8. Rabbia e dolore

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Dentro di me ho una forza che mi permette di vedere tutto in maniera diversa. Adesso non esiste più il piangermi addosso, sono pronta a riprendermi ciò che è mio o, perlomeno, a provarci.

I Diavoli fanno colazione con tanta, troppa roba che io reputo uno spreco. Qui nella loro mensa c'è di tutto e di più ed i loro piatti sono realmente pieni di pietanze di tutti i tipi. Io sono seduta completamente da sola e sento gli occhi di tutti puntati su di me, ma la cosa non mi scalfisce: mangio il mio cornetto alla cannella e bevo il mio tè alle erbe senza preoccuparmi di nessuno. È Ector a prendere il posto al mio fianco. «Come va?» domanda, poggiando il suo vassoio ricco di pietanze di ogni tipo sul tavolo e cominciando ad addentare una ciambella al cioccolato.

«Mi sento un po' osservata, ma non è un problema! Posso sopravvivere a tutti questi occhi di Diavolo» esclamo ridendo. D'altronde sarei stata stupida a pensare di ricevere un trattamento contrario, anzi, penso sia lodevole il fatto che ancora non mi abbiano insultata. Theodore è seduto con Danger e sono stata io stessa a rifiutare l'invito a mangiare con loro. Preferivo la solitudine alla compagnia dei miei due cari zietti! Theodore vuole cedere il posto ad una tra me e Luce, Danger non vuole cederlo a nessuno? Non è ancora giunto il suo momento di abbandonare le redini del clan?

«Ora ti osserveranno il doppio» sentenzia Ector, con aria fiera.

«Perché?» domando sorseggiando il mio delizioso tè alle erbe.

«Ma come perché? Tu sei seduta al tavolo con uno dei Diavoli più fighi del clan e ti chiedi anche perché dovrebbero osservarti il doppio? Mi sembra ovvio» replica sicuro di sé. Entrambi scoppiamo a ridere e in effetti posso constatare che la sua riflessione, un po' presuntuosa, risulta alquanto oggettiva e plausibile.

D'un tratto, davanti a noi passa Pantea, ma non si volta a salutare, procede dritta ignorando il suo fidanzato. «Tea!» la richiama però lui e solo a quel punto lei si volta appena, accennando un mezzo sorriso misto a sguardo di astio. «Vieni a sederti con noi, dai!», lei tentenna per un bel po' di tempo, si guarda intorno, probabilmente alla ricerca di Trisha, poi alla fine prende posto al tavolo.

«Penso che voi due vi conosciate già, ma a quanto pare tocca a me fare gli onori di casa. Tea, lei è Chantal Hooligan; Chantal, lei è Pantea Granger, la mia fidanzata» ci presenta Ector.

Pantea alza gli occhi al cielo e sbuffa, quasi scocciata e infelice della mia presenza. «Si è parlato di lei per così tanto tempo, come potrei non conoscerla? Ora è finito il tuo momento di gloria, Angioletto?».

Angioletto. Per un attimo rimango interdetta e in silenzio, mentre lei mi osserva con quel ghigno e quel mezzo sorriso sul volto. Angioletto. Anche Dylan mi chiamava così, soltanto Dylan. Forse lei lo ha fatto di proposito, forse ha utilizzato questo appellativo per farmi del male. E forse, per aiutarlo a recuperare la memoria, devo ripercorrere i luoghi ed i momenti che hanno caratterizzato l'inizio di tutto. Ho bisogno anche del Castello, ma posso cominciare da qui, giorno per giorno. Certo, Trisha mi impedirà di avvicinarmi a lui, ma posso chiedere una mano ad Ector, da ciò che ho capito, lui è dalla mia parte. Devo portarlo, per prima cosa, in giardino, sotto il grande cipresso dove lui mi ha portata a prendere una boccata d'aria.

«Ragazzi, scusate, è stato un piacere fare colazione con voi, ma adesso devo davvero scappare» e detto ciò mi alzo e vado via, con i loro sguardi sorpresi puntati addosso. Faccio lo slalom tra i tavoli, tra le persone in piedi nella mensa e in maniera totalmente improvvisa, mi ritrovo faccia a faccia con Dylan. Lui mi squadra dalla testa ai piedi e per un attimo rimane immobile, pietrificato, fino a quando Trisha non lo afferra per un braccio e lo trascina via. Si volta verso di me e mi lancia un'occhiataccia, io esco dalla mensa mentre loro spariscono tra la folla. Mi appoggio al primo muro che trovo fuori dalla mensa, la schiena a stretto contatto con la superficie ruvida e fredda. Sospiro. Posso farcela. A passo svelto torno nella mia camera, evitando qualunque sguardo, con la testa china e gli occhi puntati sul pavimento. Silenzio, nella mia testa vortica il silenzio. Apro meccanicamente la porta e mi catapulto all'interno.

Fallen AngelWhere stories live. Discover now