11. Storia di morte e di amicizia, parte seconda

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Luce

Dopo aver chiamato un altro taxi grazie al cellulare di Claudia, io e Dan ci rechiamo nel quartiere malfamato dove la ragazza vive - o sopravvive - con i suoi nuovi amici. Amici di droga, che non hanno nulla a che vedere con il forte legame che intercorre tra lei e Susie.

Ci ritroviamo immersi in una strada che odora di fogna e di topo morto, contornata da cassonetti dell'immondizia straripanti e palazzi dall'aria infelice. Mura grigie, finestre rotte, urla di dolore, disordine e sporcizia. Percepisco solo vibrazioni negative e mi rendo conto che proprio sotto i miei piedi ci sono siringhe, assorbenti, profilattici, scatole vuote di pasticche, residui di cibo, bucce, noccioli, fazzoletti e chi più ne ha più ne metta. Sembra una scena dell'orrore, perché nulla fa più paura di un luogo in cui albergano morte e disperazione.

Io e Dan rintracciamo, dalla descrizione, la casa - se così possiamo definirla - nella quale dovrebbe vivere Claudia. Qui tutte sono uguali, tutte con le stesse mura grigie, ma riusciamo a trovare il numero 7. Una piccola scala conduce ad una porta in ferro tenuta ferma da un bastone arrugginito.

«Hai paura?» Dan mi stringe la mano, bloccandomi prima che bussi.

«E tu?» gli domando di rimando. Sì, probabilmente ho paura, non tanto del male fisico che possano farmi, ma del male che possa procurarmi la vista di qualcosa di spaventoso. Eppure, dentro di me l'adrenalina sale, cresce, esplode: ho voglia di nuove emozioni. Ho voglia di mettermi in gioco. E la paura di fallire è tanta, ma inferiore rispetto al desiderio di vincere questa battaglia.

«Non voglio fare lo spavaldo, dirti di no significherebbe mentire. Ma quando siamo insieme, la paura si fa sentire un po' di meno» mi sorride e poi è proprio lui a bussare alla porta, anticipando la mia mossa e posizionandosi un passo avanti a me, come schermo. In effetti, in due è più facile affrontare le situazioni.

Ad aprirci è una figura non ben identificata: lunghi capelli marroni gli coprono il volto a metà, sotto il naso ha un anellino che collega le due narici e una piccola pallina verde collegata ad un filo di metallo gli spunta dall'occhio lasciato scoperto dai capelli. Per un attimo sussulto, ne ho sentito parlare, dovrebbero essere piercing, ma non li avevo mai visti prima. Indossa una maglietta nera con una scritta e un disegno mostruoso, un paio di jeans larghi e strappati. Ho difficoltà a capire se sia un uomo o una donna e l'età approssimativa che gli do è di ventitré anni, al massimo. «E voi chi siete?» tira su con il naso, squadrandoci dalla testa ai piedi con una punta di ribrezzo. Dall'interno dell'appartamento proviene una musica estremamente forte, alta e rumorosa e una luce leggera, quasi impercettibile. Io vedo più che altro buio, ma non solo quello visibile. Sento un buio interiore, un buio che sa di perdizione.

«Cerchiamo Claudia, Claudia Rossi» risponde Dan, fingendo una sicurezza che in realtà non gli appartiene affatto. Sento il tremolio sotto la sua pelle e la tensione che evapora da ogni poro de suo corpo.

Il tizio sulla soglia sposta via una ciocca di capelli con un soffio. Ora, dai lineamenti del viso, posso affermare con certezza che si tratti di un ragazzo. «E che cosa volete?».

«Parlarle, semplicemente parlarle» ribatte ancora l'Angelo.

Il ragazzo getta un'occhiata furtiva all'interno, ma blocca ancora il passaggio con il suo corpo. Non sembra deciso a lasciarci entrare, probabilmente sarà più difficile di quanto previsto. «E perché mai? Per quanto mi riguarda, potete anche essere sbirri in borghese» lo dice con ribrezzo, con disgusto, ma non alza la voce, continua a mantenere un tono piuttosto calmo, sicuro di avere tutto sotto controllo, per nulla intimorito.

«Ma ci hai visti?» mi faccio avanti, indicando prima me, poi il mio accompagnatore. «Abbiamo appena diciotto anni. E poi, questa credi che sia la faccia di uno sbirro?» non abbiamo l'aria minacciosa, soprattutto vestiti così. Sta parlando con una ragazza dai capelli arancioni e gli occhioni e con un ragazzo che ha il viso ingenuo come quello di un bambino. Si vede che non faremmo male nemmeno ad una mosca.

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