| 3. Tra te e il mare |

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Ermal era sdraiato sul letto di quella stanza d'hotel.

Il sole già alto, gli esplodeva in corpo, fra le fessure delle finestre semi aperte.
Era talmente esausto che si era addormentato, senza neanche accorgesene, tra una chiacchera e un sospiro.

Non mi andava di svegliarlo, non se significava privarmi della bellezza che avevo davanti.
Lo osservavo attonita, seduta al capezzale di quello stesso letto, senza fare qualche movimento di troppo.
Il servizio in camera, lo avevo ritirato io e avevo chiuso nuovamente la porta.
Nel tentativo di lasciare il mondo fuori da quelle mura.
Aveva spento il cellulare, un gesto folle per uno pieno zeppo d'impegni come lui.
Eppure, lo faceva risultare così volenteroso di occuparsi solo di me, per quelle ultime ventiquattro ore che ci avrebbero visti vicini.

Non potevo più resistere a quella visione.
Immaginavo di tuffarmi sulle sue braccia e di far si che aprisse gli occhi, dolcemente.

Lo raggiunsi, facendomi spazio fra le lenzuola, nel desiderio di incastrarmi perfettamente al suo corpo.
Mi aveva sentita.
Ad occhi chiusi, mosse la sua mano, che si fece largo tra i miei capelli, come in cerca di rifugio.
Stava rubando tutte le mie certezze, attraversando ignobilmente il mio sguardo, puntando aurore celesti, sprazzi di gemme, su di me.

Così vicini, da avere il suo fiato sul mio, in un desiderio di fusione naturale.
Avevo la sensazione di star correndo lungo vaste distese di campi in fiore, sbocciate a primavera.
Era quello che mi trasmetteva la sua fisica vicinanza.
Ero un fiore, che poteva fiorire solo dopo essere sfiorato dall'illegalità delle sue dita.

Sentì il braccio di Ermal, poggiato sotto la mia testa, cercare di divincolarsi, per permettergli di sollevarsi.

Il suo volto, veniva fuori a mala pena, dal disordine della sua criniera.
Sembrava essere trascorsa un'eternità da quando avevamo varcato la soglia.
Le nostre espressioni confuse, erano la palese testimonianza.
Ci fu un momento di imbarazzo, da cui tentai di scappare, coprendomi nuovamente con le coperte.

Lui, iniziò a scoprirmi e si piazzò di fronte a me,in ginocchio sul letto.

«Da cosa ti nascondi, biricchina? »
Avrei risposto "da te, da tutto quello che sei pronto a smuovere, senza fatica."
Senza sforzo alcuno, sradicava la mia razionalità, giocandoci con esperta maestria.

Avrei potuto dire:" ho paura di mostrarmi per quella che sono. Completamente indifesa davanti a te."
Il trucco colato del giorno prima, i capelli sporchi del suo profumo.
Forse non ero ancora preparata a quel confronto.
Tra la mia esteriorità priva di filtri e il suo interesse nel trovare il suo collocamento perfetto tra una fessura e l'altra, della mia persona.

Prevalse il mutismo.
La via più semplice.

«Potresti buttarli tutti quei trucchi che usi, sai...»
Con abile perspicacia, aveva colto appieno quello che mi turbava.

«Il tuo animo gentile prevale sempre sulla realtà.» Ribattei, con un pizzico d'ironia.

«No, sinceramente, penso che tu sia molto più bella senza.»
Mi porse la sua mano, voleva salvarmi da quell'intreccio di insicurezze e coltre.

Una colazione consumata in piedi.
Fette biscottate e confettura di ribes rosso, per due.
Caffè macchiato e uno corto.

Ermal continuava a fissare la mia insolita mise, tra un morso e un sorso.
Era curioso scrutatore delle prossime mosse altrui e, attendeva con ansia, le mie.

Ero così assorta dai suoi racconti, che mi resi conto di non stancarmi mai di ascoltarlo parlare, nelle ore successive.
La sua cultura d'animo così profonda, sapeva arrivare dritta al cuore.

Niente smancerie, ma stretta e complice vicinanza, ci accompagnavano lungo le passeggiate per le stradine di Taormina.

Dopo pochi metri, nonostante il tentativo di camuffamento, Ermal venne riconosciuto da un sostanzioso gruppo di persone.
Gentilmente, si prestava per una veloce foto e per un veloce scambio di impressioni sul suo periodo d'oro.
Molti i complimenti, tante di più le espressioni curiose dei suoi ammiratori, verso di me.

Tentai di occupare il margine della strada, in totale opposizione con il punto in cui Ermal, si stava dando in pasto ai fans, eppure sembrava non bastare, per placare la loro fame di sapere chi fossi.

Dovevo imparare a gestire le mie spontanee reazioni di chiusura, davanti a tutti i riflettori degli occhi della gente puntati addosso.
E non era mica una cosa semplice, modificare il mio carattere già complicato di suo, a trent'anni suonati.

Ermal, dopo essersi donato a tutti, nessuno escluso, cercò di divincolarsi, venendo nella mia direzione, tra i bisbigli delle ragazzine in calore, che mi credevano più fortunata di loro ma allo stesso tempo, eccessivamente vecchia per un tipo pimpante come Meta.

Quella condizione, condizionò inevitabilmente il mio umore, nelle ore a venire.
Non potevo fare una colpa ad Ermal per quel rovescio della medaglia di una vita, che lui aveva sempre voluto vivere.
D'altro canto, io non potevo pagare il conto di donne che aveva avuto prima di me.
Non volevo che si pensasse di me, che ero la personificazione di una donna leggera con cui trascorrere delle belle giornate e poi, ognuno pensa a vivere la sua vita.

Avevo sempre pensato all'amore, come condivisione totale di un esistenza in due.
Ma di quella sessione di autografi itinerante, io ero solo lo sfondo scomodo da tentare di camuffare.

Non volli iniziare uno scontro che lo avrebbe mortificato e che ci avrebbe allontanato senza un motivo valido, ma non riuscì a celare tutta la contrarietà del mio sguardo.
Aver dovuto scegliere di mangiare in uno dei ristoranti peggio ubicati, solo per non essere rintracciati, mi risultò troppo da digerire, per una non abituata a nascondersi come me.
Ermal, gettava uno sguardo alla portata, e uno a me.

«Va tutto bene?» Esclamò d'un tratto, stremato dal mio silenzio.

« Se ti dicessi che va tutto bene, mentirei. »
Risposi, non continuando a cibarmi della pasta che ci avevano portato.
Ed era quello il vero dramma, dato che la sottoscritta era un carboidrato dipendente.

«Ma anche se ti esponessi ciò che mi logora, penseresti che sono una petulante in cerca di attenzioni.»

«Ti ha decentrata la calca di fans che mi hanno assalito oggi?» Chiese, con tono ironico, di chi, era ben abituato a quel genere di assalti.

«È la tua quotidianità, ma io mi sentivo un pesce fuor d'acqua. »

«Perché improvvisamente, sei così piena di dubbi?»

«Perché non voglio diventare l'esempio vivente di colei, da cui sei sempre scappato.»

«Sei proprio fuori strada, Frida.»

«Non so più qual'è la mia strada, Ermal

Consumai in fretta, quello che restava di quel pranzo e gli chiesi di riportarmi al mio hotel, in modo da poter ripartire il prima possibile per Milano, con la scusa di un impegno improvviso.

Avevo assaggiato la felicità a piccole dosi, la stavo assaporando, ma d'un tratto, ne ero pienamente sazia e quasi indigesta.
La troppa gioia, non faceva parte del mio naturale stato d'animo.

Non abbiamo Armi ~ Ermal Meta Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora