❇ 8) Seconda Parte

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«Fabrizio è con te? »

Chiese Ermal, in modo diretto, senza aggiungere nulla, come ad esempio un saluto alla sottoscritta.
Gli dissi che era rientrato a Roma e lui intuì.
Anche Ermal, sapeva che quando Fabrizio era con i suoi bambini, non rispondeva a nessuna chiamata.
Ormai lo avremmo sentito entrambi domattina, ma Ermal sembrava avere una certa urgenza nel riuscire a rintracciarlo.

«Ermal, tutto bene?»
Chiesi, cercando di capire.

Ci fu silenzio da parte sua, scandito da un sospiro.

«Cara Frida è una serata di merda.»

E fu in quell'affermazione, che capì che cercava Fabrizio per avere il suo sostegno.

«Dove sei?»

«Sono in giro. Sto bene.»

Non stava bene.
Mi sembrò di scorgere un implicito grido d'aiuto, che io volevo accogliere anche se non spettava a me.
Mentì, gli dissi che anche io ero in giro con la mia amica e che potevamo raggiungerlo, mi sarei inventata in seguito una scusa, quando mi avrebbe visto arrivare da sola.

"È un posto per drogati quello!" Pensai, non appena mi mandò la mappa del punto in cui si trovava.
Era un punto malsano di Milano in cui si rifugiavano musicisti malinconici e ragazzacci in cerca di fumo, sapevo come raggiungerlo, ma maledivo me stessa per avergli fatto quella proposta.

«Ehi...»
Esclamò Ermal a mezza voce, vedendomi arrivare.
Stava seduto su una panchina con l'aria spenta di chi, stava osservando andare in frantumi, una parte della sua esistenza.

«Ciao, perfetto sconosciuto.
Sappi che hai interrotto la mia serata: pigiama, Fittea e serie tv
Dissi, cercando di strappargli un sorriso.

«Mi hai detto che eri in giro.» Ribattè, come stupito del fatto di essere stato fregato.

«Se non ti avessi mentito tu non avresti mai permesso che venissi.»

Acconsentì con un cenno del capo e uno sguardo investigativo.
Ricordava l'ispettore gadget con quel lungo cappotto scuro che lo avvolgeva.

«Scusa per quel brutto lato di me che ti ho mostrato oggi.»

«Tu non hai bisogno di scuse con me. »
Dissi, con fermezza, chiedendogli di togliersi gli occhiali da sole che aveva indossato in piena notte, per coprire le sue occhiaie e le ferite all'anima.

Capivo il suo attimo di smarrimento, dovuto alla situazione che stava vivendo.

Dopotutto sempre stato impeccabile, da quando ci conoscevamo.

Passai una mano sulla sua spalla, con il classico movimento che si fa nei momenti di conforto.
Lui alzò la testa verso il cielo.

«Ho colpito nel segno oggi, vero?»

«Ammettere certe cose, ti da la conferma che sia la verità.
E a volte, anzi quasi sempre, guardare in faccia la realtà fa male.»

Aveva di nuovo puntato i suoi imperscrutabili occhi su di me.

Non digerivo quella sua amara commiserazione.

«Quando ci siamo conosciuti, non avevi alcun dubbio riguardo alla tua storia.»

Ero sempre stata una persona che usava la fisicità per trasmettere serenità a chi si trovava davanti.
Ermal, lo avrei abbracciato facendomi guidare da un forte istinto di protezione, ma da quel poco che avevo capito di lui, era restio alle dimostrazioni fisiche d'affetto, così mi limitai a poggiare una mano sulla sua.

Non abbiamo armi {MetaMoro}Where stories live. Discover now