| 9. Quello che ci resta |

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I giorni a venire, trascorsero velocemente, fra teneri momenti, equi scambi d'opinione, e attimi di incontrollabile tormento.
Quest'ultimo, veniva fuori durante la notte.

Improvvisamente, Ermal, era assalito da incubi, sudava freddo, e iniziava ad urlare in albanese.
Era un angoscia, assistere impotente a quella sofferenza, senza poter far nient'altro che attendere che si calmasse.
La maggior parte delle volte, dopo qualche minuto, si voltava su un fianco, calmandosi spontaneamente.
Solo in quell'istante, io mi stringevo a lui più che potevo facendogli sentire la mia vicinanza.
Nella peggiore delle ipotesi, si svegliava di soprassalto, si accendeva una sigaretta e stentava a riprendere sonno.

«Torna a dormire, mi metto a scrivere.»
Esclamava rammaricato, in quella circostanza.

Mi pesava dover assecondare il suo volere.
Avrei voluto chiedergli cosa lo affliggeva, ma non ero nelle condizioni di oltrepassare quel limite che la nostra poca confidenza, ci imponeva.
Aveva parlato vagamente del suo passato, ma percepivo fosse ancora una ferita aperta, mai sanata, nella sua attuale esistenza.

Una sola parola, era una presenza ricorrente in quegli istanti.
Tentai di scriverla, così da poterla tradurre a sua insaputa e appena mi trovai davanti la traduzione, il mio cuore perse un battito dal dolore.
Ermal, invocava sua madre, in un frangente in cui sembrava volesse proteggerla da qualcuno.
E non ci fu bisogno di chiedergli da chi.

Era la mattina del nostro ultimo giorno insieme in quel casolare sperduto.
Era stata una delle notti più serene, e lo si evinceva anche dal suo volto un po disteso e quasi privo di occhiaie.

«Sei pronto a tornare alla realtà?»

«Sì, ci voleva questo riposo, anche perché mi aspettano settimane impegnative.»
Rispose tutto d'un fiato, quasi volesse evitare che facessi ulteriori domande.

«Non ti sei fermato un attimo, non è così?»

«È la vita che ho sempre voluto, non mi lamento.»

«Non penso che tu ti lamenta. Magari, qualora potessi scegliere, se desidereresti prenderti una pausa.»

«Fermarsi significherebbe cadere nuovamente nel dimenticatoio, forse mi fermerò, prima o poi, ma non ora.»
Rispose con un tono che non ammetteva repliche.

Si era incupito, senza una reale motivazione.
Probabilmente, pensava che volessi allontanarlo dal suo lavoro, quando in realtà, era tutto il contrario.
Semmai, speravo che trovasse un periodo in cui rilassare i suoi nervi tesi e la sua poca tranquillità, che lo portavano ad essere agitato anche durante il sonno.
Tagliai corto e non andai oltre, per non incappare nell'errore dell'invasione degli spazi altrui.

Qualcosa, mi diceva che quella sua ostilità, non era dovuta solo a quella piccola parentesi mattutina, e dopo ore di silenziosa guida, gli chiesi, esasperata, cosa avesse.

«Mi hanno girato una bozza di un tuo articolo.»
Affermò, con acida spietatezza.

«Chi?» Risposi, confusa.

«Che importa chi è stato, conta solo quello che c'è scritto!»
Contemporaneamente a quella sua affermazione, mi mostrò ciò di cui parlava, sul suo cellulare.

"Quello che ci resta e 9 primavere" :
L'amore e i suoi drammi fanno vendere. Ed Ermal, sa vendersi bene.

"Caro Antonello" :
Sottofondo pressoché identico a "Magic" dei Coldplay.

"Il vento della vita" :
Scopiazzata da "Per dirti ciao" di Tiziano Ferro.

"Non abbiamo armi" :
Versione maschile di "Arriverà l'amore".

Non abbiamo Armi ~ Ermal Meta Où les histoires vivent. Découvrez maintenant