| 7. Luce che entra |

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Macinavo chilometri dall'ora di pranzo.
Avevo riempito una valigia al volo, convinto Marta a prestarmi la sua auto, decisamente più comoda della mia Smart, ed ero partita alla volta di Roma.

Navigatore alla mano, direzione Studi Titanius, in cui stasera avrei trovato Ermal.

Cercai di fare meno pause possibili in autogrill, ma a metà percorso, non mi sentivo più le gambe.
Non avevo mai faticato così tanto in vita mia, per raggiungere un uomo.
Forse, era davvero importante.

Quello che continuava ad attanagliare la mia mente, era come entrare, passando inosservata per gli studi.

Avrei sicuramente trovato qualcuno pronto a fermarmi all' ingresso, se non avessi trovato una giusta motivazione.
Decisi di chiamare il mio capo, chiedendogli di comunicare a qualcuno di sua conoscenza a Roma, del mio arrivo.
Avrei finto di essere lì per un articolo, che poi in qualche modo avrei scritto, ma non era quella la mia preoccupazione.
Mi serviva un permesso.

Quello screanzato del mio superiore, si era reso utile, mi aveva fornito un nome, da nominare alle guardie, che avrei trovato ad aspettarmi al varco.

Poco dopo, come fosse una parola magica, al suono di quel nome, le sbarre si aprirono.
Ero dentro, in largo anticipo, e nemmeno ci credevo.

Da fuori, udivo le urla delle ragazzine.
Immaginai che la situazione all'interno fosse invivibile, non invidiavo Ermal in quel momento.

Speravo solo, di non dover passare tutta la notte ad aspettarlo, ma la mia ansia maggiore, era essere nell'uscita giusta, da cui sarebbe venuto fuori lui.

Dopo qualche ora, trascorsa a rifarmi il trucco, e sgranchirmi le gambe, capì dal via vai di gente famosa e non, che la diretta era finita.
Era solo questione di tempo, prima che uscisse anche lui.
Ero agitata come un adolescente al primo appuntamento, continuavo a camminare in lungo e largo senza sosta, per tenere sotto controllo l'eccitazione.

Quando la pazienza stava per venire meno, lo vidi sbucare fuori con una camminata rilassata.

I suoi ricci, sembravano domati al punto giusto, ordinati da qualche prodotto che gli avevano spruzzato.

Ermal era sicuramente venuto al mondo per cantare, scrivere, suonare ma anche e soprattutto, per indossare chiodi di pelle.
Persi qualche battito, trattenendo istintivamente il respiro.
Se fossi morta per arresto cardiaco, il colpevole era proprio di fronte a me.
Non avrebbe opposto resistenza.

Sfoggiava una sciarpa grigio perla, mentre mi sferrava un sorriso beffardo.
Faceva ridere anche quando provava a fare il serio.

«Beh che dici? Sei sorpreso di vedermi qui?»
Spezzai quel silenzio che si stava per venire a creare dall'imbarazzo.

«La parte cinica e razionale di me, vorrebbe dirti "Grazie della visita, ci vediamo in giro", ma non sono più quel tipo di uomo, ormai, so riconoscere un'occasione che non posso lasciarmi sfuggire.»

Mi aveva affondata.
E ci eravamo appena visti, da qualche secondo.

«In più, parti avvantaggiata per l'idea di farti trovare con una macchina.»

«So quanto ami guidare.»
Dissi, lanciandogli le chiavi.

«Sai come colpire il cuore di un uomo.»

«Ho imparato dal migliore!»

Si mise al volante, dopo che aveva messo la sua valigia nel cofano.

«Perché hai organizzato tutto questo? Col rischio che io potessi rifiutarmi di seguirti.»

«Mi mandava fuori di testa l'idea di non poterti dimostrare che posso essere molto altro, rispetto a quello che hai potuto constatare fino ad ora.»

Non abbiamo Armi ~ Ermal Meta Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora