12. Polvere di fata

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Quando mi sono svegliata, è stato tutto così strano: ho subito percepito la presenza di Dylan al mio fianco e la prima parola che le mie labbra hanno pronunciato è stato il suo nome. Ho sentito il suo tocco sulla mia pelle, che mi ha causato i soliti brividi, le solite scosse, le solite emozioni forti. Ector mi ha spiegato che è stato un suo stratagemma, quello di lasciarci da soli per aiutare il suo amico a recuperare i ricordi. In realtà non è servito, ma sicuramente è stato un inizio, un primo riavvicinamento. Il paradosso di tutta questa storia, è che adesso sono nella stanza di Trisha, seduta sul suo letto, mentre lei mi propina abiti diversi che sono sparsi qua e là, sforzandosi di apparire ai miei occhi quanto più amichevole possibile. Inutile spreco di tempo. Sono aperta al mondo, ma nulla cambierà la mia visione su di lei.

«E con questo, direi proprio che abbiamo concluso!» esclama, sfilando l'ultimo vestito dall'armadio. È un tubino nero, ma completamente ricoperto di paillettes che lo rendono stravagante ed eccentrico al punto giusto, in perfetto stile Diavolo. Per non parlare dello scollo, ampio e vertiginoso come quello di quasi tutti gli altri abiti che ho visto fino ad ora. «Hai l'imbarazzo della scelta e so che sono uno più bello dell'altro».

Avrei preferito i miei soliti colori pastello, la semplicità e l'eleganza, la raffinatezza dei tessuti, magari anche un tocco di bianco. Qui vedo solo colori accesi e al contempo cupi: rosso, nero, bordeaux, viola, blu elettrico, verde metallizzato, grigio scuro. Tutto quello che io ho sempre cercato di evitare.

È vero anche che non so da dove cominciare per la scelta del vestito, non che mi interessi più di tanto, ma ormai mi trovo qui. Non so di che tipo di festa si tratta e quanta eleganza sia necessaria. «Dev'essere lungo o corto?» mi ritrovo a chiedere consiglio all'ultima persona al Mondo alla quale mi sarei voluta rivolgere. Ma purtroppo, non ho altra scelta. Si sa, quando due donne si trovano a condividere lo stesso uomo, tra di loro non potrà mai scorrere buon sangue.

«Non è una festa formale, ma siamo pur sempre a Palazzo. Te ne ho mostrati anche alcuni corti perché sono molto belli, ma il vestito lungo fa la sua parte» queste risposte gentili, la sua disponibilità, la prontezza nel darmi una mano. Tutto questo a me puzza e non preannuncia nulla di buono. Temo faccia parte del gioco al quale Trisha sta giocando, ma io non voglio farne parte.

Decido di studiare bene ogni vestito per cercare quello che si addice meglio al mio corpo, alle mie forme, ai miei capelli, all'intero contesto. Ma soprattutto, seppure questa sia un'ardua impresa, voglio scovare quello più coperto e meno scandaloso e volgare. Insomma, quello che possa farmi sentire maggiormente a mio agio. La Diavola dai capelli viola continua a darmi consigli, dicendo quelli che secondo lei rispecchiano maggiormente le mie richieste e che potrebbero essere più adatti alla serata. Non ci credo nemmeno io, eppure l'abito che alla fine decido di indossare, è stato scelto da me e Trisha in concomitanza, stranamente è stata lei a consigliarlo a me ed io l'ho subito approvato.

Alla fine ho ceduto al nero e, forse, anche alle eccessive trasparenze. L'abito è accollato, ma lascia scoperte le spalle e la schiena, prosegue attillato per tutto il corsetto, con un gioco di pizzo e di trasparenze, per poi aprirsi con una gonna velata che crea quel tipico effetto "vedo-non vedo" e cade fluido coprendo anche i piedi, ai quali ho deciso di indossare un paio di décolleté rosse. Lascio che i capelli ondulati mi cadano morbidi lungo il viso. Addirittura permetto a Trisha di truccarmi, le chiedo un make-up - ho sentito dagli umani che si chiama così - leggero, con un filo di rossetto rosso sulle labbra.

«Ammetto di aver fatto un bel lavoro, ma tranquilla, non sarai mai impeccabile come me» esordisce alla fine la Diavola, osservando il risultato. Pur non riconoscendo più il mio aspetto angelico in tutto questo gioco di nero e rosso, il trucco che ha realizzato piace anche a me.

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