di farmi leggere dentro da te nel modo giusto. »
Rimasi destabilizzata da quella sua ultima affermazione, dal suo dare così tanta importanza alle critiche di una sola persona, nella volontà di trasformarle in qualcosa di costruttivo per entrambi.

«Questo è il mio numero, se decidessi di accettare
Era buffo, il fatto che lo avesse scritto in uno di quelli inutili tovaglioli del bar, nessuno ormai si affidava ad un pezzo di carta, con tutti i mezzi di comunicazione che c'erano, ma lui sembrava un uomo d'altri tempi da quel punto di vista.
Mi fece scappare un sorriso, che tentai di nascondere.

«Quale sarebbe la prima tappa?» Chiesi, afferrando il tovagliolino.

«Abbiamo un instore alla Feltrinelli in piazza duomo a Milano.»

Dovevo tornare nella mia città, sarebbe stata quella la mia prossima destinazione, non dovevo spostare alcun impegno, quella poteva essere una bella spinta ad accettare.

«Giochi in casa.» Affermò ancora, accennando un sorriso e porgendomi la mano.

Si era informato sulla mia provenienza, mi domandai perché, ma pensai che probabilmente non voleva essere colto impreparato.
Nient'altro che quello.

Non abbiamo armi {MetaMoro}Where stories live. Discover now