| 20. Facciamo finta |

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Ermal Meta e la sua concittadina Albanese.
Ermal Meta e Fabrizio Moro.
Era strano vederlo accoppiato a tutti, tranne che con me.

Era un quesito difficile da risolvere, serviva del tempo.
Serviva provare sulla propria pelle quella sensazione di distacco.
Farsi male ancora, fino a quando sarà l'ultima.

Facile pensare di poter cercare di recuperare la nostra amicizia, già compromessa dal nostro desiderare qualcosa in più.
La verità era che io ed Ermal, non potevamo più tornare indietro, a quelli che eravamo stati durante quei mesi.

Eravamo due adulti, che avevano percepito le prime emozioni date dall'attrazione reciproca, sin da subito, e le avevano colmate con una misera consolazione, spostando l'attenzione sull'affetto condiviso.
Per timore, di essere travolti da un onda emozionale, che non ci avrebbe lasciato scampo.
Mentivamo a noi stessi, per non farla finita definitivamente.
Ci arrampicavamo all'idea di poter provare ad essere due amici, che nutrivano delle passioni in comune.
Poi di nuovo due amanti in fiamme.
E ancora, due che volevano  credere all'amore.
Una giostra che, prima o poi, uno dei due doveva abbandonare, illeso .

Se esisteva un limite che divideva l'amicizia dall'amore noi lo avevamo oltrepassato, ci stavamo camminando e non potevamo permetterci di fermarci per tornare indietro, cancellando tutto.

Avrei potuto prendermi una pausa, agire nel modo migliore per entrambi, ma se l'avessi incontrato prima di decidere di andare via, non sarei riuscita a dirgli addio, davanti ai suoi occhi, che mi avrebbero implorato di darci una possibilità.
Forse l'ultima.

Ma quella forza non la possedevo più.

Eppure, quel quinto posto all'Eurovision, ero certa, gli aveva lasciato l'amaro in bocca.
Per un perfezionista come lui, non era facile da digerire.
Anche se, il calore del pubblico, nonostante tutto, lo avrebbe reso fiero della sua performance e del messaggio, che aveva portato in quella manifestazione, in cui non splendeva il buon senso.
Tutto quello che cadeva all'occhio, erano la banalità di una scenografia da urlo, ma priva di emozioni.
Ermal e Fabrizio, hanno cantato dell'odio che divampa, del terrorismo che incendia, della pace che sembra lontana.
E se l'Europa, aveva bisogno dello show gratuito puro e fine a se stesso, no, noi c'entravamo niente.
L'essere rimasti coerenti con l'intenzione della canzone, che voleva essere un pugno nello stomaco, deciso ma inaspettato, era arrivato forte e chiaro.
Del resto, la poesia, era sempre stata colta da  pochi intenditori.

Ermal, non si sarebbe liberato facilmente di me.
Certo, detto così, suonava un po come una minaccia, ma in realtà, quello che c'eravamo promessi di fare, rimaneva immutato.
Stavo solo rimandando.

Avevo chiesto ad Andrea, di riportarlo il prima possibile in camera sua, e dopo che si era sorbito varie ingiurie di Ermal, sul perché doveva rinchiudersi in pochi metri quadrati, quando avrebbe preferito, fare baldoria, per alleggerire la tensione e sbraitare liberamente senza che nessuno lo capisse, la nostra missione sembrava compiuta.

Mi era pesato, non rispondere a nessuna delle sue chiamate, per non fargli intuire nulla.
E allo stesso tempo, ero felice, di essere uno dei suoi primi pensieri, nei momenti di sconforto, piuttosto che di gioia.
Alleviava un po del malumore che coltivavo, in vista della mia partenza solo posticipata.

Udì la scheda strisciare attraverso la serratura, affinché la porta si aprisse.
Ermal, mi vide subito, aiutato dai led abbaglianti, presenti nella camera.

«Ti aspettavi la tua compaesana?» Esclamai, per prima, fingendomi disinvolta.

«Fri.... »

«Non voglio giustificazioni stasera.» Lo interruppi, alzandomi in piedi e avvicinandomi verso di lui.
«Né pesantezza.
Brindiamo!»

Non abbiamo Armi ~ Ermal Meta Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora