❇ 15) Seconda Parte

481 39 58
                                    

Non ci erano servite forzature, per essere di nuovo chiusi in pochi metri quadrati, lasciandoci alle spalle i mille motivi per cui non avremmo dovuto.
Avevo la certezza, che quello che ci legava, fosse più forte di quello che poteva dividerci.
E volevamo lottare per quella convinzione.

«Sono così instabile.
Non so a chi dedicare una canzone, non ho stimoli.
Mi sembra di non provare più niente.»
Disse, continuando a buttare giù suoni senza un reale stimolo.

«So che ti sembra strano, ma quando dici che non riesci a provare niente, in realtà è provare già qualcosa, perché ti si arrovella il cervello, ci pensi, rimugini.
Per uno che scrive canzoni come te, trovarsi in questa condizione, è quasi uno stato di grazia.
Dovresti saperlo bene.
Può essere un input per provare qualcosa di diverso.
Avere altre occasioni.
Le dinamiche intorno a te possono cambiare.
Ma il tuo cuore no.»

«Il cuore rimane quello.»
Rispose, in tono liberatorio, puntando i fari dei suoi occhi su di me.

Doveva mettersi a fuoco, non frenarsi.
Lasciarsi trasportare dall'onda emozionale.
Anche il bruco, ha iniziato a volare quando credeva di morire.

Era rapito, catturato, mi fissava inerme, con la chitarra in mezzo alle gambe, come volesse proteggersi.
Da me.
Da se stesso.

«E poi, sarò anche presuntuosa a pensarlo, ma a meno che tu non sia diventato improvvisamente un fan di Frida Kahlo, quella canzone tu l'hai proprio dedicata a me.»
Sorrise, abbassando lo sguardo, credendo che io non lo avessi notato.

«Quindi non è vero che non riesci a pensare più a qualcuno mentre canti, semplicemente quel "qualcuno" è cambiato.»

«Sei tu quel qualcuno, Frida?»

Mi sentivo così scoperta, nell'essermi esposta in quel modo.

Il liquido di quella bottiglia di Negramaro, diminuiva inesorabilmente, come se avesse un foro, all'estremità.
In realtà, io ed Ermal stavamo affogando la nostro angoscia in quella fermentazione alcolica di mosti ricavati da uve fresche o leggermente appassite.

E la lucidità, stava lasciando spazio all'incoscienza.

Stavamo scavando nella vita dell'altro, riportando alla luce qualche frammento inedito di noi.

«Se solo... »

«Cosa?» Mi interruppe.

«Potessi guardarti davvero negli occhi, mentre canti...» Risposi, intimidita.

I suoi ricci.
Un tasto dolente.

"Non mi toccate i capelli, non sono un bambolotto..."
Ricordavo a memoria quel momento, in cui aveva specificato alle sue fans, durante uno dei suoi firmacopie, di non essere strapazzato di coccole.
Non era una di quelle persone che si lanciavano in grandi slanci fisici.
Ma le sue movenze, avevano la capacità di uccidere a distanza, senza nemmeno sfiorarti.

«Mi piaccio selvaggio è quello il problema.
Non permetto a nessuno di toccarli.»

«Come vuoi... »
Risposi, abbandonata all'idea, che non avrebbe mai accolto quella proposta.

Lo osservavo come si fissa il protagonista di un ritratto che stai cercando di raffigurare.
Attenta a scrutare ogni impercettibile dettaglio del suo viso, che aveva deciso di scoprire alla fine, sotto mia esplicita richiesta.
Mi aveva sorpreso, perché ero certa che non mi avrebbe accontentata.
La sua chioma, che aveva tirato indietro, in una spettinata coda era sempre stata il suo scudo ai miei occhi.
Mi sembrò di avere davanti una persona nuova.

Non abbiamo armi {MetaMoro}Where stories live. Discover now